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Il delitto Gaye

1 aprile 1984, nella casa dei genitori, a Crenshaw, quartiere a sud di Los Angeles, il cantante soul Marvin Gaye sta noiosamente passando la mattinata che precede il suo 45esimo compleanno.

Ha tirato un sacco di coca e visto un paio di film porno. È in camera da letto, indossa un accappatoio, in tasca ha una pistola e (a portata di mano) tiene diverse scatole di proiettili: è convinto che qualcuno lo voglia morto. Al piano di sotto, il padre, Marvin Gay Sr. (un pastore della chiesa ebraica pentecostale) sta avendo l’ennesimo, violento litigio con la moglie.
Il motivo, come sempre, è banale: non trova un documento, a suo dire, importante. Tra padre e figlio non scorre buon sangue: qualcuno dice che il vecchio Marvin, molti anni prima, abbia addirittura abusato sessualmente del giovane. Non solo: molti sostengono che gli abbia pure portato via parecchi soldi.

“Se tocchi ancora una volta mia madre, ti uccido“, gli aveva giurato Marvin Gaye Jr.

Udito il litigio, il cantante si precipita a prendere le difese della mamma scagliandosi con violenza contro il padre. Che, spaventato, estrae una pistola e fa fuoco due volte, colpendo il figlio in pieno petto.
Sono le 13 e un minuto quando al California Hospital Medical Center viene ufficializzata la morte di Marvin Pentz Gaye Jr., una delle stelle più luminose della Motown Records.

Ai suoi funerali assistono 10.000 persone. Nel corso della cerimonia funebre Stevie Wonder canta in modo appassionato e Smokey Robinson pronuncia un discorso commovente.

Condannato per omicidio di primo grado, Marvin Gaye Sr. viene liberato dopo che i medici scoprono che ha un tumore al cervello.
Quando i giudici gli chiedono se e quanto amasse il figlio, Marvin Sr. (dopo aver  ben pesato le parole) dichiara: “diciamo che non mi dispiaceva…”

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