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Il ritorno del Palermo Festival, impressioni a caldo

Lo stadio “Renzo Barbera” apre le porte al Palermo Festival dopo ben 52 anni dalla sua ultima consacrazione a tempio della musica. Dopo vari rimandi causa pandemia, i 2 giorni di musica tanto attesi sono finalmente divenuti realtà.

Nella sua primissima (ri)produzione, il Palermo Festival è stata apprezzabile dal punto di vista organizzativo e tecnico, nonché dalla composizione e distribuzione delle location.
La scaletta degli artisti ha dato un po’ meno spazio agli strumenti in carne e ossa, puntando sui live/DJ set che sulle live band, soddisfacendo comunque i piaceri musicali del pubblico. 

Il Day1 si compone di Dj set della scena locale siciliana sullo stage adibito al di fuori dello stadio, incalzato da un color party che ha animato ancora di più la festa.

Il Day2, il fulcro di tutto il festival, tenutosi sul campo da gioco dello stadio , è un susseguirsi di generi vari, tra gli altri cominciando dall’esibizione di giovani artisti della scena locale tra cui i vincitori del contest del Palermo Festival, dal supergruppo dello Stato dell’Arte fondato dal paroliere freestyler Picciotto e continuando con il rapper Johhny Marsiglia, Nitro e sul finire della serata con il cantautore Alessio Bondí portando brani come “Di Cù Sí” e “Vucciriá”, con un stile misto tra musica portoghese/brasiliana e accompagnato da uno fraseggio che ricorda il folk americano con un pizzico anche di afro funk.
Una musica che riprende la tradizione cantautorale siciliana di Rosa Balistreri, che proprio da Palermo e dai quartieri faceva partire il suo canto che allietava le vie della città.

La serata è conclusa dalla band pisana degli Zen Circus, al centro del genere indie rock italiano. Inoltre, nelle ultime ore del festival, c’è stata la chiusura di Mace, artista e produttore che ha collaborato con artisti del palcoscenico rap italiano come Marracash, Fabri Fibra e Salmo.

Palermo sognò di essere Woodstock

È stato portato anche il contributo e la testimonianza di chi c’è stato ed ha calcato quell’erba dello stadio Barbera nel luglio del ‘70, con racconti inediti del festival, al tempo chiamato Palermo Pop 70. Forse la maggior parte dei giovani del tempo non avrebbero potuto mai immaginare che quei giorni sarebbero passati alla storia.
Quando Palermo sognò di essere Woodstock” è il libro del giornalista Sergio Buonadonna, cheera presente e chi meglio di lui può riportare quelle storie ai giorni nostri.

Tornando al passato, tre parole d’ordine regnavano tra il popolo hippie negli anni a cavallo tra ’60/’70: pace, amore e musica. Dal 17 al 19 luglio del 1970 nello stadio comunale di Palermo, al tempo chiamato La Favorita, successe qualcosa che sarebbe passato alla storia come il Woodstock Italiano.
Calcarono quel prato artisti leggendari come Duke Ellington, Aretha Franklin e Arthur Brown, solo per citarne alcuni, insieme a migliaia di spettatori trepidanti d’attesa e vogliosi di divertirsi serenamente.

Il palinsesto dei 3 giorni era piuttosto corposo, si protraeva dal pomeriggio fino a poco dopo la mezzanotte, e si susseguivano artisti uno dopo l’altro come un puzzle ben composto. L’esibizione che destò più scalpore e spettacolo fu sicuramente quella dello stesso Arthur Brown sopracitato. 
Conoscendo la sua anima eclettica e esibizionista, non c’è da stupirsi se venne arrestato per atti osceni in luogo pubblico durante l’interpretazione del brano “Fire” e venne portato in cella proprio dal capo della squadra mobile dell’epoca, Boris Giuliano. 

Arthur brown
Arthur Brown trattenuto dalle forze dell’ordine – Fonte reportagesicilia

Da non sottovalutare le esibizioni degli artisti italiani come Lucio Battisti, Ricchi Poveri e del palermitano Enzo Randisi, che arricchirono con le loro performance il festival. 
Gli organizzatori, di cui alla produzione fu Joe Napoli, ce l’avevano quasi fatta, stavano per riuscire a portare sul palco band come i Rolling Stones e i Pink Floyd ma purtroppo per problemi connessi forse all’organizzazione forse agli impegni delle band tutto ciò non fu possibile.

Un’esibizione di importanza storica sia per le riprese del tempo che per la band in questione, fu quella degli Ekseption, gruppo rock olandese di progressive e rock psichedelico.

Dunque un festival che se paragonato al Woodstock Americano ha delle profonde differenze sia sul piano della gestione che sul numero di partecipanti. Poiché a Palermo non si contarono più di circa 40.000 spettatori (un numero comunque altrettanto alto per le aspettative) e il traffico di stupefacenti fu pressoché mantenuto sotto controllo nonostante fossero gli anni del consumo della cosiddetta “Brown Sugar”, non a caso nome del famoso brano dei Rolling Stones pubblicato solo un anno dopo.

Insomma, Palermo per tre giorni divenne il fulcro della musica mondiale. Si trattò, infatti, di un modello ben riuscito di aggregazione multilingue di vari giovani provenienti da tutta Europa mescolatasi con quelli della città. 
In una Palermo (e un’Italia) che passava uno dei periodi più oscuri della storia recente, fu davvero una bella boccata di ossigeno e allegria. 

Una connessione dunque indistricabile tra quel tempo di ieri e d’oggi, quel legame che continua adesso, coltivato da una buona semina di musica che porterà, se rinvigorito di volta in volta, a un appuntamento fisso negli anni e anche a una vetrina esclusiva della città di Palermo.

Il tutto è stato accompagnato anche dal contributo di alcuni street-artist provenienti da tutto il mondo per la prima edizione del FestiGraff, che ha rinnovato la lunga cancellata dello stadio portandola a una nuova veste, come una unica tela di 400 metri. 

La speranza è che questo viaggio della musica, nuovamente alle prime tappe, possa continuare ancora negli anni a venire.

Foto di copertina di Federico Scordi