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La recensione del concerto di Bob Dylan a Londra

Quando le luci della Wembley Arena si spengono, la sera del 9 maggio, un'intro di chitarra acustica accompagna l'entrata della band, tra gli applausi del pubblico. Dylan compare seduto al pianoforte, vestito di nero e con il classico cappello, intonando "Things Have Changed". Già si percepisce che sarà una

Quando le luci della Wembley Arena si spengono, la sera del 9 maggio, un’intro di chitarra acustica accompagna l’entrata della band, tra gli applausi del pubblico. Dylan compare seduto al pianoforte, vestito di nero e con il classico cappello, intonando “Things Have Changed”. Già si percepisce che sarà una serata magica.

La recensione del concerto di Bob Dylan a Londra

Un premio Nobel che apre le danze con una canzone premio Oscar nel 2001, un evento che solo Dylan può far accadere. I primi brani in scaletta sono un colpo al cuore dei fan, uno dopo l’altro, compresi “Don’t Think Twice Its’ All Right” dal primissimo album e il rock’n’roll inconfondibile di “Highway 61 Revisited”.

La tappa londinese è la penultima delle dieci date nel Regno Unito per il 2017 e fa sempre parte dell’ormai storico Never Ending Tour dylaniano che, a prescindere dalla promozione di nuovi dischi, incorpora man mano i nuovi brani del suo vastissimo repertorio. 

In scaletta rimangono ancora diversi brani di Tempest del 2012, l’ultimo album di inediti prima dei tre dischi di tributo al grande canzoniere americano.

La recensione del concerto di Bob Dylan a Londra

Tra i brani di quest’ultimo lavoro con pezzi nuovi spiccano soprattutto il lento crescendo di “Pay In Blood”, il rock blues di “Early Roman Kings” “Duquesne Whistle”, con diversi fraseggi strumentali jazz.
Le canzoni si susseguono senza pause, Dylan non si rivolge mai al pubblico, proseguendo incessantemente con il concerto composto da ventuno brani compressi in meno di due ore.

Versioni mozzafiato di “Tangled Up In Blue” e “Desolation Row” si alternano alle cover del repertorio classico americano, in cui Dylan sfoggia un registro più basso del solito, davvero vicino ai crooner, soprattutto in “Melancholy Mood”“Stormy Weather” e “Autumn Leaves”.

Si alzerà dal pianoforte soltanto per i brani più swing (“All or Nothing At All” e “That Old Black Magic”), accompagnato magistralmente dalla band. I cinque elementi, Charlie Sexton e Stu Kimball alle chitarre, Donnie Herron alla pedal steel, banjo e mandolino, Tony Garnier al basso e George Receli alla batteria, sono uno dei punti di forza dello show, adattandosi con classe a seconda delle esigenze dei brani, dal rock ‘n’ roll ai pezzi più jazzati.

Dopo una brevissima pausa prima dei bis, la conclusione del concerto avviene con una sorprendente (ma ormai solita) versione di “Blowin’ In The Wind” e una “Ballad of A Thin Man” invece sostanzialmente fedele all’originale.
È il finale di una serata che ha visto una band in ottima forma, ad accompagnare un Dylan che ha mostrato una ricchezza e una profondità vocale, sia nel suo repertorio che nei classici americani, forse senza precedenti.

Francesco Taranto

Scaletta concerto:

  • Things Have Changed
  • Don’t Think Twice, It’s All Right
  • Highway 61 Revisited
  • Beyond Here Lies Nothin’
  • Why Try to Change Me Now
  • Pay in Blood
  • Melancholy Mood
  • Duquesne Whistle
  • Stormy Weather
  • Tangled Up in Blue
  • Early Roman Kings
  • Spirit on the Water
  • Love Sick
  • All or Nothing at All
  • Desolation Row
  • Soon After Midnight
  • That Old Black Magic
  • Long and Wasted Years
  • Autumn Leaves
  • Blowin’ in the Wind
  • Ballad of a Thin Man
La recensione del concerto di Bob Dylan a Londra

Cover photo by Alberto Cabello from Vitoria GasteizCC BY 2.0