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Eko 285

Eko 285, la chitarra (vintage) per il Jazz

Torniamo indietro di un bel po' di anni per incontrare una chitarra vintage italiana adatta a chi ama il Jazz.

La Eko fu sicuramente il più famoso dei marchi di strumenti musicali italiani. Fondata tra il 1959 e il 1960 da Oliviero Pigini, grazie alla enorme richiesta di chitarre da parte del mercato internazionale, l’azienda di Recanati diventò presto una delle fabbriche più grandi del mondo e le sue chitarre erano distribuite in tutto il mondo.
La gamma dei primi anni si rivolgeva al mercato amatoriale, strumenti economici, affidabili e ben rifiniti: la ricetta giusta per un grande successo.

Gran parte della produzione veniva importata negli Stati Uniti dai Lo Duca Brothers, azienda fondata nel 1941 dai fratelli Thomas e Guy a Milwaukee.
Distribuirono fisarmoniche e strumenti musicali e rifornivano più di 600 negozi su tutto il territorio nazionale. Importavano le fisarmoniche dallo zio Angelo Lo Duca a Milano ma si rifornivano anche attraverso Marino Pigini.
Negli anni Cinquanta vendettero circa 300.000 pianole costruite in Italia. Nel 1961 iniziarono a importare dalla Eko le piccole acustiche della serie P con il marchio Silvertone con le quali riforniranno la Sears almeno fino al 1966. 

La duca bros

La svolta degli anni ’60

Tra il 1963 e il 1964 la Eko decise di avventurarsi nel mercato professionale e l’intera gamma fu rivoluzionata. Sui modelli solid body fu abbandonato il celluloide a favore di verniciature più tradizionali dando vita al modello 820 più famoso come Condor e si iniziò a usare l’ebano per le tastiere degli strumenti di fascia alta.

Il boom dei Beatles e del Mersey Beat di quegli anni fu una rivoluzione che investì anche la strumentazione. Improvvisamente la chitarra solid body futurista piena di bottoni divenne fuori moda.
Nel giro di qualche anno l’influenza dei gruppi europei e la loro scalata alle classifiche americane faranno parlare di British Invasion. Le Epiphone, le Gretsch e le Rickenbacker entrarono nei sogni di ogni adolescente.

La Eko non poteva non competere anche in questo settore  e la gamma di semiacustiche economiche fu affiancata da strumenti più ambiziosi.
Qualche suggerimento dovette arrivare da due musicisti della scena di Las Vegas che i Lo Duca usavano per dimostrare le chitarre nelle fiere: Nick Esposito e Dick Eliot, proprio lui, quel signore dinoccolato che appare in modo stilizzato su gran parte del materiale pubblicitario dell’epoca. 

La novità principale fu il modello 290, praticamente una Epiphone Casino in salsa italica che diventò uno dei modelli più famosi e longevi della Eko e meglio conosciuta con il nome che assunse nel 1967 ispirandosi alle muscle car americane: la Barracuda

Eko 290

Eko 285

Il modello 285 ebbe invece vita brevissima e si ispirava platealmente, almeno nella forma e dimensioni, alla Gibson 175.
Appare come una meteora nei cataloghi del 63/64 e scompare in quello del 1965. L’insuccesso fu probabilmente dovuto al manico avvitato e il tasto zero, due tabù per le archtop da jazz nell’immaginario dei chitarristi. 

In Italia veniva venduta a un prezzo di listino di 40.600 lire a cui bisognava aggiungere 10.200 lire per il primo pickup, 17.000 se si volevano due pickups e 7.600 lire per il vibrato. La custodia lusso costava 14.900 lire.

La 285 non è il sacro graal dei collezionisti ma è comunque un modello abbastanza raro insieme alla sua versione basso. Se poi ne trovate una con le meccaniche Kolb, non lasciatevela scappare. La suonabilità, se ben settata, è discreta. Il vibrato praticamente inutilizzabile. Il suono è un poco secco per colpa dei pickup e montare delle corde lisce migliora le cose ma non vi aspettate di sostituire una Gibson 175 con questa Eko.

A proposito, i feticisti più attenti si staranno chiedendo, a ragione, cos’è quella strana e pazzesca bestia chiamata 295 che appare sul catalogo vicino alla Barracuda e alla 285: sarà oggetto di uno dei prossimi articoli.

C’era anche la versione basso, il modello 985 venduto a ben 71.000 lire.

Le finiture da catalogo erano M (mogano), SM (sfumato marrone o honey burst), SR (rosso sfumato nero o red burst), SV (sfumato verde o green burst) e B (legno naturale o blonde, chi sa perché questa sigla veniva dall’inglese: misteri del marketing Eko). 

Era disponibile in versione acustica, con uno o due pick-up, con il vibrato dalla leva lunghissima (una follia) e senza. Su internet si è visto anche un esemplare a ben tre pickup. 

Le meccaniche di serie erano le collaudatissime Van Gent olandesi ma l’esemplare presentato in foto era equipaggiato con le tedesche Kolb usate su alcuni modelli di fascia alta della Guild e naturalmente da numerosi liutai tedeschi.

All’epoca non si buttava niente e probabilmente facevano parte di un campionario arrivato dalla Germania che fu montato su uno strumento di serie. Oggi le sole chiavette possono valere più della chitarra: se  ne trovate una con queste  meccaniche, non lasciatevela scappare. 

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