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La fragilità e le paure di Dmitrij

Non ci sono dubbi riguardo l'affare Šostakovič, fu uno dei più feroci attacchi del regime ai compositori sovietici, nell'oscurare la luce di uno fra i più importanti esponenti si stabiliva una linea di confine molto chiara e invalicabile. Šostakovič dal canto suo si sentì in dovere di reagire ad ogni costo alla

Non ci sono dubbi riguardo l’affare Šostakovič, fu uno dei più feroci attacchi del regime ai compositori sovietici, nell’oscurare la luce di uno fra i più importanti esponenti si stabiliva una linea di confine molto chiara e invalicabile. Šostakovič dal canto suo si sentì in dovere di reagire ad ogni costo alla censura di “Lady Macbeth” (1934), modalità e condizioni non furono delle più scontate però.

Se dovessimo seguire le parole del compositore non avremmo dubbi nell’affermare che la “Quarta Sinfonia (1935-36) fu l’orgogliosa risposta a Stalin, eppure ad un occhio attento non può sfuggire che l’incongruenza di alcuni elementi nel confermare la teoria. Stando alle datazioni ufficiali, quando la Pravda emise il suo giudizio, Šostakovič aveva già composto due dei tre movimenti della Quarta Sinfonia (1935-36).

È quindi possibile che la sinfonia sia stata completata con la volontà del compositore di insorgere in difesa della propria arte, ma la personalità di Šostakovič era tutt’altro che ordinaria ed il primo vagito di rivolta della Quarta Sinfonia non fu esattamente ciò che definiremmo un duro colpo al potere. Quando a Leningrado iniziarono le prove per la prima rappresentazione, nell’autunno del 1936, a causa di una visita di alcuni personaggi interni al Partito Šostakovič fu convocato dal direttore d’orchestra. Esito della convocazione fu il ritiro della sinfonia.

La paura era tutta intorno a noi“, racconterà Šostakovič successivamente. Quando “Lady Macbeth” (1934) fu rinchiusa dietro la cortina del sipario, le massicce lenti di Šostakovič dovettero appannarsi inesorabilmente. Da quel momento in poi la vita del compositore proseguirà divisa fra la volontà di affermazione della propria posizione e l’incapacità di superare il timore di riuscirci. L’ambiguità diverrà il suo mondo, l’incomprensione il suo mondo visto dall’esterno. Dopo il 1936 per quasi due anni Šostakovič non pubblicò alcunché.

A dimostrare la probabile falsità del carattere eversivo della Quarta, arrivò nel novembre del 1937 la “Quinta Sinfonia“, dalla struttura classica (Moderato, Allegretto, Largo, Allegro non troppo) e “comprensibile” all’ascoltatore medio. La “risposta creativa” di Šostakovič faceva forza su una chiarificazione d’intenti musicali rispetto a ciò che era apparso troppo “moderno” in precedenza.
Nella mente del più ambiguo dei compositori doveva sembrare assolutamente azzeccato rispondere alla censura con mansuetudine. Malgrado ciò è difficile dare giudizi categorici sul comportamento di Šostakovič. La chiave che apre alla comprensione è una soltanto: ironia. La Quinta Sinfonia (1937) nascondeva in sé la stessa dose d’ironia codificata di cui erano frequentemente cariche molte affermazioni del compositore.

All’avvicinarsi del 1944 Šostakovič affermerà la felicità per l’imminente liberazione dal giogo hitleriano verso la pace sotto il dominio di Stalin. Frasi simili erano da leggersi con la stessa ironia che aveva contraddistinto “Il Naso” (1930), mai svanita ma nascosta in una coltre di propagandistica adesione al regime. “L’ironia, nella definizione standard, consiste nell’intendere con le proprie parole qualcosa di diverso da quanto appare a prima vista. Per parlare dell’ironia musicale, prima bisogna essere d’accordo su ciò che essa sembra dire, e poi convenire su ciò che in realtà sta dicendo” (1).

Inevitabilmente si tratta di un’operazione molto difficile, è richiesta estrema attenzione nel tentativo d’interpretare i molteplici livelli di significazione contenuti dalla musica. C’è quindi da pensare che Šostakovič intendesse sempre il contrario di ciò che esprimeva? La Seconda Guerra Mondiale mostrò un Šostakovič dal grande sentimento patriottico, pronto anche a partire volontario, ma miseramente respinto a causa degli occhiali.

Si unì quindi al corpo dei pompieri che lo eressero a monumento, esponendone persino una foto in posa propagandistica che verrà utilizzata anche per la  copertina del Time. La Sinfonia n° 7 “Leningrado” (1942) è il lavoro più importante di questi anni. Composta ed eseguita in anteprima al pianoforte quando le sirene suonavano il timore dei raid aerei. Arturo Toscanini ne diresse la prima newyorkese il 19 luglio 1942, dopo un travagliato viaggio della partitura per arrivare a destinazione.

Dopo la prima esecuzione russa del marzo ’42, solamente il 9 agosto dello stesso anno, nel mezzo dei bombardamenti e nei giorni più duri, la partitura fu riportata da un aereo militare a Leningrado per essere eseguita dall’Orchestra della Radio. I musicisti furono reclutati fra le truppe per colmare le perdite dell’organico originario, l’orchestra era ormai ridotta ad una quindicina di componenti. “Una schiera di altoparlanti diffuse quindi la Leningrado nel silenzio della terra di nessuno” (2), mentre i musicisti sopravvissuti all’impegno bellico la eseguivano con orgoglio.

La fragilità e le paure di Dmitrij

La “Sinfonia n° 7” (1942) voleva riportare in musica le emozioni della battaglia, a catturare immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore è il primo movimento. La raffigurazione dell’invasione, ma soprattutto dello stato d’animo di quell’istante, è realizzata con un crescendo che strizza l’occhio al celebre “Bolèro” di Ravel, per più di 300 battute Šostakovič indugia su un tamburo militare che fa da tappeto ad un motivo molto semplice. Il tema è presentato dagli archi pizzicati sul ritmo del tamburo militare, che determina l’ineluttabile arrivo della guerra, per poi essere variato lungo la sua ampia disposizione in partitura.

Per anni la “Leningrado” è stata considerata come un mero esercizio di propaganda bellica, eppure una lettura in chiave ironico-sarcastica ne rivela lo stesso grado di contestazione alla follia della società staliniana che si ritrova fra le pagine del celebre romanzo “Il maestro e Margherita” di Michail Bulgakov uscito nel 1966. Certo è che il regime apprezzò notevolmente il nuovo lavoro di Šostakovič, prima eretto baluardo della battaglia e poi ufficialmente ripristinato sul piedistallo di campione fra i compositori sovietici.

Dall’ottava sinfonia ci si aspettava la celebrazione della vittoria su Hitler, una sinfonia roboante, corale e festosa. Šostakovič promise di scrivere un lavoro di questo tipo, finendo però per trovarsi in grandi difficoltà in fase di stesura, e presentando al pubblico tutt’altro. Nel novembre del 1945 la “Sinfonia n° 8” (1945) debuttò creando grande sconcerto, e s’iniziò a pensare che Šostakovič non fosse più concentrato sul suo “dovere” di compositore. L’impudenza era sul punto d’esser punita nuovamente.

La fragilità e le paure di Dmitrij

Il 5 gennaio del 1948 Stalin si recò nuovamente a teatro per vedere “La grande amicizia” di Muradeli, purtroppo anche in quell’occasione il dittatore non si divertì. Andrej Ždanov, braccio di ferro della censura staliniana, alzò la voce nel dichiarare la rinnovata validità dell’editoriale “Caos anziché musica” uscito pochi anni prima. I fantasmi di Šostakovič tornavano a farsi vivi e con nuova forza.

Il 10 febbraio 1948 il Comitato Centrale emanò il Decreto Storico e quattro giorni dopo quarantadue opere etichettate come “formaliste” furono messe al bando, fra queste, oltre alla “Sesta” (1947) di Prokof’ev, figuravano anche la “Sesta” (1939), “Ottava” (1943) e “Nona Sinfonia” (1945) di Šostakovič. Si tenne un’Assemblea Generale dei compositori in occasione della quale molti convocati, fra cui Profof’ev, non vi presero parte. Si presentò invece Dmitrij Šostakovič che, miserabile pupazzo, da dietro le solite spesse lenti degli occhiali, lesse un discorso di scuse appositamente scritto da un agente del Partito.

L’anno successivo Šostakovič accettò di recarsi negli Stati Uniti con una delegazione scientifico-culturale. Poco prima di partire ricevette una telefonata di Stalin, che si mostrò “stupito” dall’apprendere dal compositore che le sue opere erano proibite in patria. Lo stesso giorno le opere di Šostakovič furono riabilitate, giusto in tempo per la sua partenza verso l’America. Iniziò un periodo di composizioni troppo ruffiane anche per l’anno più diplomatico di Šostakovič, artefice e mastro artigiano dell’unione. Il compositore trovò presto nella forma dei quartetti d’archi la propria misura, dentro intricate e tortuose fughe che assomigliavano molto ai suoi pensieri.

Il 5 marzo 1953 morì Stalin. Da quel giorno in poi Šostakovič riacquistò gradualmente un po’ d’onestà nei confronti della propria vena artistica. I travagliati trascorsi vennero riassunti nella “Sinfonia n° 10” (1953), che non riuscì comunque a colpire nel segno come seppero fare i pochi slanci di coraggio apparsi qua e là nella carriera del compositore. Šostakovič vivrà fino al 1975, sempre vittima del proprio animo e mai capace di trovare la forza necessaria a superare le proprie nevrosi e paure, vero onnipresente ostacolo da sempre capace d’offuscare le profonde lenti “a fondo di bottiglia”.

Note:
(1) Alex Ross, La grande guerra patriottica, in Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, p.390-391, III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013.
(2) Alex Ross, La grande guerra patriottica, in Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, p.392, III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013.

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