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La Seconda Scuola Viennese

Una radicale inquietudine ipodermica metastatizzatasi nell’inconscio espressionista plana come cigno privato d’ali, ordine e sostanza della sua vita, in questo “arcipelago barocco” europeo: The City of Strangers. Vox populi, vox Dei... Nel tempo o aldilà del tempo non è dato saperlo. Ecco i dubbi d’un perpl

Una radicale inquietudine ipodermica metastatizzatasi nell’inconscio espressionista plana come cigno privato d’ali, ordine e sostanza della sua vita, in questo “arcipelago barocco” europeo: The City of Strangers.
Vox populi, vox Dei… Nel tempo o aldilà del tempo non è dato saperlo. Ecco i dubbi d’un perplesso Gustav Mahler dopo la prima austriaca a Graz della Salomè di Strauss, opera in cui… avanguardismo e sicurezza di successo si sono uniti in maggiore confidenza… Ma che mira, che mira!

Quale esordio verbale migliore, dal compositore all’unisono col mefistofelico: Adrian Leverkühn – luterano “genio che trascende l’ordinario” nel Doktor Faustus di Thomas Mann –, ci si poteva aspettare sullo “Skandalkonzert” d’inizio secolo che illuminò la scena musicale moderna, entusiasta di un Richard Strauss “satanico e blasfemo”!

La nostalgia per il “lost paradise” romantico tedesco, smarrito tra le macerie passate (cit. La genesi del Doctor Faustus, T. Mann), scuoteva e apparteneva al Mann, altro esule di quest’epoca terrifica. Il Doktor Faustus è anche il romanzo del radicamento originario nazista, difatti l’intellettualismo follemente mostruoso di Leverkühn è specchio rifrangente le barbarie Hitleriane, ambedue fanatici utopistici distopici d’un “mondo nuovo”.

Arnold Schönberg da ebreo austriaco qual’era, tediato da una simile scena che dipingeva le sue opere quali creazioni patologiche di un mondo delirante, profetizzò la natura cancrenica del nazismo prima di Mann, elaborando una teologia della storia filosofica musicale moderna orfana di Dio dal progresso buferico (da leggere Walter Benjamin).
La sua musica, faustiana e inconscia, si spinse verso orizzonti inimmaginabili toccando le corde, “scordate” dissonantemente, di Thelonious Monk e delle colonne sonore atonali dei film dell’orrore.

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Correva l’anno 1905 quando dei giovani pittori fondarono a Dresda il gruppo-rivista Die Brücke (Il Ponte). I fondatori Heckel, Pechstein, Kirchner (disegnatore grafico della rivista), Schmidt-Rottluff, Bleyl sull’omonima rivista incitarono “l’immediatezza e la libertà” creativa: un’estetica dell’Urlo liberante le energie irrazionalistiche manifestatesi nell’incubo, proiettandole verso l’esterno, verso l’oggetto. I Van Gogh, i Cézanne, i Fauves, e in particolare l’isolato norvegese Edvard Munch – ritrattista di deformanti volti scavati sbucanti al di sotto di cieli opprimenti, vedi Der Schrei der Natur (L’Urlo) – erano modelli per scavare l’angoscia e far implodere l’abisso inconscio.

Optarono per la tecnica della xilografia violenta, essenziale, e dell’arte “primitiva” da cui principiava Picasso per la deformazione geometrica del corpo e volto umano. A Monaco di Baviera l’avanguardia si riunì attorno a Vasilij Kandinskij che distaccandosi dalla Secessione formò una nuova Associazione (1909), la quale a sua volta diede vita al Der blaue Reiter (Il cavaliere azzurro).

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Il saggio estetico di Kandinskij del 1911, Über das Geistige in der Kunst (Sullo spirituale nell’arte), aveva svelato la nuova propensione mistica dell’avanguardia convergente alla “sintesi” tra le arti e alla liberazione della spiritualità espressiva slegata da regole accademiche e dalla riproduzione della natura. Questo “astrattismo lirico” kandinskijano appartiene pienamente all’arte espressionista.
“L’armonia” di “contrasti e contraddizioni” era la rotta perseguita insieme ad Arnold Schönberg (cimentatosi pittore di un’auto Visione di allucinate occhiaie), intrapresa mediante una totalità di mezzi espressivi portanti all’istintiva esplosione dell’Io, tagliando il cordone ombellicale del passato “bello” ed ingombrante.

Il Der blaue Reiter era anche il libro-rivista sinestetico che intrecciò rapporti tra i fauves di Germania e di Francia, giungendo a contatto con il Teatro d’Arte di Stanislavskij ove venne messo in scena il Der gelbe Klang (Il suono giallo) di Kandinskij: sceneggiatura per sensazioni visive, sonore e musicali corredata da una musica anarchica e primordiale firmata Theodor von Hartmann.
L’Espressionismo a teatro si esprimeva nell’individualismo acutizzato che scuotesse la coscienza, d’ascendenza psicanalitica ed esistenzialista, tale da far divenire il protagonista teatrale uomo “denudato” dalle determinazioni sociali menzognere.

L’essentia homini è l’angoscia esistenziale dell’uomo moderno abbandonato da Dio, dunque padrone necessitante di “giocare” un dramma interno con se stesso (ricorda l’Alberto Savinio della Fine dei modelli), ed il cui aspetto di penitenza sessuale rappresenta la sconfitta del suo desiderio di comunicazione con gli altri e con la natura.
Da questo senso di frustrazione sgorga l’Urlo primitivo, deformazione e taglio placentare di un linguaggio impossibile in assenza di reale comunicazione con gli spiriti. “L’uomo nudo” entra in conflitto con le forze che tendono a cancellare l’individuo livellandolo alla “massa”, e ne è martire La metamorfosi kafkiana.

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D’altronde il teatro dovrebbe espropriare l’uomo della sua cittadinanza per restituirlo al suo essere Individuo, diverso dalla massa incolore, rappresentare non più conflitti ovvero rappresentazioni (“di Stato”) ma contraddizioni quale l’impossibilità rappresentativa moderna. A Vienna, invece, non si organizzarono ufficiosamente gruppi d’avanguardia espressionista, ma i pittori Oscar Kokoschka ed Egon Schiele (da ascoltare Schiele, lei e me dei Marlene Kuntz) ne rappresentarono i motivi tematici.

L’Espressionismo tedesco-austriaco espresse la sua critica politica e sociale anche nel Cabaret: Die Fledermaus, fondato nel 1907 da Kokoschka accolse vari artisti emergenti (Karl Kraus, Adolf Loos, Georg Trakl) rompendo con l’estetismo decadente.

La Vienna di inizio secolo fu il palco di quella lotta finale tra borghesia e avanguardia ove i critici modernisti, la maggior parte ebrei, avevano intuito la carica antisemita che li avrebbe emarginati. Secondo la loro retorica, per opporsi all’inutilità cultorica dell’estetica kitsch, l’arte doveva diventare critica negativa. Attaccata è violentemente l’arte decadente di inizio secolo da parte di questi “archeologi” della verità, tra i quali si annida il filosofo ebreo suicida Otto Weininger che nella sua tesi, Geschlecht und Charakter (Sesso e carattere), dà sfogo all’idea della degenerazione sessuale e morale, oltre che razziale nella società, causalità di sfrontata sensualità della femme fatale soprattutto ebrea.

Le sue idee, pensate che considerava Wagner “il più grand’uomo dopo Cristo”, vennero apprezzate da personalità quali A. Berg e L. Wittgenstein (coniatore dell’aforisma “etica ed estetica son uno” citando Weininger), ma il suo concetto di morale puritana ed auto-disprezzo non erano proprio convincenti, dato che dietro la carica rivoluzionaria, dalla fallace solidarietà modaiola verso gli emarginati, si celava uno status reazionario dall’aurea autoritaristica e ultranazionalista (col Nazismo alle porte).

Dal canto dei compositori c’era la volontà di ribellarsi contro l’idolatria borghese verso l’arte, poiché il culto per il passato musicale viennese, d’area germanica in generale, minacciava la loro arte contemporanea. Qui si arresta momentaneamente il nostro percorso per riprendere più furente che mai nel prossimo incontro.

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