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Purple Cut, 6 brani emozionanti di Luca Galeano

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Purple Cut è il disco del chitarrista siciliano di Luca Galeano, un'opera che combina groove, maestria strumentale e un grande senso di ottimismo.

Luca Galeano non ha bisono di presentazioni su Musicoff, soprattutto dato che nelle ultime settimane la sua rubrica didattica in video “PentaPillole” sta riscuotendo un notevole successo.
Ma Luca prima di tutto è un musicista e con piacere portiamo alla vostra attenzione il suo disco Purple Cut, per un ascolto che non vi lascerà indifferenti.

Una band di tutto rispetto

Se Luca ha già dimostrato più volte di essere un vero professionista, non da meno lo sono i suoi compagni di band.
Nell’ensemble del disco abbiamo infatti Davide Bucceri alla batteria, Claudio Nicotra al basso, Gionata Colaprisca alle percussioni. Ci sono poi ben tre tastieristi, Anthony Panebianco, Pierpaolo Latina e Pat Legato.
Completano infine il nutrito gruppo di musicisti Tony Granata a violino e viola, Roberta Pennisi al violoncello e Joe Pedros all’armonica a bocca.
Gli arrangiamenti degli archi sono stati curati da Marco Crispo, mentre tutto il resto è scritto e arrangiato da Luca Galeano.

Prodotto da Orange Project Records, il disco è stato mixato e masterizzato da Riccardo Samperi ai T.R.P. Studio.

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Pochi brani ma buoni

Si tratta di un disco concentrato su 6 brani in totale, una tracklist quindi ponderata e, all’ascolto, decisamente equilibrata tra pezzi che fanno battere il piede e altri che abbandonano i pensieri alla meditazione e al piacere della melodia.

Il primo brano, “Zakopane Train“, sorretta da una base ritmica frizzante e sostenuta, sembra già mischiare tutte le influenze di Luca, quelle che arrivano dal Jazz-Fusion e quelle mediterranee, sottolineate anche dall’uso di una chitarra classica oltre che elettrica.
Il fraseggio è un crocevia di atmosfere bluesy e dal sapore agrumato, però non mancano veloci guizzi “veloci come farfalle e che pungono come un’ape” per usare una citazione di un grande pugile.

La title track “Purple Cut” ci porta in ambienti più “internazionali” per così dire, mantenendo il carattere bluesy ma aggiungendo una composizione che potremmo anche definire “pop” nel senso nobile del termine. Qui il tema suonato da Luca si staglia su note singole per poi abbandonarsi a fraseggi che da un certo punto di vista ricordano anche qualche guitar hero d’oltreoceano, senza però mai premere sull’acceleratore inutilmente, restando sempre saldo sul groove.

Mediterranea” rallenta il tempo e ci porta nel territorio delle ballad, un brano il cui accompagnamento su corde di metallo potrebbe essere arrangiato allo stesso modo su acustica.
Qui il groove arretra e lascia il posto alla melodia, tornando anche ai canoni migliori della musica “leggera” del Bel Paese, recuperando, come testimoniato dal nome, quei sapori del nostro mare che avevamo già assaggiato nella traccia d’apertura.

Salina” fa tornare a battere il piede, la batteria di Bucceri scompone il tempo (che ha sapore sudamericano) sul quale la chitarra di Galeano è degna dei migliori fusion-guitarist. Ai temi ben orecchiabili si accompagna sia un grande lirismo che veloci sequenze di note.
Poco prima di metà brano si viene però sorpresi da un calo di velocità che però non corrisponde a calo di intensità, anzi. Galeano si muove tra uso della leva e “swell” di volume, per poi tornare insieme ai compagni sul mood iniziale del brano, continuando la sua improvvisazione.
Un brano da ascoltare e, per i chitarristi, anche da studiare.

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Neraneve” è un’altra ballad. Potremmo definirla probabilmente la “For the Love of God” del disco di Luca, per usare un parallelo storico-discografico importante. Qui il chitarrista siciliano sfodera tocco e tecnica moderni, su un arrangiamento che vede anche uso di elettronica e qualche “efffetto speciale”, mai perdendo però di vista l’aspetto melodico.
Anche qui, se siete chitarristi, c’è davvero molto su cui drizzare le orecchie e studiare.

Chiude il disco il romaticissimo brano “Nell’Aria“, lasciando appunto nell’aria un dolcissimo accompagnamento sulla quale la chitarra è seguita nota per nota dalla voce in sottofondo, come nella migliore tradizione improvvisativa.
Un brano che ha il sapore di un Pat Metheny trapiantato (o in vacanza) nelle splendide terre della Trinacria, che non sfigurerebbe come colonna sonora di un film o altra opera visiva.
Un finale sereno, un brano sorridente e ottimista che, in un periodo come quello che abbiamo passato finora, non può che farci piacere.

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