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Buddy Guy e i suoi illustri ammiratori

Buddy Guy è oggi uno dei "grandi vecchi" del Blues. A 80 anni e dopo l'uscita di scena dei vari maestri che lo hanno preceduto, da Muddy Waters a BB King, è il collegamento vivente fra il rock-blues e le radici. Nell'intervista ritrovata nel profondo archivio della rivista Chitarre, datata 1995, era al top della form

Buddy Guy è oggi uno dei “grandi vecchi” del Blues. A 80 anni e dopo l’uscita di scena dei vari maestri che lo hanno preceduto, da Muddy Waters a BB King, è il collegamento vivente fra il rock-blues e le radici. Nell’intervista ritrovata nel profondo archivio della rivista Chitarre, datata 1995, era al top della forma in un momento di grande popolarità dopo l’ennesimo boost offerto dai suoi più noti ammiratori (e in un certo senso allievi) come Clapton, Jeff Beck, Keith Richards.

Il nome di Buddy Guy appare già in alcune delle più importanti incisioni effettuate per la Chess Records di Chicago nei primi anni ’60 da Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Sonny Boy Williamson II, Koko Taylor, Willie Dixon
Il suo stile dinamico e grintoso ha lasciato il segno nello stile di quasi tutti i maggiori chitarristi bianchi che al blues hanno attinto per creare qualcosa di personale. La sua carica di cantante ricco di soul e di comunicativa ne ha fatto un personaggio completo, lo stesso impetuoso performer che pochi anni fa usciva sul palco degli Stones nel docu-film di Scorsese Shine a Light, “spettinando” letteralmente il povero Jagger.

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Ricordo bene la conversazione telefonica da cui è nata l’intervista e il piacere di sentire la voce di un uomo rilassato e tranquillo, disponibile a farsi due risate e sempre pronto a dichiarare il suo rispetto per i grandi maestri del Blues e la gratitudine per chi lo aveva aiutato ad emergere nel circuito internazionale.

Nell’album Slippin’In, appena uscito all’epoca, aveva avuto con sé i Double Trouble, la band del compianto Stevie Ray Vaughan, morto cinque anni prima, e la partecipazione di altri ospiti di rilievo come Johnnie Johnson, per lungo tempo pianista di Chuck Berry, e David Grissom con la sua chitarra elettrica.

Parliamo un po’ di questi anni ’90. Con l’inizio del decennio per te sono cambiate molte cose, con un paio di dischi importanti e i conseguenti Grammy, i riconoscimenti della rivista Billboard… noteyoli soddisfazioni per un musicista. Quale pensi sia stata la causa di tutto?

Per prima cosa penso che Ia nuova casa discografica (Silvertone Records) mi abbia dato finalmente la possibilità di essere me stesso. Fino ad ora ero stato abituato più ad ascoltare che a suonare e invece arrivano questi signori e non mi dicono nulla se non “suona!”
Io voglio solo essere Buddy Guy e quello che puoi ascoltare oggi è il Buddy Guy che ho cercato di essere per tutta la vita, senza avere la possibilità di dimostrarlo. Non so se questo basta a rispondere alla tua domanda… inoltre alcuni dei miei fan sono rimasti fedeli negli anni e ho molti bei nomi che hanno collaborato con me sui dischi di cui parlavi (Damn Right I’ve Got The Blues, 1991 – Feels Like Rain, 1992).

Sembra che questi album abbiano anche venduto piuttosto bene in tutto il mondo. Avranno influito anche le parole di gente come Eric Clapton quando ti definiva “uno dei più grandi chitarristi in circolazione”?

Beh, Eric è sempre stato un mio fan e mi ha dato il suo appoggio negli anni, il che ha avuto di sicuro il suo impatto sulla mia carriera. Sono molto orgoglioso di questo, dell’amicizia di gente come lui, Jeff Beck, Bonnie Raitt, che salgono di frequente sul mio palco e suonano… senza problemi.

Stai per aprire alcune date degli Stones nel nuovo tour…

Sì, tra due settimane.

Questo riporta la memoria ad una ventina d’anni fa, quando hai fatto lo stesso in occasione di un loro tour europeo.

Te ne ricordi? Era nel ’70.

Come andarono le cose allora?

Oh, ci siamo divertiti tanto! Conoscevo quei ragazzi da prima che diventassero così famosi e non se sono mai dimenticati. Mi sono stati di grande aiuto in molti modi… seriamente. Sono in molti tra noi a dovere parecchio agli Stones, Clapton, Beck… per tutte le strade che ci hanno aperto. Da soli non ci saremmo mai riusciti.

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Photo by Steve ProctorCC BY-SA 4.0

ln questo nuovo album riproponi un pezzo, “Man Of Many Words”, che faceva parte del tuo repertorio nel periodo in cui facevi coppia con Junior Wells. Era più semplice dividere il palco con un altro frontman?

No, a me piace essere autonomo, fare da solo, e se non hai abbastanza tempo… I fan vorrebbero da te sempre il massimo ma quando devi dividere a metà lo spettacolo con un altra persona questo non lo puoi dare. E alla fine cominci ad aver bisogno di maggiore spazio. Col passare degli anni abbiamo cominciato a capire che la gente chiedeva sempre di più sia a lui che a me e abbiamo deciso di tornare a lavorare separatamente. Capita ancora di incontrarci per qualche concerto assieme.

Tornando al disco, c’è dentro del gran blues e anche qualche cosina da sottolineare. ln “Love Her With A Feeling” suoni molto veloce, tirato: è probabilmente il pezzo più scatenato. Sembra quasi di sentire le corde della tua chitarra che dicono “Basta!”

(Ride) Grazie…

Nella seconda metà dell’album sembri uscir fuori un po’ più come cantante, sfoderando tutta la tua esperienza e bravura…

Non c’è nessuna pianificazione particolare. Cerco solo di fare del mio meglio affinché i miei fan capiscano che sto pensando a loro e mi sforzo per rendere al massimo. Sono contento che in questo momento la mia casa discografica mi dia la possibilità di fare tutto questo.

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Photo by Bryan ThompsonCC BY 2.0

Hai registrato tutto “live” nello studio?

Tutto. Per metà a Chicago e il resto ad Austin, in Texas.

Con che chitarre?

Sempre una Fender Stratocaster Buddy Guy Signature Model. Come ampli un Fender Bassman reissue, quelli che rifanno adesso proprio come il modello del ’59.

E nessun tipo di pedale, effetto?

No. A parte un paio di brani dove sfrutto il wah-wah o un piccolo octaver.

Immagino questo sia anche il tuo setup per gli spettacoli live…

Assolutamente lo stesso. Mi trovo veramente bene con quell’amplificatore.

E le corde che usi?

Oh… .010-.046, credo. Si adattano bene sia al plettro che alle dita

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Come ti sei trovato arrivando a Chicago negli anni ’50 da giovane musicista in mezzo a gente già famosa come Muddy Waters, B.B. King e gli altri…?

Beh… quelli che hai nominato erano già famosi ma avresti dovuto sentire gli sconosciuti! Appena arrivato in città ne ho visto uno in un locale che mi ha quasi convinto a tornarmene a casa. Ho suonato con un armonicista e un batterista che probabilmente nessuno ha mai conosciuto al di fuori di Chicago e… Jesus Christ! Che cos’erano!
Forse avrei dovuto buttar via la chitarra perché c’erano chitarristi che potevano farmi veramente girare come una trottola. E poi c’erano Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Sonny Boy Williamson e tutta quell’altra gente…
Ora io sono qui ma non perché fossi il più bravo o qualcosa del genere, forse ho avuto piu fortuna di tanti altri, più possibilità. Ci sono molte risposte possibili e le mie non sono meglio delle tue. Di sicuro ero fermamente determinato ad arrivare a suonare con i più grandi, ero sempre lì ad ascoltare, e quando Muddy o Howlin’ Wolf mi hanno finalmente chiamato non ho cercato di impressionarli con la bravura, ma ho detto: “Ok: ditemi cosa volete che suoni”.

In questo modo, come session-man alla Chess Records, hai partecipato nei primi anni ’60 ad alcune delle più importanti incisioni di blues della storia. Ce n’è qualcuna che ricordi con maggiore emozione?

L’album acustico di Muddy Waters, Folksinger, che ho registrato in trio con lui e Willie Dixon nel 1964. Me lo ricordo perché dissero a Muddy di cercare qualcuno che sapesse suonar bene la chitarra acustica e lui scelse proprio me.

…che, in realtà, avevi sempre lavorato come chitarrista elettrico. Sbaglio?

Ho sempre cercato di fare quello che mi chiedevano. Non cercavo certo di impormi su Muddy Waters… io non sono fatto così. Ancora oggi mi comporterei allo stesso modo: quando suona qualcuno come Muddy Waters o B.B. King, Buddy Guy si ferma e ascolta.

Per finire, come va il tuo club a Chicago?

Molto bene: facciamo musica sette sere alla settimana. Il lunedì c’è una open-jam soprattutto per i giovani: qualunque sia il tuo livello segni il nome, aspetti il tuo turno e suoni! Cosi io ho modo di ascoltarne tanti… se passi da Chicago porta il tuo strumento!

Oh… grazie! Non mancherò. Tu suoni spesso nel locale?

Sarebbe previsto solo una volta l’anno, ma i fan non me la fanno passare così liscia e mi capita così, ogni tanto, di fare una jam con qualcuno.

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Per leggere l’intervista originale con gli esempi da suonare, acquista Chitarre n.107 in versione digitale scrivendo a [email protected].

Cover photo by Alberto CabelloCC BY 2.0