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Karate – Unsolved

Unsolved: irrisolto. Così si annuncia l'ultimo lavoro dei bostoniani Karate (band di punta della scena underground US est coast) e questa è onestamente la sensazione che lascia alla fine dell'ascolto: qualcosa di intelligente, curato ma incompiuto. Delle illuminazioni fulminee e di una bellezza singolare. I Karate ve

Unsolved: irrisolto. Così si annuncia l’ultimo lavoro dei bostoniani Karate (band di punta della scena underground US est coast) e questa è onestamente la sensazione che lascia alla fine dell’ascolto: qualcosa di intelligente, curato ma incompiuto. Delle illuminazioni fulminee e di una bellezza singolare. I Karate vengono considerati post-rock ma sicuramente è un’etichetta stretta per dei musicisti tanto singolari e capaci, che hanno imparato a tessere sapientemente armonie ed a ricamare fini ornamenti su una trama di jazz, rock e ovviamente blues (cosa di più classico delle blue notes può essere considerato post-rock?) ritmicamente ben strutturata. In una sintesi strumentale pulita e scarna tra Joni Mitchell ed i Tortoise, una voce intima quasi suggerita narra storie vissute tra le quattro pareti spoglie di un appartamento silenzioso della metropoli. Perplessità e ricerca nel quotidiano a cui rapportare costantemente i dubbi di un presente concreto. Il tutto s’innesta nella grande cornice di Boston: una band urbana che suona in un club, nella fumosa semioscurità di un ambiente denso di emozioni, con un pubblico di anime che dopo il lavoro si incontrano ed allo stesso tempo si allontanano. Pubblico anonimo, assorto, per timidezza distratto. Il pubblico del jazz. Il primo brano è un piccolo capolavoro: Small Fires, un blues moderno dal gusto classico con un testo incisivo, purtroppo profetico dopo i terribili avvenimenti dell’11 settembre: uomo e mondo moderno, domande in cerca di senso… la fine arriva fredda ma rassicurante: “God forgive us for the hatred for the risks that we take”. Cambiano i ritmi con Lived-But-Yet-Named e Sever (uno dei pezzi migliori dell’album) fino all’ultima This Day Next Year: canzone molto delicata, di durata superiore ai 10 minuti, con una coda in cui sulle note dello stesso arpeggio si esprime liberamente la batteria. Suono “tattile”, atmosfera vellutata, fraseggi semiacustici e “fenderiani” che sfiorano tiepidamente le orecchie. Da segnalare Number Six (molto jazzy, con potenzialità free) e One Less Blues (con giochi di feedback, forse l’unico brano che si avvicina al postrock strumentale). Il modo di suonare la chitarra di Farina è rotondo e compiuto, padrone delle emozioni che trasmette con sapienza e precisione. La sezione ritmica è efficace e regge ottimamente la presenza impegnativa di una chitarra di natura solista. Le liriche sono introspettive ed ermetiche cantate con un’intensità che a volte vuole mostrarsi distaccata. Un’altalena tra esterno e interno. I Karate hanno un modo di comunicare scarno ma impegnativo, di non facile accessibilità. Il linguaggio dell’improvvisazione… istinto, calore, solitudine, malinconia, gusto. Unsolved come tutti i dischi dei Karate è sofisticato e cerebrale. Non sarà emotivamente struggente come In The Place OF Real Insight ma ha la sua logica, il suo microcosmo in cui ogni ascoltatore riesce ritagliarsi il proprio angolo dove assistere in silenzio allo spettacolo della quotidianeità.

  • Small Fires
  • The-Lived-but-Yet-Named
  • Sever
  • The Roots And The Ruins
  • #6
  • One Less Blues
  • The Halo Of The Strange
  • The Angels Just Have To Show
  • This Day Next Year
  • Casa discografica: Southern Records
    Anno: 2000