Se non suoni la chitarra con le dita per pizzicare le corde, vuol dire che avrai quotidianamente a che fare con questo attrezzo: il plettro.
Dopo quasi trent’anni di insegnamento mi sono trovato davanti persone con un’acuta sensibilità nell’uso del plettro, che con un periodo di ricerca ne hanno affinato la morfologia, il materiale, il tipo di punta e di spessore; mentre per altri, avere tra le mani un carciofo o il plettro, impugnato indipendentemente da qualsiasi parte e nella maggior parte dei casi anche al contrario, era la stessa cosa.
La sensibilità e accuratezza nell’utilizzo del plettro produce ovviamente un bel suono unitamente a note convincenti, viceversa una scarsa sensibilità genera un suono di bassa qualità e note poco convincenti.
Alla fine, se ci pensiamo con attenzione, al pubblico può non interessare se stiamo suonando maggiore o dominante, se stiamo usando il tritono suonato così o cosà, ma neanche se il nostro è l’ultimo delay alla moda dei turnisti più in auge.
Al pubblico, a chi ci ascolta, fondamentalmente arriva un suono e con quello ci sarà la tua emozione, il tocco, la dinamica, l’enfasi in cui si andrà a esprimere ogni singola nota.
Come si diceva nel cappello introduttivo, il plettro è a tutti gli effetti uno strumento importante, tanto quanto la chitarra che imbracciamo.
Raccontando la mia personale esperienza, nel tempo ho avuto diversi strani rapporti col plettro. Nel campo della semi-acustica, usando come corde delle 0.12, un suono clean e magari trovandomi in una situazione un live in duo (in cui il suono è in primissimo piano), sono passato da periodi con plettri da 3mm a quelli a goccia sottile come il Paul Gilbert Ibanez.
Ma tuttora, quando sono in studio a registrare delle chitarre, sperimento quasi sempre con diversi plettri, nel senso che passo almeno mezz’ora provando e riprovando la parte (con chitarra e amplificazione decisi già a priori), continuando a cambiare plettro e cercando quello che mi dà l’ultima rifinitura e il suono più convincente.
Ormai da diversi anni ho il plettro “da tutti i giorni”, quello da concerto e una scatola con diverse centinaia di plettri per lo studio di registrazione.
Ovviamente, per chi si trova agli inizi con la chitarra, il tocco e la differenza fra un plettro e l’altro risultano quasi impossibili da percepire; ma crescendo, man mano che il tocco e la sensibilità si vanno ad affinare sullo strumento, ecco che inesorabilmente queste differenze fra i plettri vengono prese in considerazione… O almeno, così dovrebbe accadere.
Sull’argomento si trovano molteplici informazioni, dai manuali ai tutorial, dagli articoli su riviste cartacee a quelli sul web. In questo articolo, quindi, con la maggior oggettività possibile, ho cercato di radunare le principali caratteristiche dei plettri.
Forma
Questo è un elemento molto importante da prendere in considerazione. Il “contour” del plettro, infatti, può fare la differenza nel nostro modo di suonare, perché non scordiamoci che il confort ci fa suonare meglio e viceversa, nel percepire del fastidio nell’impugnatura, potremo esserne distratti durante la performance musicale.
I plettri sono di diverse forme: a goccia, piccoli, allungati, triangolari equilateri o isosceli.
Nella scelta di un plettro bisognerà fare delle valutazioni anche in base al genere che suoniamo, al nostro tipo di impostazione e all’articolazione della mano che plettra: ballare per ore suonando funky, ha un’impostazione totalmente diversa rispetto al suonare shred metal.
Tipo di punta
La punta, o almeno il punto in cui avviene il contatto tra le corde e la superficie del plettro, la sua forma, aspra e pungente o morbida e arrotondata o ancora acuminata ma non ruvida, sono oggetto di riflessione e sperimentazione.
La punta, infatti, è oggetto di attenta analisi e sensazioni che trasmette il suono.
Aldilà della forma del plettro e dello spessore, il punto in cui il plettro tocca la corda, genera il suono d’attacco e quindi il timbro del nostro suono. La punta può essere aspra e pungente, morbida e arrotondata o ancora acuminata, ma non ruvida: tutto questo influenzerà sensibilmente il nostro attacco sulle note prodotte e la qualità del nostro modo di suonare.
Va specificato poi, che alcuni chitarristi suonano con il plettro al contrario, usando cioè la parte più tonda anziché la punta come menzionato finora e solo così ottengono il loro suono.
Poi è storia ormai nota di grandi che suonano con una semplice moneta…
Sperimenta quindi con diversi tipi di punta e potrai notare come viene influenzato il suono.
Spessore
Lo spessore è un altro importante oggetto di riflessione, in quanto influenza sia il comfort quanto direttamente il suono nella sua dimensionalità. Senza volere il gioco di parole: anche lo “spessore” delle note prodotte viene influenzato con lo spessore del plettro.
Mi sento di poter consigliare di prendere prima in considerazione l’aspetto del comfort rispetto al suono, perché con il plettro ti ci devi trovare a tuo agio, oltre alla ricerca di un bel suono.
Materiale
Anche in questo caso abbiamo una duplice considerazione, in cui il materiale influenza sia il suono che il comfort. Materiali differenti ci daranno sonorità diverse e questo genera materia di sperimentazione e attento ascolto. In merito al comfort, se un tipo di materiale fa sì che il plettro ci scivoli tra le dita rischiando di perderne la presa, forse è meglio utilizzarne uno per noi comodo, che ci infonda sicurezza.
Colore
Va bene, fino ad ora ho scherzato! Tutti i plettri suonano uguali, tranne quelli rossi che sono meglio rispetto a quelli gialli e blu…
Capirai che è qui lo scherzo, dato che il colore non influenza il suono e rimangono validi tutti i punti precedenti. Ma qualche volta, a scuola, mi capita ancora di sentire frasi tipo “quel plettro rosso suona meglio di quello giallo” e guardandoli più da vicino scopri che in realtà sono identici!
Simpatia
Certo, poco fa abbiamo scherzato sul colore, ma anche la “simpatia” in questo piccolo oggetto qualche volta ha toccato un po’ tutti noi. Capita di affezionarsi a un plettro e di non cambiarlo per mesi, ma attenzione al fatto che con l’usura si spunta, assecondando piccoli compromessi sonori nel quotidiano. Questo vuol dire che alla lunga lo stesso plettro, ormai spuntato, viene dimenticato nella sua forma e soprattutto nella sua sonorità originale.
Tanto lo sappiamo che prima o poi dovremo adottarne un altro e che per le prime settimane non ci troveremo con il suono. Quindi, siate anaffettivi con i plettri e cambiateli spesso!
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