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Big Muff “Ram’s Head” (BM2)

Il più desiderato, il più famoso e certamente il più discusso, ha superato orizzonti inimmaginabili per un effetto a pedale, raggiungendo uno status che rasenta la mitologia. Per la nostra avventura è arrivato il momento di incontrare il “Ram’s Head" Big Muff. Malgrado alcuni esemplari suonino molto s

Il più desiderato, il più famoso e certamente il più discusso, ha superato orizzonti inimmaginabili per un effetto a pedale, raggiungendo uno status che rasenta la mitologia. Per la nostra avventura è arrivato il momento di incontrare il “Ram’s Head” Big Muff. Malgrado alcuni esemplari suonino molto simili ai predecessori diverse novità si manifestano nel nuovo Muff. L’equalizzazione a V viene enfatizzata andando a svuotare maggiormente le frequenze medie, il quantitativo di gain a disposizione aumenta ma la distorsione prodotta non è più così spigolosa. Il suono pare smussato di quella cattiveria acerba ed estremamente graffiante tipica dei Triangle, il tutto a discapito della definzione soprattutto sulle alte frequenze. 
Come David Gilmour insegnerà, il Ram’s Head è uno dei Muff che meglio si sposa con gli overdrive, caratteristica che troverà buona replica solamente nei Muff della serie Green degli anni Novanta. Venduto tra il 1973 e il 1977 per circa 50 dollari, a quanto risulta dai listini EHX tuttora reperibili, le quotazioni odierne partono da un minimo di 400 euro.

Finita la produzione del Ram’s Head possiamo affermare che risultati tanto buoni non si ripeteranno più in casa Electro Harmonix, gli anni tra il 1969 e il 1977 rappresentano l’apice nella produzione del Big Muff. Quando si dice Ram’s Head si dice Muff e anche Electro Harmonix, è lo stato dell’arte raggiunto dalla casa produttrice americana e dal suo folle artefice. Gli anni Novanta riserveranno qualche buona sorpresa, ma il successo raggiunto dal Triangle e, soprattutto, dal Ram’s Head, non troverà mai più replica con le versioni successive.

Scalfari fonda il quotidiano “Repubblica”, due ragazzi, Steve Wozniak e Steve Jobs, danno vita alla Apple Computers. Il 15 marzo esce “Destroyer” dei Kiss, nascono i The Clash e sul mercato è immessa la prima console Philips Odyssey 2100. Panatta vince gli internazionali di tennis, Jack Nicholson entra nella storia con “Qualcuno volò sul nido del cuculo” premiato con l’oscar per il miglior film, nel frattempo in Argentina i desaparecidos sono già diverse centinaia.
È il 1976 e Electro Harmonix si presenta con una nuova edizione del suo pedale di punta, si chiama Red & Black Big Muff.
Denominato anche “BM3” o “Red & Black” per la comparsa di quella scritta rossa tanto famosa che resterà sul pedale fino ai moderni reissue.
A livello di sonorità le somiglianze con il Ram’s Head sono molte, i due circuiti hanno molti punti in comune, ma le nuove basse frequenze troppo in evidenza tendono a “ingolfare” il suono e comprometterne ulteriormente la definizione. Sono da rilevare però due note importanti nell’evoluzione del Muff che vedono nel BM3 la loro prima comparsa. La presenza, su alcuni esemplari, di uno switch definito Tone Bypass per isolare il controllo di tono, avvicinandolo maggiormente ad un distorsore piuttosto che ad un fuzz, e l’introduzione dell’alimentazione AC oltre l’alimentazione a pila 9v. Per il True Bypass bisognerà aspettare ancora diversi anni.
Il BM3 è uno dei Muff della prima produzione USA meglio reperibili, le quotazioni si aggirano in media attorno ai 150 euro. Primo esemplare dell’era post Ram’s Head, il BM3 è un po’ l’ “And Justice For All” dei Muff. Sicuramente degno esemplare della serie, apprezzato da tanti, ma etichettato dai più conservatori come il primo sintomo della caduta del Muff, ha avuto lo scomodo ruolo di dover replicare la perfezione dell’Ariete senza esserne una spudorata copia.
Bad dopo Thriller, Smiley Smile dopo Pet Sounds, il BM3 è il primo esponente di una nuova visione del muff che troverà il suo massimo compimento nella revisione del circuito in corso proprio in quegli anni. Il regime cinese proibisce ufficialmente la lettura di Shakespeare, Dickens e Aristotele, nelle radio americane risuona la voce di Bob Seger con “Old time rock n roll”. Nel 1978 il Muff subisce qualche cambiamento a livello di circuito, i quattro transistor cuore del progetto originale, vengono sostituiti da due op-amp Ics. Il circuito è radicalmente ridisegnato ed il risultato sono gli OpAmp Big Muff V4 e V5, molto simili tra di loro.
L’inserimento degli op-amp Ics discosta il nuovo muff da quanto fatto dalle versioni precedenti, i nuovi V4 e V5 divengono pedali dall’orientamento più heavy, quando poi riscoperti dieci anni più tardi saranno il pedale preferito del grunge di Seattle. L’esclusione del tono sembra renderlo un ingestibile cavallo pazzo, ma proprio per questo Vedder e soci lo troveranno tanto interessante.
I fan di lunga data allora storsero il naso, attualmente sono versioni con buon mercato reperibili attorno ai 140 euro all’incirca.
Khomeini riesce a tornare a Teheran dopo quindici anni d’esilio, Sid vicious è stato trovato morto, in Italia si apre il quinto governo Andreotti e il satellite Voyager ci mostra che anche Giove è circondato da un anello. Nel 1979, chiuso l’esperimento OpAmp, il circuito sembra tornare alle forme originali nel Big Muff Red & Black “Reverse Logo”, così chiamato per l’inversione dei colori nella grafica di alcuni esemplari. Il tentativo era quello di tornare alle sonorità del BM3, dopo il flop OpAmp, purtroppo però ciò che riesce davvero è raggiungere una maggior rumorosità generale.
Grazie a quel bel ronzio “storico” di fondo, le quotazioni sono oggi attorno ai 300 euro… Ma d’altronde il Reverse Logo ha visto la salita al potere di Saddam Hussein, l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS, Umberto Eco che pubblica “Il nome della Rosa” e il popolo di Pechino che chiude l’era maoista.
Sul finire dei 70 qualcosa sta cambiando, la EHX scricchiola, Matthews deve correre ai ripari, le vendite del muff cominciano a calare. Si iniziano a preparare i bagagli per il freddo di Mosca…
Francesco Sicheri
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