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In visita dentro una fabbrica del suono italiana

Chi segue la mia rubrica Ti Consiglio un Disco si sarà reso conto quanta passione io abbia per la riproduzione della musica in vinile. Non ne faccio un fanatismo, tutt'altro, ho già spiegato in questo articolo quanto la lotta tra formati digitali e analogici si trasformi spesso in un non sense. Ciononostante, so

Chi segue la mia rubrica Ti Consiglio un Disco si sarà reso conto quanta passione io abbia per la riproduzione della musica in vinile. Non ne faccio un fanatismo, tutt’altro, ho già spiegato in questo articolo quanto la lotta tra formati digitali e analogici si trasformi spesso in un non sense
Ciononostante, sono di sicuro un amante del buon suono e amo, nei miei limiti di budget che certo non sono quelli di un sultano, contornarmi di apparecchi che vadano in questa direzione, soprattutto in un ambito così delicato, analogico e meccanico, come quello del vinile.

Tra i tanti marchi cui negli anni mi sono affidato ce n’è uno italiano e oltretutto della mia stessa provincia: il suo nome è Gold Note e, complice un piccolo intervento di manutenzione sul mio giradischi, ovviamente di loro produzione, lo scorso sabato ne ho approfittato per fare una bella chiacchierata con il fondatore Maurizio Aterini.

Premessa doverosa: questo articolo nasce per una fortuità casualità e da una mia personale idea che penso e spero possa interessare anche altri curiosi. Non c’è qui alcun intento promozionale, se non quello di far luce su una gruppo di lavoratori italiani appassionati di musica e suono che cercano di rimanere strettamente all’interno dei nostri confini per tutta la filiera della produzione. Ma soprattutto è la cronaca di una giornata in cui mi sono perso tra racconti, aneddoti e grandi ascolti, cosa che tutti gli amanti della musica dovrebbero fare a prescindere dall’azienda (e se ne avete anche voi una simile vicino casa, non perdete tempo e fateci un giro).

Gold Note

C’è una bella mattinata di sole a farmi compagnia quando arrivo di fronte alla sede di Gold Note, immersa nelle splendide colline toscane tra Firenze e Montespertoli, là dove si fa anche dell’ottimo vino e sarò ben presto lieto di scoprire che la seconda passione di chi mi aspetta è proprio il nobile nettare degli dei.

Il suo nome è Maurizio Aterini ed è il fondatore dell’azienda. Mi accompagna all’interno dello stabile, diviso in due settori principali, uno del tutto dedicato alla produzione/assemblaggio dei prodotti, nonché al loro stoccaggio e imballaggio per spedizioni; l’altra invece è dedicata agli uffici della dirigenza ma, soprattutto, al bel showroom con sala di ascolto, che di lì a poco sarebbe stato il mio parco giochi personale per un po’, ma di questo parleremo più avanti.

Maurizio mi premette subito che proprio in questi mesi stanno valutando tutte le opzioni per spostare la produzione in un nuovo capannone più grande, visto che oramai hanno raggiunto numeri per i quali si comincia a star “stretti” nell’attuale sede e c’è necessità di maggiori spazi sia per le fasi di produzione che, soprattutto, per il magazzino.

In visita dentro una fabbrica del suono italiana

La sala di produzione e assemblaggio di Gold Note

Risolto il veloce intervento di assistenza, che è una semplice regolazione su cui non ero molto sicuro – tra parentesi, è un piacere veder lavorare Aterini, dotato di una manualità invidiabile, e sentirlo intanto spiegare i tips&tricks delle varie regolazioni, spesso infinite, di un giradischi – gli chiedo se posso scambiare due chiacchiere con lui da riportare a tutti voi Musicoffili. Lui è felice della cosa, quindi procediamo.

La prima domanda è: da dover arriva Gold Note? Da quanti anni lavorate in questo settore?

L’azienda nasce circa 25 anni fa come produttore terzista di componenti hi fi. Abbiamo lavorato per due decenni con i più grandi produttori audio nel mondo, fornendo sia materiali che progetti e assistenza.
Nel 2008 a seguito dei ben noti problemi di crisi finanziaria globale abbiamo perso due clienti molto importanti, per cui è salita la voglia di confrontarci direttamente con il pubblico. Così, ci siamo svestiti dei panni di terzista puro e abbiamo puntato, non senza una certa timidezza iniziale, ad una nostra produzione. 

Circa 6 anni fa siamo riusciti finalmente a seguire interamente i nostri progetti e oggi abbiamo due architetti che lavorano sul design, un direttore marketing che segue tutta la parte della comunicazione e così via tutte le figure professionali che servono dalla progettazione al prodotto finito e alla promozione.

In parte ci sentiamo un’anomalia di mercato, poiché facciamo praticamente tutto o quasi in azienda, avendo comunque maturato un know how specifico su ogni cosa in 20 anni di lavoro per altri marchi.
I nostri primi lavori si sono concentrati essenzialmente sulla meccanica, quindi giradischi, bracci, testine et similia; ma già 20 anni fa avevamo iniziato a lavorare nel digitale, per questo abbiamo la fortuna di lavorare con ingegneri informatici di livello in questo campo. 
L’ultimo passo è stato l’elettroacustica, sviluppando i nostri diffusori con Claudio Carlo Certini, uno dei più bravi tecnici italiani in assoluto in questo campo. I suoi progetti sono coadiuvati anche da materiali al top di gamma come i driver realizzati dalla prestigiosa Seas, azienda norvegese di indubbia stima in questo campo. I progetti e disegni sono tutti realizzati su specifiche di Carlo.

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gold note speaker

Quindi adesso la vostra produzione è divisa in tutti i settori principali dell’audio, sia analogico che digitale. Come mai non accessori?

Sulla parte accessoristica eravamo molto forti, ma abbiamo deciso di rinunciarvi poiché avrebbe confuso le idee a chi si fosse interessato ai nostri prodotti. Questo è un settore assai specialistico e spesso c’è l’idea, un po’ bizzarra, che se riesci a far bene una cosa non puoi essere in grado di farne altrettanto bene un’altra. 
Se in tutto questo ci metti in mezzo gli accessori, entri nella mentalità “fanno un po’ di tutto, chissà come lo fanno e dove lo fanno“.

Anche per questo la branca aziendale dedicata ai diffusori è ben distinta e avrà un suo nome specifico, Tuscany Loudspeaker, poiché è giusto far capire bene che la produzione di questi oggetti, come di altri, è gestita da un reparto diverso e specifico, con personale qualificato che lavora esclusivamente su quel tipo di progetto.

gold note bracci per giradischi

Da quello che vedo guardandomi in giro, anche gli assemblaggi sono fatti tutti qua. Mi sembra che non ci sia la tanto famosa “delocalizzazione”.

Grandissima parte del lavoro viene fatta in questi spazi. La delocalizzazione se c’è è ben diversa da quella verso paesi lontani cui di solito si pensa. Le schede elettroniche, ad esempio, le producono Im-Ex e Phoenix, le due più grandi aziende italiane del settore. Poi le facciamo montare a personale specializzato di aziende di zona: una è BRB, a soli 3 chilometri da qui, uno è Machiavelli di Sesto Fiorentino e infine Dalbi, il più “lontano”, di La Spezia.
Ancora, il nostro doratore è proprio qui a fianco a noi, confinante di capannone.
Lavoriamo tutto qua perché il controllo è l’unico sistema per avere davvero la qualità. In elettronica la maggior parte della produzione è in estremo oriente per ovvi motivi, laggiù si può trovare sia alta che bassa qualità, ma sicuramente è più difficile avere il controllo sul singolo pezzo se punti ad avere un target di alto livello. Certi tipi di attenzione si traducono in dimostrazioni di sana artigianalità, a partire dal piccolo grano che va a regolare una meccanica seguendo un progetto personale.
Ovviamente questo poi si scontra col mondo odierno per cui su uno smartphone con un solo tasto “fai tutto”, ma è decisamente un altro campo rispetto al nostro.

gold note ph10

Ti faccio una domanda che poi è l’unica che mi ero preparato “da casa”: al di là della riesplosione di certe mode e usi, che senso ha oggi produrre apparecchi meccanici e analogici, ad esempio i giradischi, in visione di una prospettiva futura?

Parto da un concetto: io credo molto anche nel lettore cd! La visione di chi non è del settore spesso non è molto lungimirante, da produttori invece il discorso si lega alla qualità, alla costanza di prodotto, alla riproducibilità e, in fondo a tutto, quella parte di feticismo che è innegabile. La musica un conto è consumarla, un conto è acquistarla. È un senso di appartenenza reciproca.
Quando ero ragazzo i dischi, proporzionalmente, costavano molto più di adesso. Tant’è che li imparavi a memoria, “maciullandoli” da quante volte li ascoltavi. Il fatto di poterne acquistare in quantità limitata ti metteva in grande confidenza con l’opera. Ti obbligava a farlo.
Io credo moltissimo nei giovani e non penso che ai miei tempi era meglio. C’era cultura Hi Fi, sì, ma era molto elitaria. Tutto costava moltissimo e solo pochi avevano la possibilità di addentrarsi davvero nel mondo del buon ascolto. Cosa che, paradossalmente, oggi è più semplice, per questioni di costi decisamente più abbordabili su macchinari già molto buoni o anche ottimi (e in più c’è il buon usato a cifre irrisorie rispetto all’epoca).
In più, facendo un paragone con il vino, oggi anche un ragazzo normale capisce che una bottiglia di vino da 1 euro non è un gran vino, non c’è bisogno che abbia fatto un corso da sommelier. La comunicazione serve molto a questo. I social e i gruppi di appassionati sono utilissimi.
Il vinile rappresenta ovviamente la qualità.
Il cd di cui dicevo prima, a sua volta, rappresenta ancora oggi nel digitale la qualità più di qualsiasi file anche non compresso ad altissima risoluzione, perché è complicato trovare musica davvero prodotta alla fonte in quel modo. Spesso ci si trova davanti a sovracampionamenti, ricampionamenti del nulla.

Parlavo con un produttore newyorkese molto conosciuto, David Chesky, che lavora con altissima qualità, e mi diceva che ha preferito lavorare con banco a 24/96kHz invece che 192kHz perché attraverso i confronti al suo orecchio suonava peggio pur acquisendo il suono dalle stesse fonti (e poi lo storage dei files era enorme). E continuava dicendo “non conosco nessuno al mondo, in particolare le grandi major Universal, Sony e Warner, che lavori a quelle risoluzioni“.

gold note, giradischi pronti a partire

L’ultima domanda te la faccio a proposito di un prodotto, il preamplificatore PH-10 per le testine dei giradischi, in cui, cosa molto curiosa, avete inserito varie curve di equalizzazione oltre la standard RIAA, che dovrebbe essere da più di mezzo secolo quella usata uniformemente. Perché quindi lo avete fatto e che implicazioni ci sono nell’ascolto della musica?

Qui si entra anche nella questione “passione”, che d’altronde è ciò che muove il nostro lavoro. La RIAA è l’associazione americana dell’industria discografica, che effettivamente tentò di normare, agli albori del passaggio da mono a stereo, il modo di produzione dei dischi in vinile relativo alla curva di equalizzazione necessaria per la loro incisione. L’accordo lo siglarono tutti, ma purtroppo, soprattutto nei primi anni, pare che in tanti non lo rispettarono (anche se nessuno lo dice), pur scrivendo dappertutto che era così.
Parliamo di un’epoca in cui c’erano almeno un centinaio di etichette indipendenti che registravano ognuna a suo modo con la loro curva di equalizzazione. Ma anche i grossi dell’epoca. Considera che tutto partì dalla pressione della Columbia, che all’epoca era un gigante incontrastato nel settore discografico. Le tre curve principali che sono venute fuori dalle nostre indagini (ho la fortuna di conoscere alcuni tra i più grandi collezionisti che hanno praticamente di tutto di ogni epoca) sono state quella della Decca, Columbia e RIAA. Sì, Columbia stessa, che spinse il processo standardizzazione, non fu rapida nel seguire la soluzione proposta.
La cosa è andata avanti anche negli anni ’70, anche con i dischi Columbia/CBS e fino addirittura agli anni ’80 per certi casi. 
Ovviamente il tutto è molto ufficioso, ma se uno prova a cambiare la curva di equalizzazione, con un oggetto come il PH-10 che lo consente, e abbina al disco la curva impostata per la relativa etichetta discografica, beh, si renderà conto di come può suonare meglio.
Una cosa importante relativa al PH-10: l’interfaccia utente è a controllo digitale perché in questo modo si evitano antipaticissimi switch posti spesso in spazi scomodi e il continuo accendi/spegni dell’impianto. Ma è questione di comodità d’uso, relativamente al suono invece il percorso del segnale resta ovviamente totalmente analogico. L’interfaccia digitale è solo un metodo di controllo che consente di cambiare i parametri nel giro di pochi secondi il che vuol dire poter fare confronti reali a orecchio tra le varie curve di equalizzazione o altre specifiche come l’impedenza e il guadagno.

gold note ph10

Una cosa forse importante da chiarire è che un disco in questo caso “suona meglio” non perché si innalza la risoluzione, il miglioramento sta nel poter sentire più a fuoco e meglio posizionati voce e strumenti o, a volte, di poter sentire parti musicali mai udite prima con chiarezza (o del tutto!).

Certo, si sente in maniera più realistica. In più abbiamo anche deciso di inserire la possibilità di de-enfasi Neumann (da noi chiamata enhanced) che dà la possibilità di estendere la risposta in frequenza oltre i limiti classici di 20-20.000Hz, così come Neumann la spostò negli anni ’70, cioé fino a 50.000 Hz. Alcuni dischi un po’ ovattati tornano così a suonare un pochino più vividi e non costretti nei limiti della RIAA originale (o altre curve suddette).

Il sogno nel cassetto?

Sicuramente cambiare la percezione delle persone, far riscoprire il “bello” e il “buono”. Un problema del mercato è che quando si stringe si entra nella logica dell’aumentare i prezzi. Il nostro obiettivo è invece proporci in modo convincente attraverso prodotti funzionali, moderni e belli come l’amplificatore ultimo nato, IS-1000, cui ci si può collegare veramente di tutto, dalle vecchie alle ultimissime tecnologie.
Il tutto col valore aggiunto dei prodotti realizzati in Italia. 
L’obiettivo non è attrarre chi già ha alle spalle cultura Hi Fi, ma soprattutto le generazioni sotto i 30 anni che questo mondo lo conoscono meno, un po’ perché abituati all’usa e getta, un po’ perché non sempre posti davanti a prodotti almeno relativamente accessibili.

gold note is-1000

Qui finisce l’intervista a Maurizio Aterini, che mi lascia in compagnia del suo esperto collaboratore, Alessio Oronti
È lui a farmi visitare lo showroom, nel quale ho modo di ammirare i prodotti finiti come le belle casse. Ma il mio occhio non può staccarsi dalla sala allestita per l’ascolto. 
Due coppie di grandi diffusori ai lati e due mobili per le elettroniche che ospitano amplificatore, pre-phono, lettore CD, giradischi, tutto ovviamente marchiato Gold Note.

Alessio mi lascia un telecomando in mano e mi invita a fare come fossi a casa mia, lasciandomi “giocare” sia con i cd che con i vinili. I primi ascolti sono in digitale e non c’è che dire, si tratta di un’esperienza particolarmente immersiva e affascinante. Chi parla di freddezza del digitale, come dico sempre, esagera oppure non ha mai ascoltato un buon impianto.

Ma ovvio, come detto all’inizio io sono un grande fan del solchi e a passare dal lettore cd al giradischi ci metto poco. Accanto a me ho molti dischi tra cui scegliere, dal jazz, al pop, al rock al progressive e così via. Tra di loro spiccano alcuni ascolti piuttosto standard nella prova di un impianto, ne scelgo qualcuno che conosco bene e cerco di spaziare in ogni genere.
Passo così da Random Access Memory dei Daft Punk, al groove jazzato di “Time Out” di Brubeck, per poi farmi accarezzare dalla voce di seta di Diana Krall e infine approdare agli imponenti suoni di The Wall dei Pink Floyd.
Descrivere a parole le sensazioni provate è difficile, userei espressioni non convincenti e termini oramai abusati nel mondo audio. Quello che comunque si sperimenta con un impianto di questo tipo è l’assoluto coinvolgimento sonico ed emotivo all’interno della musica. Si tratta di qualcosa di molto poco mentale e molto fisico, un gioco di dinamiche non solo con le nostre orecchie, ma con il nostro stomaco e il nostro cuore.

gold note casse

Finisce quindi qui questo racconto. Muoversi nel campo dell’Hi Fi è assai difficile. Il rischio di “usare la musica per ascoltare l’impianto” (cit. Alan Parsons) è sempre dietro l’angolo. Si deve a volte correre, a volte rallentare. Si deve essere curiosi, ma si deve portare al massimo ciò che si ha. Si deve sperimentare, ma non rincorrere le chimere. Bisogna, insomma, essere felici di ascoltare la musica. E cercare di farlo al meglio, perché ciò che conta è ricostruire ciò che il musicista e chi ha registrato i dischi avevano in testa. Oppure, la migliore versione di questo secondo noi stessi.
Aziende come Gold Note aiutano in questo e potersi rivolgere a realtà 100% italiane è qualcosa di davvero assai prezioso nel panorama odierno.

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