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I Royal Blood e l’ardua prova del secondo album

Se nel 2000 siete ancora alla ricerca del Rock vecchio stampo, con i suoi fendenti elettrici e lo spirito ruvido, sicuramente negli ultimi anni vi siete imbattuti nei Royal Blood. La formula è tanto semplice quanto efficace: il basso distorto del cantante Mike Kerr e la batteria decisa di Ben Thatcher rendono apparent

Se nel 2000 siete ancora alla ricerca del Rock vecchio stampo, con i suoi fendenti elettrici e lo spirito ruvido, sicuramente negli ultimi anni vi siete imbattuti nei Royal Blood.
La formula è tanto semplice quanto efficace: il basso distorto del cantante Mike Kerr e la batteria decisa di Ben Thatcher rendono apparentemente inutile qualsiasi chitarra.

I Royal Blood e l’ardua prova del secondo album


Photo by nullrendCC BY-SA 2.0

E si consiglia la visione di uno loro live per capire la potenza di fuoco.
Formatosi nel 2013, il duo debutta prima con l’Ep Out Of The Black e l’anno dopo pubblica l’omonimo album, schizzando nella prima settimana sulla vetta della classifica inglese.

Dopo aver aperto le più importanti band sulla piazza come Foo Fighters, Muse ed Arctic Monkeys, un lungo tour mondiale da soli, la partecipazione ai maggiori festival (dal Readings e Leeds al Download fino al T in the Park) e l’aver acquisito una solida fanbase (nella quale spunta lo zeppeliano Jimmy Page, dichiarato amante dei due), tornano con How Did We Get So Dark?, secondo LP in studio.

Ancora accompagnati dal produttore del precedente album Joylon Thomas, i due si sono trovati ad affrontare l’ardua prova del secondo lavoro in studio, fondamentale per chi, come loro, ha uno stile fresco ma che rischia di cadere nel banale e già sentito con estrema facilità.
Il leitmotiv è però ben chiaro: squadra che vince non si cambia: si ritocca leggermente.

Le dieci tracce scorrono veloci in meno di trentacinque minuti, mantenendo sempre costanti gli elementi caratteristici dei Royal Blood: pesanti riff alla Rage Against The Machine (l’intro di “Hook, Line e Sinker” è l’esempio perfetto) intervallati da semplici ma trascinanti linee di basso, esplosioni sui ritornelli ed energetici bridge.

I Royal Blood e l’ardua prova del secondo album

Dal primo disco si nota una maggiore cura nella produzione, più pulita, che tende a levigare gli angoli del sound da garage band, con l’aggiunta di cori e addirittura una tastiera in “Hole In Your Heart”.
La sonorità complessiva rimanda ad un mix tra Queens Of The Stone Age e Muse, come nel primo singolo estratto “Lights Out”, nonostante sia palese la tendenza al Pop-Rock che aleggia (“She’s Creeping” e “I Only Lie When I Love You”, per fare due esempi).

I testi appartengono al classico filone di drammi/problematiche delle relazioni, che di sicuro non passano in primo piano ma servono a definire la sensazione di nervosismo misto a rabbia.
Torna, nuovamente incisa e mixata ma forse meno d’impatto “Where Are You Now?”, inizialmente realizzata per la serie tv Vynil, figlia di Martin Scorsese e Mick Jagger.

I Royal Blood e l’ardua prova del secondo album

Complessivamente How Did We Get So Dark? risulta un buon placebo rock nel 2017 e, nonostante meno heavy dell’esordio, i Royal Blood si confermano portavoce di chi oggi cerca meno synth, pochi fronzoli e una buona dose di headbanging.
L’importante è che il prossimo disco non sia un How Did We Get So Soft?.

Silvio Ghidini

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