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Michael Manring, lo sguardo oltre il basso elettrico

Non è facile essere degli innovatori, men che meno quando si arriva dopo personaggi dalla visione assoluta, ma parlando di basso Michael Manring lo è di certo.

L’avvento di un certo Jaco Pastorius ha da un lato illuminato la strada a tutti i suoi successori, ma dall’altro ha decisamente complicato la vita a tutti quei bassisti che si sono avvicinati allo strumento con il desiderio di espanderne le potenzialità espressive.

Tra tutti coloro che hanno in qualche modo saputo assimilare la “lezione Jaco” in uno stile personale, Manring è senz’altro uno degli esempi più significativi. Dunque oggi Partiamo dal Basso parlando di lui.

Michael Manring, una leggenda in diretta

Non potevo proprio non partire da un’esperienza che non dimenticherò, vale a dire la magica serata della scorsa estate, quando abbiamo avuto il privilegio di ospitare Michael Manring in diretta sui nostri canali.
Se volessi trovare un aggettivo che descriva quella serata nella maniera più sintetica possibile, la parola sarebbe senz’altro “illuminante“; percezione tra l’altro non solo personale, ma che molti amici (anche non bassisti) mi hanno riferito.

Personalmente consiglio la visione dell’intera live (disponibile nell’embed qui sotto), la quale rappresenta a mio modesto parere un connubio incredibile tra l’arte del basso elettrico moderno e un approccio quasi filosofico alla passione musicale. In tal senso, è esemplare il passaggio in cui l’artista rovescia la tradizionale prospettiva affermando che è il linguaggio a essere musica, e non il contrario.

Un punto di vista che descrive alla perfezione la vastità della prospettiva di Michael Manring non soltanto come bassista, ma più in generale come musicista e come essere umano.

Sulle orme di Jaco, ma a modo proprio

Nell’epoca della formazione musicale di Manring, era pressoché impossibile per un bassista, a maggior ragione orientato verso il mondo del Jazz moderno e della Fusion, non incrociare il proprio percorso con l’enorme impatto provocato da Jaco Pastorius.

Michael, che di Jaco fu anche diretto allievo (nonché compagno di tour), ha sicuramente assimilato moltissimi dei concetti dell’artista scomparso. La naturale propensione al basso senza tasti, e in particolare quel caratteristico fretless tone nel pizzicato, così come il riscontro di determinati elementi ricorrenti nel fraseggio, riconducono sicuramente alla lezione del genio di Norristown.

Ma Manring è tutt’altro che un banale imitatore di Pastorius. Al contrario, gli elementi dello stile di Jaco vengono elaborati in una visione ulteriormente evoluta, arricchita sicuramente dalla vicinanza con Michael Hedges, visionario della chitarra fingerstyle, che ha contribuito allo sviluppo di una prospettiva ben al di là del già evolutissimo concetto di basso elettrico alla Pastorius.

Eloquente in tal senso è questa performance risalente al Bass Day del 1998, nella quale Michael (introdotto sul palco da un altro bassista “niente male”, tale John Patitucci) si cimenta con la pastorianaTeen Town“, ma in un’elaborazione alla quale siamo tutt’altro che abituati.

La tecnica totale: slap, tapping, fingerstyle

Dal punto di vista della padronanza tecnica dello strumento, trovare anche un’infinitesimale debolezza nel Michael Manring bassista appare come una vera e propria impresa.
Sul fretless, peraltro suonato prevalentemente con tastiera cieca, dimostra una capacità di intonazione accostabile a quella degli strumentisti ad arco più navigati; indicativa in questo senso è ad esempio la sua capacità di suonare accordi a più voci su una tastiera fretless senza dare la minima percezione di out of tune. Non provateci (anzi, non proviamoci) a casa…

Altrettanto solida è la sua capacità performativa sui bassi con tasti, solitamente i caratteristici Zon, al pari dei fretless. Abbiamo già ascoltato nel precedente video quale sia la padronanza del pizzicato, parliamo allora delle tecniche percussive. Queste in Michael Manring sembrano aver raggiunto un’eccellente somma tra la tradizionale scuola funky del basso elettrico e l’esperienza finger-percussive del citato Hedges.
Nel dettaglio, si incontrano nello stile di Manring le tracce dello slap classico, del double thumb e del tapping. Il tutto viene messo al servizio dell’elemento espressivo a un livello di coinvolgimento con veramente pochi precedenti.

Ho voluto scegliere questa performance di “Sardonic Grin” come esempio della totale padronanza tecnica dell’artista; il quale, giusto perché già così non era sufficientemente eclettico, si distingue in questa occasione anche per l’utilizzo del capotasto mobile, non esattamente uno degli accessori preferiti dai bassisti.

L’E-Bow sul basso elettrico

Ma forse il capotasto mobile non è l’accessorio più inusuale che vedremo utilizzato da Michael Manring. L’artista ci ha infatti dimostrato di saper emozionare anche servendosi dell’E-Bow, il famoso archetto elettronico utilizzato dai chitarristi elettrici come elemento di sustain.
Molto meno frequente è vederlo tra le mani di un bassista, anche se la connessione tra il basso fretless e lo strumento ad arco (contrabbasso e violoncello in particolare) dovrebbe rendere questa associazione assolutamente naturale.

Michael però non si limita a un utilizzo dell’E-Bow come mero sustainer di accompagnamento: l’archetto è infatti complice della creazione di emozionanti tessiture sonore, arricchite da un sapiente utilizzo degli effetti di ambiente, in una combinazione che sul basso fretless lascia veramente senza parole.

Un bassista “oltre”

Jaco ha aperto la porta, tutti noi non abbiamo fatto altro che entrare“: questa brillante citazione, ricordata dallo stesso Manring durante la bellissima live streaming, ci riconduce in conclusione al concetto di visione. Visione creativa, visione espressiva, visione musicale: Michael Manring è tutto questo.
Ed è vero, lui come tanti altri è semplicemente entrato da quella porta che il genio di Pastorius ha spalancato per tutti noi, ma non si è limitato a mettersi comodo nella stanza in cui ha fatto ingresso: ha continuato a “esplorare la casa”, trovando a sua volta dei nuovi spazi del tutto inesplorati, ai quali ci ha consentito di accedere a nostra volta.

Per definire la poetica di Michael Manring come artista e come bassista, credo che non ci sia finale più adatto dell’emozionante “The Enormous Room” (qui nella versione estratta dalla nostra indimenticabile diretta).

Cover photo by Philippe Lissart