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Registrare la batteria, anche con 1 microfono!

Cari MusicOffili, questa volta mi avventuro in un viaggio complesso ma che so che interesserà a molti. Offrirò il mio punto di vista su uno dei momenti più importanti nella vita dello studio di registrazione: la ripresa della batteria. Considerando la natura dello strumento ci sono molteplici soluzioni, tutte valide

Cari MusicOffili, questa volta mi avventuro in un viaggio complesso ma che so che interesserà a molti. Offrirò il mio punto di vista su uno dei momenti più importanti nella vita dello studio di registrazione: la ripresa della batteria.
Considerando la natura dello strumento ci sono molteplici soluzioni, tutte valide, quindi affronterò questa nuova sfida proponendo il mio personale punto di vista al riguardo e spero di avere da voi input per tecniche alternative da collaudare.

Comincio con l’esaminare lo strumento che in realtà è composto da molti “fusti” e un numero variabile di piatti.
A parte la variabilità delle misure comunque un kit di batteria, “the trap” per gli amici, è composto invariabilmente di una grancassa azionata con un pedale, di un tamburo rullante (cioè dotato di molle posizionate a contatto della “pelle” inferiore che risuonano con la vibrazione della membrana producendo armonici di largo spettro, un piatto HiHat azionato a pedale e composto di una coppia di piatti, un numero variabile di tamburi “rack tom” e “floor tom” con un minimo di 1 tom tom e un timpano (floor tom, appunto).

Registrare la batteria, anche con 1 microfono!

Le dimensioni della grancassa variano da un minimo di 18 pollici (preferita spesso dai jazzisti) di diametro a una imponente 24 pollici, molto indicata nel rock pesante per il suo volume prepotente. Misure al di la di questi limiti sono infrequenti.
In studio spesso viene praticato un foro nella “pelle” anteriore per favorire il posizionamento del microfono pur conservando un ragionevole effetto di compressione dell’aria all’interno del fusto, importante per avere l’elasticità necessaria ad imprimere un “ritorno” del pedale.

Il tamburo rullante, che insieme alla grancassa viene utilizzato per la maggioranza dei colpi ritmici, prende il nome dal caratteristico effetto che si può produrre sfruttando la tensione alta della pelle battente e delle molle che creano un prolungamento del suono con il suono caratteristico della rullata.
Può produrre moltissimi suoni con sfumature diversissime con la variazione del punto in cui viene colpita la membrana, ad esempio al centro o ai lati, oppure il caratteristico “rim shot” o “bordo”.
Tutti questi colpi sono disponibili anche sugli altri tamburi, anche se essendo privi di molle producono suoni del tutto diversi e meno ricchi di armoniche. 

Il piatto “HiHat” spesso chiamato “charleston” in memoria di un particolare ritmo che lo vede protagonista è il piatto più importante e coinvolto nella creazione del groove, spesso marcando le suddivisioni del ritmo e creando un legame sonoro tra i vari colpi di grancassa e rullante.
In alternativa al “HiHat” il ritmo può essere suddiviso sul “Ride“, un piatto pesante e con molto “sustain” ottimo per creare un suono con un marcato accento e un “tappeto sonoro” sostenuto. Gli altri piatti, più sottili, con attacco e decay molto rapido servono per accentare e insieme ai tamburi rappresentano una sorta di punteggiatura sonora.

Per brevità fermo qui la mia descrizione del kit di batteria, ma ci sarebbe tantissimo da dire solo considerando il fatto che in pratica ogni batterista con il tempo struttura il suo personale kit di batteria selezionando misure, materiali, fusti, meccaniche e piatti in modo molto personale. Un articolo a parte lo dedicherò alla accordatura della batteria, che spesso ha una importanza determinante sul suono.
Questa premessa ovviamente ci dice che non è possibile prevedere, in una microfonazione della batteria, una soluzione buona in ogni occasione. Quindi in questa prima parte proporrò delle microfonazioni molto particolari, adatte agli home studio e con pochi microfoni.

UN MICROFONO

Vi chiederete come è possibile registrare una batteria con un solo microfono e certamente non è una impresa da tutti. In questo tipo di ripresa è essenziale che il suono della batteria e l’abilità del batterista siano ai massimi livelli. Il microfono ideale per questa registrazione è un condensatore a diaframma largo con pattern polare cardioide oppure omnidirezionale.

È anche importante che la sala di ripresa sia bilanciata e priva di dominanti molto marcate poiché la possibilità di intervento sul singolo suono è limitata. Però può essere una ripresa sorprendentemente efficace, seguendo alcuni accorgimenti essenziali.

Il primo accorgimento è quello di posizionare il microfono con un angolo di 45 gradi rispetto al piano orizzontale corrispondente al tamburo rullante, ad una altezza che porti ad una distanza equidistante la grancassa e il rullante, direi a circa 1 metro al di sopra della grancassa e qualche centimetro avanti alla pelle anteriore.
Poi, ascoltando il risultato della microfonazione si può variare per bilanciare il volume tra grancassa e rullante. Anche il batterista può lavorare per bilanciare con il tocco il volume delle varie componenti del kit. Di grande aiuto può essere un compressore di dinamica con attacco intorno al 15 millisecondi e rilascio rapido, per avere un suono vagamente “trash”.
Per un suono più acido si può provare con un microfono Shure SM57. Variare la distanza a piacere, tenendo sempre l’angolo a 45 gradi.

Registrare la batteria, anche con 1 microfono!

DUE MICROFONI

Per questa microfonazione sono necessari due microfoni. Il primo è un condensatore a diaframma largo con pattern polare cardioide oppure omnidirezionale, da posizionere “overhead” cioè sulla testa del batterista, in corrispondenza del centro del kit di batteria.
Il secondo microfono, scelto tra quelli robusti, dinamico, a capsula larga, è dedicato alla grancassa. È importante che abbia una sospensione della capsula microfonica particolarmente robusta altrimenti la pressione sonora a cui viene sottoposto potrebbe creare delle fastidiose vibrazioni. 

Il mio microfono preferito per questa applicazione è il D12 AKG, ma non è facile trovarne uno in condizioni ottime. Alternative validissime sono Shure beta52, ElectroVoice RE20, Audix D1, Sennheiser MD421 o anche uno Shure SM58, recuperando un poco di basse frequenze che risultano tagliate per compensare l’effetto di prossimità.
Se la “pelle” ha il foro possiamo provare a posizionare il microfono proprio appena fuori il foro per un suono ricco di basse frequenze. Oppure, per un suono con un “battente” più in evidenza, rientrare con il microfono più verso la “pelle” battente, ruotando il microfono di qualche grado vero il timpano.
Anche in questo caso il batterista deve esercitare tutto il suo controllo per bilanciare il suono poiché il margine di manovra rimane limitato.

TRE MICROFONI

Una variante alla microfonazione precedente vede i microfoni overhead aumentare a due, offrendo il lusso della stereofonia. In questo caso, se la sala di ripresa lo permette, opterei per una coppia di microfoni a condensatore a capsula piccola, più fedeli nella ripresa dei suoni fuori asse.
Posizionandoli lungo l’asse centrale del kit all’altezza dell’esterno del crash di sinistra e all’interno del ride a destra, avendo la cura di fare in modo che il centro del rullante si trovi ad essere equidistante dalle due capsule. Un’altezza di circa 1,80 metri o più è un buon punto di partenza. 

In alternativa, per avere più tamburi e meno piatti negli overhead possiamo spostare i microfoni ai lati delle spalle del batterista, circa alla altezza delle sue orecchie, in un punto che non lo infastidisce e puntando le capsule verso il rullante. Per la cassa valgono le considerazioni precedenti.

Nella prossima puntata presenterò altre microfonazioni, più articolate e tradizionali da studio.
Per restare in contatto vi invito come sempre a dare uno sguardo al mio sito web, Maxsound.

Photo by Marc WathieuCC BY 2.0