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Roger Waters, c’è basso nei Pink Floyd

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Il focus della rubrica Partiamo dal Basso si concentra su un artista più noto (ma non per questo trascurabile) come compositore che come bassista: Roger Waters.

Roger Waters: leggenda e bassista

Sono sicuro che il “dettaglio” non sia sfuggito a nessuno, ma visto lo spessore dell’artista in oggetto che male può fare una seppur ovvia puntualizzazione? La seguente: Roger Waters è un bassista.
Ok, la scoperta dell’acqua calda: ma analogamente a quanto già successo nell’approfondimento dedicato a Paul McCartney, si parla pur sempre di un personaggio che ha fatto la storia nel Rock anzitutto nel ruolo di cantautore e compositore, e che quasi incidentalmente si è ritrovato anche a suonare il basso elettrico.

Tutto sommato non mancano le analogie con Sir Paul: come lui, anche Roger Waters rivendica un ruolo di primissimo piano nella band che ha fondato e che ha contribuito a rendere leggendaria, e come l’ex Beatles anche lui si è ritrovato a ricoprire nei Pink Floyd il ruolo di bassista per necessità oltre che per scelta.
Un’occorrenza della quale, a conti fatti, non possiamo di certo lamentarci:

Lo stile di Roger Waters al basso

Essenziale, efficace: sono senz’altro due aggettivi che definiscono correttamente il modo in cui Roger Waters utilizza il suo strumento principale (oltre a cantare suona anche la chitarra e Dio sa quali altri strumenti).

È bene notare che il suo stile espressivo sul basso elettrico si sia fondamentalmente sviluppato e consolidato all’interno di una band strutturata con equilibrio nei suoi componenti: basso, batteria, chitarra e tastiere; ogni strumento il suo ruolo, la sua parte, il suo pensiero musicale.
Questo si traduce da un lato nella responsabilità di non far rimpiangere la mancanza di una seconda mente chitarristica (elemento che pure non mancò nelle situazioni dal vivo, ma non certo per ragioni creative), dall’altro nella possibilità di potersi ricavare spazi maggiori e migliori anche in termini di pensiero melodico, come dimostrato ad esempio proprio da “Money“, dove il riff principale è palesemente portato avanti dal basso.

Riguardo l’abilità nel ragionare da complemento agli altri strumenti dimostrata da Roger Waters come bassista, trovo molto interessante l’ascolto della sua naked track in “Echoes“, in particolare se l’esperienza è confrontata con il risultato complessivo concretizzato nel brano presente in Meddle:

Quel Precision di Roger Waters

Benché nella sua storia non manchino le eccezioni, l’immagine e soprattutto il suono del Roger Waters bassista sono strettamente legati a un modello in particolare: il Fender Precision.
A indirizzare fortemente questo orientamento fu nientemeno che un furto: quello del Rickenbaker 4001 che fu sottratto all’artista nel 1970 e che aveva prevalentemente utilizzato fino a quel momento. Da lì in avanti Waters imbracciò per lo più l’iconico P nero, visto in diverse varianti per tastiera (prevalentemente in acero), battipenna e copri-pickup, ma anche il non meno significativo modello sunburst.

Si tratta di esemplari della produzione regolare a cavallo tra gli anni ’60 ei i ’70, in un caso addirittura customizzati (pare che uno dei P neri fu dotato di un manico Charvel con tastiera in acero al posto di quello in palissandro originale), apparentemente privi di caratteristiche distintive.
Ma forse proprio per questo, il carattere sonoro Precision è uno degli elementi più riconoscibili (e per molti apprezzabili) del Roger bassista.

Nonostante i decenni trascorsi, c’è ancora qualcuno che esprime perplessità riguardo le corde utilizzate. Si sa che la preferenza vada per le Rotosound Jazz Bass, storicamente flatwound; una scelta che alcuni contestano, quantomeno come soluzione assoluta, in virtù della brillantezza e del “ringhio” riscontrabile in alcune tracce storiche, come ad esempio “One of These Days“.

I Pink Floyd, Roger Waters e il basso elettrico

Proprio quest’ultima canzone rappresenta un fantastico esempio di come il ruolo del basso all’interno dei Pink Floyd potesse prendere pieghe imprevedibili, grazie alla visione evoluta che contraddistinse tanto la band quanto l’artista: all’alba degli anni ’70 ci voleva davvero una fervida fantasia per immaginare un brano composto da due tracce di basso, con l’aggiunta di un delay Binson Echorec a realizzare quel costante rimbalzo di suddivisioni ritmiche che contribuirà a rendere il brano un manifesto di stile, il cui merito in questo senso va giustamente condiviso con David Gilmour (che incise una delle due parti) .

“One of These Days” è probabilmente un esempio estremo di come il basso elettrico abbia rappresentato uno strumento tutt’altro che secondario nella produzione dei Pink Floyd; in questo senso, non posso fare a meno di pensare con emozione al fretless di “Hey You”, che però fu opera di mr. Gilmour.
Il mio pensiero va allora a “Have a Cigar“, parte del capolavoro assoluto Wish You Were Here, con quel suo sound a base di modulazione così irresistibilmente anni ’70, eppure mai fuori moda (almeno nella mia umile opinione).

“Un altro mattone nel muro” del basso nel Rock

È banale chiudere un pezzo sui Pink Floyd citando “Another Brick In The Wall, Part Two“? Forse, ma lo faccio ugualmente perché sono convinto che in questa linea di basso ci siano diversi elementi degni di attenzione.
Nella sua semplicità, la traccia trasmette un apprezzabile senso di groove, rafforzato dalla scelta di utilizzare un D grave sulla quarta corda, rappresentando al tempo stesso un elemento non meno “cantabile” di quanto facciano gli altri strumenti.
Inoltre quel dosato senso di attesa, la scelta di non partire in contemporanea alla batteria come da canone ma piuttosto facendosi aspettare un pochino, trovo che sia sempre una soluzione di grande effetto, che aggiunge incisività alla bassline piuttosto che sottrarne.

Cosa possiamo dire, in conclusione, del Waters bassista? Virtuoso dello strumento, senz’altro no. Innovatore? Non nelle proporzioni in cui il termine si utilizzerebbe per un Jaco Pastorius o per un Michael Manring.
Tuttavia c’è un filo conduttore dietro la rubrica Partiamo dal Basso, ed è quello secondo cui ogni artista debba aver rappresentato per il mondo delle corde grosse qualcosa di notevole, di storicamente incisivo anche inquadrato all’interno di un contesto di genere, di epoca o di band: una selezione in cui Roger Waters rientra a pieno titolo.