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Dischi in vinile? Parla l’autore di Alta Fedeltà

Sono passati più di 6 mesi da quando ho pubblicato uno scritto sulle pagine di Musicoff - con non poco timore delle conseguenze - scaturito da quanto a mio modo di vedere si stava accumulando, tra chiacchiere, leggende metropolitane e pezzi di giornalismo che cavalcano l'onda della polemica gratuita, a proposito

Sono passati più di 6 mesi da quando ho pubblicato uno scritto sulle pagine di Musicoff – con non poco timore delle conseguenze – scaturito da quanto a mio modo di vedere si stava accumulando, tra chiacchiere, leggende metropolitane e pezzi di giornalismo che cavalcano l’onda della polemica gratuita, a proposito del ritorno dei dischi in vinile.

Ciclicamente viene riproposto sui nostri social network e ogni volta mi rendo conto che, nonostante una minoranza abbia inteso il senso dell’articolo, soprattutto concentrato nella parte finale, ancora una stragrande maggioranza di persone continui (mi chiedo se a fronte di una reale e attenta lettura) a ipotizzare o addirittura “litigare” sul puro, e inutile, fattore tecnico della qualità audio. 
Meglio uno, meglio l’altro… si fa davvero fatica a spostare la discussione sul nodo fondamentale: come vogliamo vivere la nostra esperienza di ascolto musicale.

Dischi in vinile? Parla l'autore di Alta Fedeltà

Pochi giorni fa è stata pubblicata un’intervista a Nick Hornby. A qualcuno questo nome potrà non dire molto, ma a quelli della mia generazione dice tantissimo: si tratta dello scrittore del famoso libro Alta Fedeltà (High Fidelity) da cui fu tratto l’omonimo e fortunato film con protagonisti John Cusack e uno scatenato, come al solito, Jack Black.

Non vi riassumerò la storia, chi non la conosce corra sia a comprare il libro che a guardare il film.
Ma chi la ricorda, sa bene quanto i dischi in vinile rivestano una particolare importanza in essa e che tutta la trama corre sul filo di classifiche dei “5 migliori”, su praticamente qualsiasi cosa.

Dopo 23 anni dall’uscita del libro, proprio nel periodo in cui i dischi in vinile venivano soppiantati dai compact disc, Hornby offre opinioni e spunti di riflessione assai interessanti, non prevedibili per chi si sarebbe aspettato una sorta di “guerriero crociato” del mondo vinilico.
Opinioni che convincono oggettivamente anche me, che certo non posso (e non nascondo) di avere un alto grado di “contagio” da sindrome dei solchi.

Nick Hornby

Nick Hornby Photo by Joe MabelCC BY-SA 3.0

La prima domanda è netta, si chiede allo scrittore perché il disco in vinile sia così importante (se lo è…). 
La risposta fa piazza pulita degli esoterismi: a Hornby il vinile piace e tanto, ma prima di tutto gli piace la musica. E una cosa la dice a chiare lettere: siamo maledettamente fortunati oggi ad avere nelle nostre tasche un dispositivo che si connette a database immensi in un attimo e ci permette di ascoltare gratis, o quasi, tutta la musica possibile.
Il fattore qualitativo in questo caso è ampiamente a favore di streaming e smartphone vari. Non ce ne vogliano gli utilizzatori di costosi apparecchi DAC, che staranno inorridendo a tale affermazione, ma a loro vogliamo ricordare che la prassi, due decenni fa, era quella del walkman: cassette spesso doppiate (male), in lettori dalle prestazioni oggi ridicole, con cuffie della peggior specie (e dopo un po’ anche dolorose da portare) e un consumo di pile che certo non era né economico né pro-ambiente.

Da questo punto di vista, i formati digitali sono conquiste pazzesche, specialmente ora che con la banda larga si possono ascoltare anche i formati lossless in ben alta qualità.
Lo dice Hornby, lo dice Neil Young, lo dico anche io onestamente.

Dischi in vinile? Parla l'autore di Alta Fedeltà

L’altra faccia della medaglia, dice però Hornby, è che pur essendo lui un entusiasta ascoltatore in streaming, questo tipo di tecnologia lo condiziona maggiormente a un ascolto “saltellante” e randomico. Ad ascoltare canzoni neanche per intero. A una “faciloneria” che poco ha a che vedere con l’apprezzamento della musica al suo massimo livello.

In questo senso, dice, quando un artista lo appassiona, preferisce sempre recarsi in negozio e acquistare il disco in vinile (se esiste), per dare un freno a questa sorta di metodo di ascolto “ansiogeno” e rilassarsi e concentrasi seduto davanti all’album. Senza fare altro, cosa che spesso accade quando si ascolta per “compagnia”.

Finora tutto piuttosto banale per chi ha una visione reale dell’argomento e non parteggia per nessuna (irreale) fazione.
Una però delle asserzioni più interessanti di Hornby arriva alla domanda sul “perché” del ritorno della musica in vinile.

Dischi in vinile? Parla l'autore di Alta Fedeltà

Precisato che in realtà non è mai veramente scomparsa, lo scrittore mette alla luce del sole una verità che forse a molti spaventa oggi, ma che era la spinta interiore di tanti vecchi “nerd” dei 33 giri: quello che possiedi dice qualcosa di te.
Non guardate a questa affermazione in senso consumistico. 
Ciò che Hornby dice è che certe passioni si legano a certi oggetti, che sono un’espansione della nostra personalità. Un archivio che si conserva nel tempo, che si può toccare, che resta sempre con noi e fa parte di noi e che si può tramandare.

Con Spotify o altri mezzi non possiedi realmente nulla, dice l’autore. Non puoi tramandare nulla. Non puoi raccontare nulla di te quando sei offline. 
Nella passione musicale una collezione di vinili è quanto di più forte si può urlare al mondo, nei fatti, dell’amore che portiamo dentro per questa arte.
Prima che intervenga la facile polemica: questa cosa può valere anche per i cd digitali. Certo è che in questo senso, tattile, il vinile è la massima espressione di questo “sano egocentrismo”, che non per forza è forma di vanto (magari un pochino…), ma semplicemente di affermazione di noi stessi (e spesso a noi stessi).

Difficile, assai difficile, spiegare questo e contemporaneamente evitare le obiezioni sul fatto che “un oggetto non può descrivere un’emozione“. Ma in realtà facciamo questo ogni giorno in mille modi, pur senza accorgercene (e/o ammetterlo).
Io, che ascolto praticamente su ogni formato, posso affermare senza vergogna che quando guardo il software streaming sul telefono non riesco a sentirmi in contatto con esso neanche per un secondo, non ce n’è motivo. Quando guardo i miei dischi sugli scaffali, per ognuno ho un preciso ricordo di vita e potrei parlarvi minuziosamente di come, quando e perché siamo stati “legati”.

Mi sembrava giusto incuriosirvi, senza assolutamente farvi alcun “pippozzo” sull’argomento, nel leggere questa intervista. Che continua con altre domande, alcune anche divertenti. 

La trovate completa a questo link.
Buoni ascolti!

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