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Metafore in musica sull’incontro tra ombra e luce

C'è spesso un significato personale molto profondo dietro l'impegnativo atto di creazione di un disco: il lavoro di cui si parla qui non fa eccezione.

Il nome di Simone Cozzetto non è una novità assoluta su queste pagine: io stesso avevo parlato in precedenza del suo disco di esordio, intitolato Wide Eyes e pubblicato nel 2016.
È invece ben più recente l’uscita del secondo LP da solista: anche in questo caso edito da Sincom Music, il 31 Dicembre scorso ha infatti visto la luce The Weight of the Wind, un album denso di contenuti non soltanto musicali.

Chi è Simone Cozzetto

Prima di parlare del disco, rinfreschiamoci brevemente la memoria sul suo creatore. Nato nel 1991, Simone è un chitarrista e compositore che si è perfezionato presso il Saint Louis College of Music sotto la guida di insegnanti del calibro di William Stravato e Giacomo Anselmi.

Una vita artistica all’insegna del Rock di varie sfumature, profondamente segnata dal Progressive e dalla Psichedelia (indicativa la militanza nel tributo ai Pink Floyd degli Echoes) ma influenzata anche da atmosfere più mainstream come il Glam.
Suggestioni che si sentono in maniera importante nel primo capitolo della produzione dell’artista e che ritrovano un deciso filo conduttore anche nel lavoro di cui si parla in questa sede.



The Weight of the Wind

Il nuovo album riprende idealmente il discorso da dove si era interrotto in Wide Eyes. Simone è anzitutto un chitarrista di eccellente livello, ma l’elemento seicordistico non prende mai eccessivamente il sopravvento sull’aspetto compositivo inquadrato in una prospettiva più ampia: quella, appunto, del musicista autore.

Anche in questo caso l’artista si è interamente occupato della scrittura dell’album, suonando di persona tutte le tracce di strumenti a corda ma anche quelle di pianoforte e tastiere. È in particolare nell’arrangiamento di queste ultime che traspare una capacità di visione della creazione musicale che va al di là di quella del chitarrista medio.
L’utilizzo degli archi, suonati da Roberta Palmigiani, conferisce alla produzione un piacevole ammiccamento alla classica, tanto che viene da chiedersi con una certa curiosità quale potrebbe essere il risultato se a disposizione ci fosse un ensemble orchestrale più consistente numericamente.

Il solido contributo di Daniele Pomo alla batteria e l’emozionante interpretazione vocale di Frank Marino vanno a completare uno scenario nel quale, oltre all’oggettivo spessore creativo e tecnico di tutti i musicisti coinvolti, a colpire è la capacità di ispirare sensazioni di profonda intensità attraverso trame anche piuttosto complesse, ma mai perdendo un sano, fondamentale equilibrio.

Significati

A cosa allude il titolo del disco? Il concept di The Weight of the Wind è centrato sulla contrapposizione tra ombra e luce, in una metafora tra infernale e paradisiaco che viene riassunta nella figura di Lucifero, simbolo per eccellenza della figura decaduta.
Non è casuale che questo concetto si sia sviluppato ed espresso in una complicata fase personale dell’artista, che come tale ha trovato nella creazione la direzione migliore verso la quale incanalare quanto suggerito da inquietudini e disagi.

Ed è su questo aspetto che voglio concludere questa summa della mia esperienza di ascolto dell’album. Lungi dal voler scadere nella banalità, The Weight of the Wind è un’altra dimostrazione di come un artista abbia gli strumenti necessari e sufficienti per trarre del bene anche dalle “cadute”.
Ovviamente tutti vorremmo poter ricavare le migliori ispirazioni solo e soltanto dalle esperienze più esemplari: ma nell’impossibilità di risparmiarci come esseri umani la nostra periodica dose di avversità, non c’è a mio avviso cosa migliore del saperne cogliere spunto per un racconto creativo che sappia regalare un po’ di bellezza al prossimo.

Foto di copertina a cura di Roberto Scorta © su gentile concessione