Esce per la prestigiosa Acoustic Music Records il nuovo lavoro di Alberto Lombardi, che consolida il suo nome fra i maggiori esponenti del fingerstyle europeo.
Dal Guitar Workshop di Stefan Grossman all’etichetta tedesca di un grande strumentista come Peter Finger, grazie alla collaborazione del suo amico Tim Sparks. Un bel giro di nomi importanti nel mondo della chitarra acustica contemporanea per il nostro Alberto, che pubblica il suo secondo album di sola chitarra fingerstyle, The Fermi Paradox, e partecipa all’annuale International Guitar Night.
Com’è avvenuto l’incontro con Peter Finger?
In Germania Peter ha un palazzo tutto suo, dove c’è un negozio, il suo laboratorio nel quale costruisce chitarre, una sala concerto molto bella di tre-quattrocento posti, il suo quartier generale. E ogni anno produce diversi lavori, tra cui qualche metodo didattico e tre o quattro dischi, che sono poi i dischi degli artisti con cui vuole andare in tour; le due cose sono strettamente legate.
Quando si è presentata l’occasione del tour che lui organizza ogni anno in Germania, l’International Guitar Night, Tim – che aveva partecipato diverse volte all’evento – ha caldeggiato la mia candidatura. Così Peter mi ha telefonato e mi ha detto: «Cos’hai da fare a novembre, vuoi venire con noi?» «Hai voglia!» ho risposto… [risate] Fino allora non c’era stata occasione di collaborare, nonostante i contatti preesistenti.
Veder suonare Peter da vicino è impressionante. La sua musica è talmente complicata, che a volte sembra proprio difficile poterla ‘vendere’ a un pubblico ‘medio’. È una musica che prende da talmente tanti stili complessi di musica, dalla musica contemporanea, da musicisti come Stravinsky, che richiede un buon grado di attenzione e di conoscenza per essere compresa.
Quindi, Peter Finger mi telefona e mi propone di partecipare a ventitré date, con lui, Tim e altri musicisti che si sarebbero a turno uniti a noi. Però aggiunge che questo tour è legato alla pubblicazione di un disco, perché lui lo organizza come promozione degli album pubblicati.
Quindi nel frattempo tu hai ‘dovuto’ realizzare il disco. A che punto eri?
Eh, qualche pezzo era già pronto, non registrato, ma già arrangiato. In effetti nel disco non ci sono molti brani originali, perché con la chitarra acustica a me piace e viene spontaneo lavorare sugli arrangiamenti, mi diverte rielaborare i pezzi già scritti.
Anche se la composizione sta diventando per me sempre più affascinante. Prima la riservavo più per le canzoni, scrivevo soprattutto canzoni, ma ultimamente mi appassiona di più scrivere anche musica strumentale, e quindi lo farò di più nel futuro. Però in questo caso avevo già alcuni arrangiamenti pronti, diciamo quasi la metà nella prospettiva del disco.
Peter Finger mi ha lasciato completamente libero, non mi ha chiesto niente di particolare, né di adeguarmi a un genere, né di attenermi a una qualche proporzione tra originali e arrangiamenti. Ha detto: «Il disco è tuo, fai come vuoi. L’importante è che tu me lo dia per settembre.»
Era giugno, e io d’estate suono tanto in giro, suono con Massimo Di Cataldo, con la Rino Gaetano Band, insomma con i progetti con cui suono più spesso.
Perciò non potevo andare a registrare l’album da Peter. Perché in genere il rapporto è: «Tu vieni da me a Osnabrück, registri l’album nel mio studio, quindi senza costi da parte tua se non quello di venire qui, poi ci rivediamo per promuoverlo insieme in Germania in tour.» Nella sfortuna, però, io fortunatamente ho uno studio, il Belairstudio ad Albano, così il disco me lo sono fatto da solo.
Come hai costruito il repertorio dell’album?
I pezzi che avevo già pronti erano il medley beatlesiano, con “Penny Lane”,”Help” e “Yesterday”. E un medley di standard jazz, affrontati prendendo le canzoni in quanto tali, quelle canzoni da cui i jazzisti hanno in un secondo momento preso spunto per le loro elaborazioni. Cioè sono ripartito dai brani per com’erano in origine: di “Stella by Starlight”, per esempio, non ho ascoltato la versione di Joe Pass, ma la versione di Ray Charles…
Poi avevo rielaborato l’arrangiamento di Tommy Emmanuel di “Blue Moon”. Per il resto ho dovuto scrivere o arrangiare altri pezzi. Volevo fare in ogni caso qualcosa di italiano, perché a me piace molto l’idea di costruire nel tempo un repertorio di reinterpretazioni di brani italiani; un repertorio che sta cominciando a essere abbastanza ricco: non sono arrivato neanche a dieci pezzi.
Però – considerando la velocità con cui si possono fare gli arrangiamenti di fingerstyle – non sono nemmeno pochi. Perché comunque è musica talmente bella, che si presta tantissimo ad essere arrangiata in fingerpicking. Armonicamente è già interessante, e non la ‘rovini’ se inoltre forzi un po’ l’armonia.
Be’, del resto il fingerstyle jazz fa un po’ questo: non è che si parte a improvvisare sul tema, fondamentalmente si arrangia il brano…
Sì, come Chet Atkins… E così ho ripreso diversi pezzi che mi piacciono tanto, tra i quali “On Green Dolphin Street”, che non è molto conosciuto, ma mi fa impazzire e ha una progressione di accordi che mi fa pensare a una hit della disco music, “Can’t Take My Eyes Off of You”.
Per esempio con i Beatles, se forzi un po’ l’armonia, ‘sporchi’ la bellezza cristallina delle loro composizioni. Se lo fai con Armando Trovajoli no, perché lui già è complesso. Quindi, se ci metti qualche alterazione in più, è un’aggiunta che funziona bene, che non intralcia. Su “Yesterday” ho aggiunto un paio di maggiori/minori, però sempre con estrema cautela ed estremo rispetto.
Invece su “‘O sole mio” ho dato sfogo a tutti gli studi di armonia! Poi ho scritto tre brani originali, una cosa che mi sta venendo più naturale. A me piace scrivere, mi è sempre piaciuto, però non mi veniva tanto di farlo con la chitarra acustica. Adesso non solo mi piace farlo, ma mi accorgo che mi stimola anche a cercare nuove soluzioni tecnico-stilistiche. Per esempio il pezzo che dà il titolo al disco, “The Fermi Paradox”, non è suonato con il boom chick, ha un altro tipo di accompagnamento del pollice…
Il resto dell’intervista di Andrea Carpi su Chitarra Acustica n.4/19.
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