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L’altro gigante russo: Sergej Prokof’ev

Come spesso accade fra grandi personalità anche Prokof’ev e Sostakovic non si compresero mai del tutto, il punto di contatto fra un nevrotico ossessivo (il secondo) ed un egocentrico pragmatico (il primo) era davvero arduo da rintracciare. I due giganti della musica russa del '900 lavorarono su vie distanti, recipro

Come spesso accade fra grandi personalità anche Prokof’ev e Sostakovic non si compresero mai del tutto, il punto di contatto fra un nevrotico ossessivo (il secondo) ed un egocentrico pragmatico (il primo) era davvero arduo da rintracciare. I due giganti della musica russa del ‘900 lavorarono su vie distanti, reciprocamente senza mai risparmiare l’un l’altro l’indifferenza o la disapprovazione per i propri lavori.

Incurante del mondo in procinto di crollare, Sergej Prokof’ev non si preoccupò minimamente di rendersi partecipe dei momenti che cambiarono la storia del suo paese. In viaggio di piacere sulle rive del Volga o completamente rinchiuso nel proprio straniato esilio creativo, non sembrava interessarsi, almeno inizialmente, agli avvenimenti politici che sconvolsero la Russia. Nel febbraio 1917 stava attendendo la prima rappresentazione de “Il giocatore”, opera-adattamento della novella di Dostoevskij, che trovò maggiore fortuna solamente nel 1929 a Bruxelles. L’aria dei confini Russi sembrava essere troppo stantia per il respiro compositivo di Prokof’ev, che presto decise di presentarsi al Commissariato dell’Istruzione per un passaporto che gli consentisse di viaggiare fuori confine.

L'altro gigante russo: Sergej Prokof’ev

C’è chi ha paragonato Prokof’ev a Phileas Fogg, senza troppi torti. Il viaggio del compositore russo non è poi troppo lontano da quello raccontato nel celebre romanzo di Jules Verne. L’espresso della Transiberiana portò Prokof’ev verso il Giappone, il compositore voleva giungere a Buenos Aires, ed infatti arrivò a San Francisco.
In terra americana fu perquisito e trattenuto dalle forze dell’ordine a causa della sua provenienza sospetta. Per passare il blocco affermò di odiare i bolscevichi perché gli avevano confiscato il patrimonio, così facendo l’America fu sua… o quasi.

Mentre il mito della fortuna americana dilagava in ogni dove, Prokof’ev avrebbe rappresentato l’eccezione alla regola. Il rapporto del compositore con il territorio statunitense non fu sempre idilliaco, malgrado la grande stima tributata al suo virtuosismo pianistico. Le sue composizioni facevano fatica ad attecchire. Anche “L’amore delle tre melarance” (1921), opera basata sulla fiaba di Gozzi riadattata da Mejerchol’d, sicuramente uno dei passi interessanti della carriera operistica di Prokof’ev, non riscosse che qualche successo a Chicago, deludendo totalmente nelle riprese newyorkesi.

Intorno ai primi anni venti del Novecento, Prokof’ev si stabilì a Parigi dove però la popolazione era già innamorata di un altro russo, Stravinskij, che malgrado non godesse della stessa capacità melodica di Prokof’ev, rappresentava l’emblema del compositore al passo con i tempi. Lo stesso non si poteva dire di Prokof’ev che ancora arrancava nel genere operistico, vedendo sfumare, a Parigi come poi a Berlino, la possibilità di rappresentazione del suo lavoro più impegnativo: “L’angelo di fuoco” (1928).

Durante i viaggi fuori dal confine russo il compositore si cimentò anche nella produzione di musica strumentale, in cui indubbiamente il pianoforte occupò sempre una posizione centrale. Le sonate per pianoforte rappresentano, insieme alle sinfonie, il nucleo più corposo delle composizioni strumentali. Nel 1924 Prokof’ev mostrò con la “Seconda Sinfonia” la sua concezione di deviazione dalla struttura preconfezionata del genere, proseguendo il discorso anche con la “Terza” (1928) e la “Quarta Sinfonia” (1930), l’ultima del periodo europeo.

I momenti più fortunati del periodo europeo di Prokof’ev si possono individuare nei lavori realizzati in collaborazione con Serge Diaghilev, per il quale il compositore russo scrisse roboanti e percussivi balletti, fra cui spicca “Le pax d’acier” (Il passo d’acciaio) del 1927. Il periodo europeo è però vissuto da Prokof’ev come momento di considerazioni e riflessioni, la presa di coscienza di voler virare verso un nuovo approdo artistico appartiene esattamente a questo periodo, il ritorno in Russia non avrebbe tardato a raffigurarsi come un’opzione accettabile.

Il compositore presto iniziò a non essere più pago dello stile impetuoso e dissonante che aveva perfezionato in gioventù, e che aveva caratterizzato i suoi lavori fino a quel momento. La via per scagionarsi dalla situazione di stallo che aveva condizionato il viaggio in occidente stava proprio in quell’infinito raccoglitore melodico che abitava la mente di Prokof’ev. Pochi nella storia della musica hanno potuto contare su un bagaglio di melodie pressoché sconfinato e pronto ad essere utilizzato, Prokof’ev era uno di questi.

Sembrava pescare da un cilindro senza fondo, da cui estrarre idee melodiche ampie, ricche di vertigini e depressioni riflessive, mai ripudianti le sperimentazioni della gioventù e operanti su un linguaggio tonale allargato d’una grazia e raffinatezza con pochi paragoni. Prokof’ev auspicava per la propria musica ad un ritorno alla tradizione classica e romantica, simile progetto era quello decantato dal realismo socialista in territorio russo. Prokof’ev finì per convincerci che la visione del mondo sovietico fosse esattamente aderente alla sua.

Nel 1927 Prokof’ev tornò all’ovile cercando di concentrare il proprio sguardo sulle migliorie apportate dal regime piuttosto che sulle limitazioni. Il compositore confidava di tornare a godere dell’attenzione non tributatagli durante il suo peregrinare. Il 1938 sarà anno fondamentale per Prokof’ev che darà vita al suo lavoro più celebre, il balletto “Romeo e Giulietta” (1940), esempio fondamentale di quel linguaggio tonale allargato raffinato e sottile che caratterizzava la penna del compositore. A causa di alcune difficoltà create, oltre che dal rituale torchio sotto cui ogni compositore doveva passare, anche dall’inedito lieto fine con cui Prokof’ev aveva scansato la matrice shakespeariana, il balletto arrivò sulle scene solamente nel 1940 per essere accolto con discreta indifferenza.

Il compositore tentò allora la “via della propaganda”, a differenza di Šostakovič, che sbrigava i suoi doveri ufficiali con la massima efficienza ed in modo distaccato (1). Fu con la cantata “Zdravitsa” (1939) che Prokof’ev riuscì nell’intento d’ottenere la gloria: celebrava le gesta di Stalin, amorevole uomo del Cremlino, e fu giudicata tanto realista da venir trasmessa in diffusione radio dagli altoparlanti delle strade di Mosca. La conferma ufficiale del lavoro di Prokof’ev arrivò con la colonna sonora scritta per il film di Sergej Èjzenštejn “Alexandr Nevskij”, premiato nel 1939 con il primo premio Stalin.

Il lavoro con Sergej Èjzenštejn rappresenterà la punta di diamante della produzione di Prokof’ev, in una collaborazione di creazione artistica che fondeva il lavoro di regia con quello di scrittura musicale in un intima relazione di comunicazione, sulla scia di ciò che le creazioni animate di Walt Disney avevano mostrato. Prokof’ev non aveva smesso in questi anni di recarsi in occidente, ma nel 1938, come da procedura sovietica, il passaporto per varcare il confine russo gli fu ritirato per non essergli mai restituito, il compositore apparteneva definitivamente a Madre Russia. Nel 1939 Prokof’ev si cimentò nella prima opera russa: “Semën Kotko” (1939).

Il compositore era attratto dalla possibilità di lavorare con Mejerchol’d, che era al lavoro sul soggetto per una messa in scena al Teatro dell’Opera Stanislavsky. Nel ’39 Mejerchol’d si lasciò andare a qualche commento incauto riguardo la politica sovietica, ed il 20 giugno venne arrestato. La première fu rimandata, il 23 agosto dello stesso anno Stalin e Hitler firmarono il patto Molotov-Ribbentrop, dopo il quale i tedeschi non potevano più essere raffigurati come elementi negativi dell’opera. “Semën Kotko” venne modificata frettolosamente per il debutto ma, superata una silenziosissima première, fu abbandonata al dimenticatoio.

Nel 1940 Stalin ordinò ben 346 condanne a morte, fra cui figurava anche quella di Mejerchol’d, Prokof’ev subì un duro colpo psicologico. La storia ci ha raccontato che il Molotov-Ribbentrop non impedì ad Adolf Hitler di invadere la Russia nel 1941, evento cui Prokof’ev rispose con l’opera “Guerra e Pace” (1941), tratta dal celebre e omonimo romanzo di Lev Tolstoj. Nel 1945 Prokof’ev si era cimentato nella direzione della première della sua “Quinta Sinfonia”, opera decisamente nuova per il compositore a causa delle sue ampie dimensioni “beethoveniane”, uno scarto importante rispetto alla precedenti sinfonie molto più simili, per dimensioni, a delle suite. La “Quinta” sarà l’apice di Prokof’ev, il cui successo fu turbato da un tuono di cannoni, questa volta a salve però, per celebrare l’entrata dell’Armata Rossa in Polonia al varco della Vistola.

Nel gennaio del 1945 Prokof’ev ebbe un capogiro e cadendo si procurò una grave commozione cerebrale, i cui danni non sarebbero mai svaniti, dando inizio alla fine del compositore. Le sue sventure si unirono per una volta a quelle del poco amato collega Šostakovič, quando Ždanov nel 1948 calò la scure su “La grande amicizia” di Muradeli, per emanare nel febbraio dello stesso anno il Decreto Storico, che metteva al bando, fra le tante opere, anche la “Sesta” di Prokof’ev.

Come sappiamo Šostakovič si scusò pubblicamente su “consiglio” del regime, Prokof’ev non partecipò alla cerimonia dandosi malato. Il giorno dopo la pubblicazione del Decreto Storico la morte di Èjzenštejn inferse un altro durissimo colpo alla salute psicologica di Sergej, che vacillò ulteriormente dopo l’arresto della prima moglie, Lina Prokof’ev, spedita in un gulag con accusa di spionaggio. Quando la carriera del compositore stava per concludersi arrivò il primo segnale di riavvicinamento con Šostakovič, che aveva inviato a Prokof’ev un biglietto di congratulazioni. “Ti auguro altri cento anni di vita e creatività. Ascoltare opere come la tua ‘Settima Sinfonia’ rende la vita molto più facile e gioiosa”.

Il culmine delle sventure di Prokof’ev arrivò il giorno della sua morte, che coincise con il giorno della morte di Josef Stalin. Il 6 marzo 1953 Mosca cadde nel caos, il pungo di ferro di Stalin cadeva definitivamente, la notizia fece tanto rumore da oscurare la morte di Prokof’ev, che venne annunciata solamente cinque giorni dopo.

Francesco Sicheri

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