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Gary Hoey – Dust & Bones

Il ventesimo album di Gary Hoey prosegue nell'omaggio alla musica blues inaugurato nel 2013 da un disco dal titolo eloquente, Deja Blues; l'artista torna a impugnare, infatti, la Fender Stratocaster accordata in open D, proponendoci undici brani carismatici, solidi omaggi ai grandi del passato, ravvivati delle variegat

Il ventesimo album di Gary Hoey prosegue nell’omaggio alla musica blues inaugurato nel 2013 da un disco dal titolo eloquente, Deja Blues; l’artista torna a impugnare, infatti, la Fender Stratocaster accordata in open D, proponendoci undici brani carismatici, solidi omaggi ai grandi del passato, ravvivati delle variegate esperienze che hanno formato il chitarrista.

Hoey non è un artista da copertina; forse lo sarebbe diventato se Ozzy Osbourne, che nel 1987 restò estremamente colpito dalla sua abilità, gli avesse offerto il posto nella sua band. Come tutti sapete, però, la storia è andata diversamente, ma non per questo la carriera di Gary è stata poco soddisfacente, come testimoniano lavori di successo tra cui evidenziamo la sua cover di “Hocus Pocus”, brano originariamente dei Focus, che ha centrato la Top 5 della classifica Billboard nel 1993, e il suo album Ho! Ho! Hoey (1995), che ancora oggi accompagna le feste natalizie di molti amanti della chitarra.

Il chitarrista può vantare, inoltre, collaborazioni di prestigio (da Brian May a Jeff Beck, passando per Joe Satriani, Steve Vai, Peter Frampton e i Deep Purple), numerose colonne sonore (ha lavorato con Walt Disney, New Line Cinema e ESPN), lavori di produzione (principalmente con Lita Ford) e didattica chitarristica.

Un curriculum di una ricchezza rara, che viene arricchito da un disco frizzante e solido, che attinge da un background riconoscibile, ma che risulta piacevole grazie alla personalità dell’esecutore: Dust & Bones è esattamente quello che ci si aspetta da un chitarrista di questo spessore.

Nell’album si incontrano sia il blues del delta di Robert Johnson (l’opener “Boxcar Blues”) che l’inconfondibile stile di Brian Setzer (“Who’s Your Daddy”), sia momenti elettrificanti (la potente title-track) che altri più riflessivi (“This Time Tomorrow”), brani incentrati sul timbro deciso della voce di Gary (“Blind Faith”) e momenti strumentali (l’eterea “Soul Surfer”, che chiude l’album in grande stile, toccando corde inaspettate). E poi, episodio unico nel disco, c’è il duetto con Lita Ford, nella power ballad “Coming Home”, uno dei momenti più evocativi del lotto.

Assistito da AJ Pappas al basso e Matt Scurfield alla batteria, Gary Hoey confeziona un album che non impressiona per creatività ma sa trascinare l’ascoltatore; un disco corposo e carico di passione, che saprà allietare gli amanti insaziabili del blues e delle sei corde.

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