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L’ultramodernismo di Edgard Varèse

Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, all'inizio degli anni Venti il continente americano ferveva di un'isteria musicale senza pari; non solo l'atteggiamento dei musicisti e compositori si rivolse alla ricerca di un'immagine musicale per rappresentare tanta frenesia, anche il pubblico mutò il proprio ascolto in

Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, all’inizio degli anni Venti il continente americano ferveva di un’isteria musicale senza pari; non solo l’atteggiamento dei musicisti e compositori si rivolse alla ricerca di un’immagine musicale per rappresentare tanta frenesia, anche il pubblico mutò il proprio ascolto in una maggiore disponibilità all’ascolto delle sonorità più dirompenti. Partita da una base eurocentrica la scena americana stava per trovare nella libertà della scissione dai propri avi il campo per esprimere uno stato d’animo turbolento ed esplosivo.

Il manifestarsi di tanto feroce spinta comunicativa trovò sfogo principalmente in due filoni. Louis Armstrong, Duke Ellington, Sydney Bechet e Paul Witheman davano vita alla consacrazione dell’arte jazzistica (la cui pietra angolare è rintracciabile nell’album “Livery Stable Blues” dell’Original Dixieland Jazz Band, pubblicato nel 1917), i compositori di Broadway quali Cole Porter, Richard Rodgers, Irving Berlin, e soprattutto George Gershwin, costruivano un nuovo tipo di teatro musicale unendo l’opera lirica ad elementi del jazz e della musica moderna.

Dall’altro lato, interessati a “rompere il muro del suono”, possiamo individuare la corrente dell’ultramodernismo. Seguendo le tracce dell’avanguardia, gli ultramoderni trovarono interesse nelle più bizzarre combinazioni sonore dell’esperienza stravinskyana e viennese. Primo exploit di tale filone fu indubbiamente il lavoro di Leo Ornstein , “the keyboard terror”, che, contemporaneamente a Henry Cowell, sperimentò l’uso dei cluster. Il cluster è un gruppetto di note adiacenti sulla tastiera, suonate con le dita, il pugno o l’avambraccio. L’utilizzo di intervalli di seconde maggiori o minori e la violenza del gesto sulla tastiera producono il carattere dissonante che diede forma in musica all’isteria di massa che accoglierà Benny Goodman, Frank Sinatra e i Beatles (1).

Vero condottiero degli ultramoderni in terra statunitense fu però Edgard Varèse, che si trasferì a New York dopo i trascorsi fra le vie parigine, dove aveva patrocinato le riunioni rosacrociane che avevano affascinato Debussy e Satie. La figura di Varèse è sicuramente una delle più focose del primo ‘900, vero e proprio reverendo nella diffusione dell’emancipazione del suono. Dopo aver composto per i primi anni di carriera in uno stile a metà fra Debussy e Strauss, bruciò le proprie composizioni giovanili per interessarsi alle teorie del futurismo italiano e a quella che definì “arte del rumore”.

Malgrado l’iniziale interesse, Varèse riconobbe presto la fallimentare e romantica vocazione dei futuristi alla riproduzione di aspetti della vita quotidiana. Con il gruppo futurista il compositore condivideva però la volontà di ampliare l’alfabeto musicale, scopo che necessitava anche di nuovi strumenti

L'ultramodernismo di Edgard Varèse

Giunto a New York nel 1915 Varèse si unì ad una cosmopolita schiera di artisti che stava dando vita ad un movimento d’avanguardia americano. Tale movimento fu battezzato successivamente fu “mistica del grattacielo”, quale espressione musicale delle luci, dei rumori penetranti, della tensione, intensità e precisione della civiltà industriale. I lavori americani di Varèse proseguirono l’idea schönberghiana di emancipazione del suono, in virtù dell’abbattimento delle barriere tra suono e rumore. Il suono, svincolato dalle funzioni tradizionali, trovò nell’esperienza di Varèse nuova vita.

Amériques (1918-22) e Offrandes (1921) furono i primi contributi del compositore emigrato in terra americana. Il primo dei due è particolarmente interessante. Un imponente movimento orchestrale che dipinge le sonorità del fiume Hudson, del traffico attorno al ponte di Brooklyn, il rumore di macchine, lavoratori e sirene. La musica di Varèse è violenta, dissonante e stridente, piombò sul pubblico come un feroce attacco uditivo, ma sorprendentemente quest’ultimo l’apprezzò.

La stampa rimase divertita dagli esperimenti di Varèse, è celebre l’aneddoto riguardante l’attenzione dedicata dai critici alla sirena dei pompieri di New York parte della sezione di percussione di Amériques. Nel 1923 con Hyperprism Varèse compì il passo definitivo verso un’identità unica e inconfondibile. Se in Amériques e Offrandes erano ancora ravvisabili le influenze stravinskiane o debussiane, Hyperprism tracciò le linee del linguaggio musicale di Varèse con maggior chiarezza, in una partitura dedicata quasi interamente a fiati e percussioni.

Ritmo e lavoro sul timbro trovano ruolo principale nella produzione di frizioni acustiche e battimenti costruiti su intervalli di seconda, settima o nona. Lo sviluppo melodico non esiste, la melodia semplicemente “non avviene”, la finalità è quella di una scomposizione prismatica del flusso sonoro, proprio come il titolo anticipa.

Successivamente Varèse pubblicò Octandre (1923), unico lavoro della sua carriera ad essere suddiviso in tre brevi movimenti ed unico a vedere al suo interno un fugato a tre voci (oboe, fagotto e clarinetto), concessione extra-straordinaria per un compositore davvero restio ad uniformarsi agli schemi della tradizione. Nel 1925 Intégrales dimostrò il lato più intricato e complesso di Varèse. Con una pressoché totale rarefazione melodica masse sonore create sull’elaborazione timbrica degli strumenti, il compositore provò a ricreare l’equivalente sonoro della proiezione di una figura su un solido rotante.

Il risultato è probabilmente meno importante dell’intento, come spesso avviene per composizioni di questa tipologia, in cui lo sforzo creativo preposto alla realizzazione è il vero punto d’interesse. Il progetto di Varèse fu, in questo caso, di dare alla musica una dimensione spaziale, progetto su cui ripose grandi sforzi e fiducia, tanto da riprenderlo in anni successivi servendosi dei mezzi offerti dagli sviluppi tecnologico-elettronici. Fra il 1925 e il 1927 vide la luce Arcana , composizione che rappresentò il ritorno di Varèse ad un organico orchestrale di dimensioni sinfoniche (abbandonato dopo Amériques ) e che confermò il carattere eccezionale svolto dalla percussione negli anni fra il 1919 e il 1927.

A coronare il principato della percussione giunse però Ionisation , concepito a Parigi nel corso di un soggiorno di cinque anni, scritto per un organico composto esclusivamente da strumenti a percussione. Ionisation (1931) è scritto per tredici musicisti che suonano 37 strumenti, si tratta del primo brano musicale organizzato esclusivamente sulla base del rumore , o piuttosto sulla base di strumenti che non hanno un’altezza definita o, se definita, inadatti ad una normale progressione d’intervallo. Nell’organico figurano membranofoni, metallofoni, idiofoni (a percussione, frizione e scuotimento) e due sirene, il solo pianoforte presente nell’organico è utilizzato per produrre dei cluster al registro grave.

Varèse stesso si definì “in cerca della bomba che avrebbe fatto esplodere il mondo musicale aprendo la porta a tutti i suoni, suoni che fino ad allora erano definiti rumori”. Decisamente meno digeribile (a livello d’ascolto di massa) della controparte jazzistica che caratterizzò i ruggenti anni venti, Varèse fu personaggio la cui portata è impossibile da raccontare in maniera esaustiva in queste poche righe.

La sua importanza risiede nell’aver trattato direttamente il suono come fenomeno grezzo, con un’attenzione meticolosa per la sonorità e una sensibilità calcolata per il timbro e l’intensità; in Varèse il timbro non è più “accessorio” […] ma diventa piuttosto un agente della descrizione (2). A riprova dell’unicità del suo operato si può affermare con buona certezza che la sua musica fu la prima a non poter essere trasferita per l’esecuzione su altri strumenti. Personaggio musicalmente diabolico, tanto estremo da suscitare la benevolenza di un pubblico che fu importante partecipe della sua conferma a nome fondamentale nel progresso della musica americana del Novecento.

Francesco Sicheri

Note:
(1) Alex Ross, Il Resto è Rumore , III edizione Tascabili Bompiani, Bergamo, 2013, pag.223.
(2) Michael Nyman, La musica sperimentale, ShaKe, Milano, 2011, pag.61.

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