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Filmuzik, come suona la colonna sonora di un film

Come suona un film? Ce lo spiega oggi Gabriele "Larssen" Panico, docente del Bachelor of Arts di MAST Music.

Sono un compositore. Il mio lavoro è costruire segmenti di tempo musicali destinati all’ascolto mettendo assieme (comporre) grammatiche, funzioni, variabili, limiti e intuiti.
Affinché questi segmenti possano funzionare cinematograficamente, devono “reggersi in piedi” già da soli. Creare una colonna sonora ti costringe a lavorare con dei parametri anche extramusicali: durate, aderenze, contrasti, luce, profondità, pathos.

l primo nodo che cerco di sciogliere, quindi, è individuare il rapporto tra tempo filmico e tempo metronomico. Questa chiave ritmica, intesa in senso ampio e non esclusivamente percussiva, mi consente contemporaneamente di indagare in profondità sulle scelte di regia e di riuscire a proporre una partitura profondamente aderente e non solo didascalica. 
In genere, il resto delle componenti di un pezzo – dalla strumentazione all’armonia – viene fuori non  appena poso questa prima pietra. 

Orchestrazione reale o orchestrazione virtuale?

Quando lavoro in solitaria anche come esecutore, l’overdubbing resta una disciplina fondamentale. Fin dai miei primi lavori in questo ambito, ho dovuto da subito sviluppare tecniche, tempi e capacità strumentali che mi hanno permesso di sopperire, quando non disponibili, alla mancanza di veri ensemble.

L’elettronica e, più precisamente, il digitale aiutano non poco evidentemente. Non tanto dal punto di vista della composizione quanto da quello della realizzazione. In generale, comunque, sono un grande utilizzatore di tecnologie e di processi elettronici anche applicati agli strumenti acustici.
Anche perché non amo alla follia ne i timbri naturali degli strumenti acustici e odio le librerie sonore e il 99% dei preset esistenti sulla terra… devo inventarmeli i suoni per sentirmi ispirato. 

Nonostante le differenti direzioni musicali che il cinema mi permette di esplorare, la ricerca sul timbro resta una mia grande costante. E l’elettronica mi consente di scavare il più possibile anche in questa direzione. 

Un approccio, mille approcci

Un attendibile esempio di approccio è il rapporto costruito con Luca Bianchini, regista della serie prodotta da Rai Fiction “Angelo – Una storia vera”.
Oltre alla sceneggiatura, provini, appunti dal set, visioni furtive dei “giornalieri”… è stato lo scambio diretto con Luca che mi ha acceso delle idee. La sua ostinazione a non porre filtri e amplificatori alla realtà complessa dei protagonisti, i grigi scenari delle periferie, la grande voglia di riscatto che ha alimentato la sua scelta di girare quel film mi ha ispirato un linguaggio scuro e duro ma pronto ad accendersi e a colorarsi.

Ho iniziato producendo tre temi e delle variazioni che pare abbiano funzionato da subito. Il lavoro, quindi, si è sviluppato abbastanza velocemente nonostante la composizione seriale del film.
La sintonia sonora, figlia anche di alcuni ascolti comuni, si è costruita già nei primi incontri. A tavola, in particolare. 

Ispirazione, problemi, opere e omissioni

Premetto che ogni lavoro per il cinema inizia sempre con un grande punto interrogativo. La fortuna di lavorare con autori e produzioni molto differenti tra loro (documentaristi, videoartisti, commediografi, autori televisivi, neorealisti, Rai Cinema, Sky, BBC, Cinefrance, Istituto Luce …) appaga la mia (presunta) voracità di ascoltatore, metabolizzatore e scrittore di musica. Detto questo, ribadisco che ogni pellicola rappresenta un punto zero. Ogni volta.

Mi riconosco un linguaggio molto ampio ma anche molto connotato. E declinarlo a favore di una serie di immagini ordinate e fotografate da un altro soggetto è di per se una specie di… rebus.
Questo mestiere resta un mestiere musicale. Anche se ci troviamo nel mondo delle immagini in movimento: qualcuno, da qualche parte, dovrà ascoltare come suona una nave affondata, la redenzione di un assassino, la costruzione di un enorme torre o il più disperato degli abbracci. Solo che lo spartito lo suggerisce la cinepresa. 

Come si diventa compositori di musica per film? E perché?

Quello che so è che ho iniziato suonando (non tutti benissimo…) diversi strumenti. Il fascino per la composizione e per la musica elettronica delle grandi accademie europee sono arrivati dopo diversi anni e mi hanno da subito rapito completamente.
Essere anche un dj e producer (con il moniker Larssen) mi ha abituato a cogliere sfide anche molto eterogenee.

Le mie prime composizioni per le immagini sono state per dei brevi film di Edoardo Winspeare e Carlo Michele Schirinzi. Per il primo ho sonorizzato una biografia su un prete-filosofo e un documentario per il format Ballarò di Rai Tre.
Nel primo caso ho lavorato con strumenti elettronici, nel secondo avevo a disposizione un’intera banda! Ho, da subito, sperimentato i due estremi… Per il secondo ho scritto delle densissime suite per strumenti trattati elettronicamente per dei lavori molto sperimentali.

Sul perchè abbia iniziato a comporre per il cinema, posso solo dire che mi piace lavorare con dei parametri. Mi piace sperimentare suoni e linguaggi anche in seno ad altri ambiti espressivi, non solo nelle forme concerto.
Inoltre, mi rassicura il fatto che nella mia musica per il cinema riaffiorino elementi sia della mia attività di compositore accademico che quelli provenienti dalle mie produzioni Larssen. Vuoi vedere che sono le immagini a mettere pace tra due anime apparentemente distanti? 

Pubblicare colonne sonore: supporto fisico o solo in digital?

Io sono molto legato al supporto fisico. A mio avviso, il supporto ha contribuito in molti casi e generazioni a sviluppare attenzione ed educazione all’ascolto.
Temo sempre molto le pareti di hardisk esterni pieni zeppi di file digitali… tendiamo ad accumulare materiali anche per la semplice facilità di reperimento.
Ma è probabile che un ascolto attento non lo si darà mai a gran parte di quei tera bytes salvati o alle migliaia di brani salvati sui cloud. Indubbiamente, però, la pubblicazione digitale dei lavori ti proietta in portali e negozi virtuali in tutto il mondo. Per chi non è esclusivamente legato alla pop music più immediata e di stagione questa è una gran bella opportunità. 

Discograficamente curo prevalentemente le uscite dedicate alla musica contemporanea e sue declinazioni e alla musica elettronica nelle sue mille sfumature.
In quest’ultimo caso, uso il nome della mia piattaforma produttiva: Larssen. Ovviamente, il digitale è una tappa discografica obbligata e per molti aspetti più snella. Ma preferisco – quando possibile – far stampare i miei lavori. Le stesse tracklist nascono e sono organizzate in base a durate e sequenze per supporti fisici (anche vinili). 
Diciamo che fisico e digitale possono accontentare sia chi vive di portatilità che di collezionismo, sia chi ascolta in movimento sia chi ha una poltrona e vuole dosare per bene l’attenzione.
Da qualche anno ho iniziato una grande operazione di pubblicazione anche di lavori scritti per il cinema e le arti visive.


Gabriele Panico è compositore, producer e musicologo. È docente di Recording for media presso la prestigiosa accademia MAST Music nel Bachelor of Arts in Commercial Music.
Dalla fine degli anni ’90, fondando il network Larssen, esplora l’universo sonoro contemporaneo lavorando sui possibili sviluppi dei linguaggi musicali moderni. La sua musica è di frequente ospite in numerosi festival nazionali e continentali: in solo, con formazioni cameristiche e orchestre, con strumenti acustici, elettrici e trattamenti elettronici. Ha firmato numerose colonne sonore per il cinema, la televisione e la pubblicità e ha sonorizzato numerosi eventi di arte contemporanea, di comunicazione multimediale e di carattere espositivo. È anche consulente per l’arte e il multimedia per importanti società editrici pubbliche e private. Attivo discograficamente dai primi 2000, si riportano i titoli più recenti: “Incassini” (2019) e “Ouvertures” (2017) a nome Larssen, “Stauberforms” (2021) e “Orsobruto” (2016) a nome Gabriele Panico.