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La foresta sinfonica in Sibelius

Reincarnazione di Beethoven o compositore kitsch, Jean Sibelius rimane ancora un'indefinita e solitaria apparizione dalla foresta. Oscillante tra lo sdegno amletico di sé e l'ebbro entusiasmo, raggiunse la sua fortuna critica tra gli anni venti e trenta del Novecento, senza vedere mai in opera il suo capolavoro: l'Ott

Reincarnazione di Beethoven o compositore kitsch, Jean Sibelius rimane ancora un’indefinita e solitaria apparizione dalla foresta. Oscillante tra lo sdegno amletico di sé e l’ebbro entusiasmo, raggiunse la sua fortuna critica tra gli anni venti e trenta del Novecento, senza vedere mai in opera il suo capolavoro: l’Ottava sinfonia.

Jean Sibelius forgiò un rapporto vitale con la sua terra e le forme sinfoniche che rischiavano di rimanere reliquie romantiche, risvegliando il culto della musica classica in patria e al di fuori; ricevendo l’onere della solitudine che spetta all’eroe patrio e aprendo la strada a vari compositori delle “piccole nazioni” scandinave e dell’est nostalgici di una giovinezza perduta in un passato pretecnologico. 

La foresta sinfonica in Sibelius

La Finlandia – influenzata dalla cultura svedese – è una nazione di ceppo linguistico ugro-finnico ricca di leggende nazionali rinchiuse nel Kalevala, il grande poema epico di tradizione orale codificato nel 1835 dal medico di campagna Elias Lönnrot.
Qui narrata è la storia del sanguinario guerriero Kullervo, trafittosi con la sua spada orante dopo averle chiesto quale sangue brami: pretende un colpevole macchiatosi del peccato di stupro.

Questa è l’opera prima di Jean Sibelius, un poema sinfonico per coro maschile, soli e orchestra che anticipa parzialmente il realismo folk di Bartók e Stravinskij nella scrupolosità del ritmo e nel tono della recitazione. La poesia epica finlandese ha un suo metro particolare: un tetrametro trocaico con le vocali allungate che suscitano pathos.

Un successo alla prima di Helsinki nel 1892 ma il nostro Sibelius è più che altro “l’amante” della sinfonia. Braccato da debiti, alcool e malattie, uno Jean angosciato trasferitosi ad Ainola, rustico nelle campagne di Helsinki, suggestionato dalla natura tersa della foresta trovò l’ispirazione per la decostruzione sinfonica della Terza Sinfonia, cui il movimento finale da scherzo s’evolve in marcia della terra. Da ricordare è l’avvenuta di Gustav Mahler a Helsinki (nel 1907) in veste di direttore concertistico, quando espose la sua idea di “sinfonia-mondo onnicomprensiva” che influenzerà Sibelius, fautore della “severità della forma”.

La sua significativa Quarta Sinfonia viene attaccata dai violoncelli, dai contrabbassi e dai fagotti che eseguono una sequenza esatonale sviluppando un moto circolare da eterno ritorno sui nodi irrisolti. La sezione centrale del movimento è basata su abbozzi per un arrangiamento voce de The Raven di E.A. Poe, ed è da quest’ultimo che deriva il gusto per le ripetizioni ipnotiche di immagini terrificanti.

L’inaudibile lamento del flauto e dell’oboe nella coda si sposano profanamente alle parole “Quoth the Raven, ‘Nevermore’“. La sinfonia si eclissa con un mezzoforte estemporaneo tradendo gran parte delle sinfonie romantiche tendenti a un fortissimo o pianissimo. Era anch’esso uno “Skandalkonzert” ma taciturno!

Per Jean Sibelius “la sinfonia è una confessione di fede nelle varie fasi della vita”, un senso melanconico si celava dietro queste parole e sotto la composizione della Quinta (1915). Qui lo schema della forma-sonata si dissolve nell’evoluzione della materia tramite le care ripetizioni ipnotiche, così la musica diviene ricerca del senso recondito nelle profondità di una struttura aperta e dalla “forma rotante”, ricorda il musicologo J. Hepokoski. La tonalità sfruttata è un “eroico” MI bemolle maggiore, ma la melodia appare aleatoria, indefinita.

Non sazio del suo lavoro Sibelius decise di tagliare la fine del primo movimento e l’inizio del secondo per combinarli in una dissolvenza cinematografica approdante verso la calma apparente del secondo movimento, dove prende vita un motivo di intervalli ascendenti e discendenti, ripreso e mutato dai corni in un tema che trascende la natura: l’inno al cigno. La chiusa è in sei accordi armonicamente lontani e il cigno si fa sole. Insoddisfatto della forma fluida della Quinta, Sibelius volle trascrivere il canto proprio della Natura, ma nella Sesta ritorna quello spirito “pseudo-neoclassico” della sua Terza.

I motivi naturali dei pini e del vento estinguono la struttura rotante e il movimento si rintana nella flebile musica degli archi. La Settima rappresenta il seguito della Quinta grazie all’unione panica tra il lato solare (la Quinta) e oscuro del musicista (la Quarta). Il brano è legato a un tema per trombone solo che ondeggia su terze, quinte e ottave, mentre il registro grave di legni e archi è una reminiscenza della marcia funebre dell’Eroica di Beethoven. Ahi, quanto amava Beethoven! … e quanto era angosciato da Stravinskij.

Eccoci giunti ad un altro poema sinfonico derivante dal Kalevala: Tapiola. Ultimo grande lavoro orchestrale, sulla foresta finlandese sublime e selvaggia della mente. L’ascoltatore cerca un sentiero nel fitto suono cromatico, ma non intravede via d’uscita dalla gravità musicale di Ainola. L’Ouverture dalle linee scompigliate e turbanti ritornerà in The Tempest di Shakespeare.

Qui l’accordo di LA, deformato dalla scala esatonale, suggerisce l’immagine di un corpo che si dimena inabissandosi tra le profondità marine. Probabilmente Jean s’identificò con la figura del mago Prospero, che a epilogo dramma rinnega i suoi poteri magici e riprende una parvenza di vita normale. Dal cromatismo della tempesta si passa all’ “armonia celeste” degli archi che allontana il dolore e sorregge l’arte di Prospero.

La foresta sinfonica in Sibelius

L’epilogo suo artistico è l’Ottava Sinfonia sulla quale lavorò sin dal 1924, ma concretamente dalla primavera del 1931. In questi anni era una leggenda musicale, una pop star che la Filarmonica di New York elesse: miglior compositore vivente, ma di opinione contraria erano altri (V. Thomson e T. Adorno). Olin Downes invece, critico del “New York Times”, esaltò la musica d’impatto universale del “nuovo profeta” finlandese, accusando di snobismo e artificiosità il modernismo di Stravinskij.
Sibelius, soffocato da un “amore consolatorio” ricevuto dalla madre del critico e dal critico stesso – che lo definì l’erede di Beethoven e lo invitò ad ultimare l’Ottava e scrivere la Nona – e irritato per il culto di Stravinskij, finì per isolarsi perdendo la fiducia in se stesso e abbandonandosi alla “allein-Gefühl“, il senso della solitudine, il Valse triste della sua vita perdurato 91 anni. Il mondo è lotta hobbesiana (dal filosofo inglese Thomas Hobbes) asserisce il filosofo Michel Foucault.

Dall’agone non è facile uscirne illesi e c’è chi soccombe, chi emerge e chi riemerge a stento e tra questi c’è Jean Sibelius. Il filosofo G. Deleuze parlando di letteratura “minoritaria”, non come inferiore ma letteratura che mina il potere destabilizzandolo, potrebbe alludere, a parer mio, all’essere più piccolo che erode il potere, quel verme che non morirà (Isaia 66,24). Jean Sibelius non sarà il verme, ma lo nutrirà o meglio ci proverà con mancata convinzione che a un Igor Stravinskij non è mai, o quasi, venuta meno.
Non è un caso significativamente bizzarro se il “modernista antimoderno”, dallo stile oltre la logica del progresso, “periferico” e provinciale per i seguaci schöenberghiani dell’atonalità, ricevette una visita sulla sua tomba da parte del suo antagonista per antonomasia, Igor Stravinskij?

Caro Lettore avviamoci a quell’anatomia musicale espressivamente inconscia del centro Europa, ove le foreste s’infittiscono di Demiurgismo radicale… però questa è un’altra Storia che racconteremo in avvenire, perciò, attendiamo inquieti.

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