Abbiamo incontrato Gabriele Morcavallo nella sede di Charleston Musica, la struttura didattica da lui creata e gestita in zona Monte Mario/Trionfale a Roma; proprio dalla sua intensa attività didattica iniziamo la nostra chiacchierata.
Ciao Gabriele, benvenuto su MusicOff. Vuoi raccontarci come è nata Charleston Musica e da che tipo di utenza è frequentata?
Ho iniziato a insegnare abbastanza presto e ho aperto Charleston nel 2011; quanto al tipo di utenza, nel tempo ha subito delle modifiche: quando apri una scuola di musica a Roma non puoi non partire come realtà di quartiere e ho chiamato a insegnare qui i musicisti con i quali suonavo abitualmente.
Oggi i corsi sono strutturati in due tipologie. C’è il corso custom, aperto a tutti, a chi vuole suonare a livello amatoriale e/o a chi parte da zero; custom perché si cuce un programma addosso all’allievo, ma senza dare scadenze annuali, biennali o triennali: si cerca di mettere chi viene in condizione di suonare ciò che vuole nel migliore dei modi.
Poi ci sono i corsi pro, molto più impegnativi, in cui si usa una procedura più ‘rigida’, legata alla letteratura batteristica storica, cui aggiungo delle elaborazioni sia personali sia frutto del rapporto creato negli anni con i batteristi internazionali che ho ospitato in incontri organizzati dalla mia struttura: la cosa bella è stata passare dei giorni interi in casa con artisti del genere, che ti danno il focus su cosa concentrarti sia didatticamente sia artisticamente e ti consentono una crescita ancor più veloce e mirata da mettere a disposizione degli altri.
Parlavi di letteratura batteristica: ci sono dei testi per te imprescindibili?
Ce ne sono tanti. ‘Metodo’ è una parola che un po’ spaventa e rischia di allontanare dalla musica, ed è così se non si comprende poi come mettere in pratica, come suonare ciò che studi.
Un metodo è un sistema, un modo di pensare lo strumento. Se si entra in quel sistema e lo si interpreta in più modi, da diverse angolazioni, si capisce perché è nata da parte dell’autore l’esigenza di crearsi quel sistema.
Per quanto mi riguarda, d’accordo con i più autorevoli colleghi con cui ho avuto modo di discuterne, lo studio della batteria è sì finalizzato a un’espressione artistica, ‘di cuore’, ma passa per l’immagazzinamento e l’elaborazione di sistemi e schemi di accompagnamento. Questo è lo studio strumentale.
Quanto alla letteratura, tasti imprescindibili sono lo Stick Control, l’Accents & Rebounds, i Master Studies e ne dimentico sicuramente più d’uno. Utilizzo anche i vari (libri di) Dante Agostini, Wilcoxon, Jim Chapin, il Syncopation, il New Breed di Gary Chester, ottimo per sviluppare il quinto arto…
Lascio per ultimo quello cui sono legato in modo particolare, il Four Way Coordination, un metodo che mi ha dato tanto e che ho affrontato proprio con chi lo aveva portato in Italia, ossia il M° Antonio Golino; poi suo figlio Alfredo mi ha fatto capire, affrontandolo in più modi, quali siano le potenzialità di un testo che è una manna dal cielo non solo per la coordinazione, ma anche per suono e timing.
Uno di quei sistemi che preso in maniera asettica è veramente di una noia mortale, una serie infinita di combinazioni. Ma affrontato in maniera ‘musicale’, pensando a cosa serve per poi suonare, allora è una cosa eccezionale.
Hai citato solo metodi cartacei. Eppure per un periodo siamo stati letteralmente sommersi da DVD di carattere didattico, un articolo oggi decisamente desueto (mentre si continuano a stampare libri di batteria)…
Sì, certo, scripta manent. Sono stato anch’io un divoratore di DVD. La summa può essere rappresentata in Secret Weapons for the Modern Drummer di Jojo Meyer. Il decadimento di cui parli potrebbe anche essere legato a un decadimento del supporto tecnologico.
Ma da insegnante non pensi che lavorare con un DVD come strumento didattico sia meno efficace rispetto a lavorare con un libro? Apparentemente dovrebbe essere più facile, perché hai l’immediatezza dell’immagine, ma non l’esercizio trascritto…
Il DVD ti porta a un’emulazione visiva, mette in moto i ‘neuroni specchio’, perché è realizzato dal ‘mito’. Altro conto è cercare insieme – allievo e maestro – di capire un sistema o un esercizio o creare delle dervivazioni più personali: lo stimolo è meno emulativo, ma più ‘stimolante’, appunto.
Facciamo un passo indietro e parliamo della tua formazione musicale…
Ho iniziato a cinque anni con il pianoforte classico e ben presto si è manifestata questa mia caratteristica innata, il mio ‘autismo metrico’, ereditato da mio padre: gli dici una frase, anche lunga, e lui ti dice immediatamente di quante lettere è composta. Musicalmente non mi sarebbe servita a molto, ma ho la fortuna di aver ereditato questa caratteristica però applicata alle sillabe. Anche per questo intorno ai 13 anni mi sono avvicinato alla batteria, cominciando a suonare sui dischi.
E quando hai iniziato a fare sul serio?
Un paio di anni dopo, quando ho chiesto di poter andare a lezione. Ebbi una grande fortuna, perché a viale Mazzini, vicino casa, c’era questa scuola di musica, la MIA del grande bassista Tony Armetta, dove incontrai una persona che è rimasta ancora oggi uno dei miei punti di riferimento sia a livello artistico sia umano, Michele Rabbia, per me uno dei più grandi artisti contemporanei. Michele era allievo di Lucchini e mi ha tramandato quella formazione lì e già nel 1996/97 , quando iniziava la sua avventura con Javier Girotto e Aires Tango, aveva quel tipo di rapporto con la bacchetta che ho visto anni dopo in Jojo Mayer.
Poi Michele ha intrapreso una strada non da nerd batteristico, per così dire, ma ha una conoscenza maniacale del dettaglio che ho visto davvero in pochi batteristi. Con lui si è sviluppato un rapporto bellissimo: dopo le lezioni mi portava nei club dove suonava, al Mississippi Jazz Club o all’Alexanderplatz, e lì potevo vedere il suo rapporto con la musica e i musicisti, a volte così intenso e a volte così scanzonato…
Se non avessi avuto l’imprinting musicale di Michele Rabbia, probabilmente non sarei così innamorato di quello che faccio.
Altre figure di riferimento?
Sempre alla MIA ho avuto l’opportunità di incontrare Donato Santorsa, un batterista non tra i più blasonati, ma uno che, se vivessimo in una società meritocratica, dovrebbe girare in Lamborghini: è uno che ha studiato negli USA con Alan Dawson e altri grandi, ed è un batterista e un didatta di grandissima caratura.
Cito poi altri maestri in ordine sparso, insegnanti che mi hanno lasciato qualcosa e non solo dal punto di vista tecnico. C’è Ezio Zaccagnini, che peraltro mi fece decidere di fare la professione quando ancora non lo conoscevo, grazie a un assolo durante uno concerto a Roma di Gianni Morandi a cui ho assistito quando avevo circa 15 anni: un groove e un suono che mi sono rimasti nel cuore, con questa sua Pearl MMX Emerald Green che fu la prima batteria professionale che comprai, aspettando due mesi per poter avere esattamente la stessa finitura e la stessa configurazione.
E quanto tempo dopo quel concerto hai poi conosciuto Ezio?
Dopo tre anni di avanti e indietro tra Roma e Brescia per studiare con Antonio e Alfredo Golino, e dopo che avevo già iniziato a suonare in diverse situazioni interessanti qui a Roma (tra l’altro ero entrato nella band del cantautore Mannarino), ho pensato fosse la persona giusta a cui chiedere delle dritte pratiche, qualcosa inerente al mestiere e all’approccio mentale, come gestire le situazioni. Con Ezio si instaurò un rapporto di amicizia e stima tali che mi mandò a lavorare al suo posto, dal vivo e in studio, in una situazione che aveva vinto il premio della Critica a Sanremo ed era prodotta dal grande Jeff Wesley, il pianista e arrangiatore del Battisti anni ’70. Ezio mi ha dato così tanta fiducia e ha sempre seguito la mia carriera quasi come un papà…
Ricordo poi con piacere Beppe Basile, che mi ha insegnato cosa sia la costanza, un approccio shaolin per farmi capire cosa significhi essere centrati e avere un focus, anche nei momenti in cui non hai grande empatia o un rapporto idilliaco con lo strumento.
Veniamo alla tua attività professionale: quali le tappe più rilevanti?
Sin da quando ho iniziato ho avuto moltissime esperienze con diversi gruppi romani. In particolare con alcuni amici di Montemario abbiamo iniziato a suonare che eravamo ancora adolescenti, andando insieme ad ascoltare i grandi del Blues, da Buddy Guy a B.B. King, al festival di Pistoia, per ritrovarci nel 2008 a vincere il concorso Obiettivo Blues con i Banta (oggi Lebowski Family) e a condividere il palco del Pistoia Blues Festival con Tommy Emanuel, Hot Tuna…
Il rock blues è quindi la tua musica d’elezione?
No, non ho una musica preferita, sono molto curioso. Per me esiste musica bella e musica brutta, a prescindere dai generi. Può esserci un jazz brutto e una musica elettronica bella, o viceversa. Ho suonato con tanti cantautori, da Mannarino a David Boriani, da Domenico Cardella in arte Carducci a Jacopo Troiani, Martina Cambi, Graziella Lintas, Martina Cambi…
Mi è capitato di suonare reggae, rock, pop, new soul. Ci sono due studi di registrazione qui di Roma dove faccio un po’ da jolly e suono di tutto: uno è quello di Patrizio Porri, qui vicino a Charleston Musica, l’altro il Diapason Studio di Simone Satta. Con lui ho tenuto anche dei corsi, per batteristi e fonici, sulla microfonazione della batteria e la ripresa del nostro strumento in studio.
A proposito di sale di registrazione, tra fine aprile e inizi maggio con la Lebowski Family registreremo due video per altrettanti inediti.
Un’altra parte importante della tua attività è quella di organizzatore di eventi batteristici: com’è nata la voglia di impegnarsi in un ambito in cui spesso si ricevono più critiche che consensi?
Ho sempre cercato per me stesso di ottenere informazioni dai massimi esperti di determinati argomenti che volevo conoscere. Avendo una scuola, volevo offrire anche ai miei allievi la possibilità di interfacciarsi con i migliori batteristi del mondo.
Ho iniziato, rischiando non poco, a far venire a Roma alcuni artisti per conto della Charleston, ma sempre tenendo in mente la loro proposta artistica o didattica: ho sempre messo in chiaro di non volere delle esibizioni fini a se stesse.
Per esempio con Jojo Mayer abbiamo creato delle classi a numero chiuso con sette ore intensive di didattica.
Ho poi voluto documentare, con l’aiuto di Francesco Di Trapani, gli eventi organizzati con dei supporti audio/video di qualità e così è nata Charleston TV.
Col tempo la cosa ha avuto sempre più successo, al punto che in occasione dell’ultima master organizzata, con Matt Garska, ho avuto 70 paganti, ma ho dovuto rimandare a casa ben 50 persone. Spesso ci si lamenta che le cose non vanno, ma quante ne vedo di cose organizzate così e così…
Si raccoglie quel che si semina. Se dietro c’è un investimento di spessore artistico e didattico da parte di chi organizza, o meglio di chi cura un evento simile (non mi piace il termine ‘organizzatore’, preferisco parlare di un cutatore, una persona che si prende cura di ciò che propone), allora dai un’indirizzo, un’anima all’evento stesso.
Non per questo si è infallibili, ma curando molto quell’approccio poi i risultati si vedono. L’evento non deve nascere e morire in quelle ore lì, ma deve lasciare un seme che poi germoglia e cresce anche negli anni.
Hai peraltro chiamato in questa tua attività di curatore di eventi batteristici molti colleghi italiani a parlare della loro visione batteristica…
Certo, non sono un esterofilo, seppur riconosca alla generazione che mi precede svariate colpe, non ultima quella di aver sempre emulato. Abbiamo avuto grandissimi talenti, ma troppo pochi hanno puntato su una visione personale. Qui ancora stavamo emulando Weckl quando è venuto fuori Marck Guiliana, e tutti subito a imitarlo. Noi qui potremmo avere i nostri Marck Guiliana, ma c’è quasi un timore a uscire, a proporsi, siamo più conservatori, ossia emulatori come mentalità.
Peraltro è di questi giorni l’annuncio di una prossima master romana in cui, accanto a un mostro sacro del drumming mondiale, si esibiranno anche alcuni bravissimi batteristi di casa nostra…
Infatti: per il 17 e 18 maggio Cinque Quarti Music Studio ha organizzato, insieme a Charleston Musica, una due giorni con il grande Dom Famularo, con clinician ospiti il sottoscritto, Tommaso Sansonetti, Massimo Russo e Corrado “Dado” Bertonazzi.
Ricordiamo che tutti gli incontri batteristici da te curati sono e saranno visibili, ben sintetizzati, su Charleston TV. Immagino che proprio questa attività di curatore di eventi su Roma possa aver facilitato la chiamata a collaborare in un paio di appuntamenti batteristici di rilevanza nazionale…
Sì, col tempo sono stato chiamato come Direttore Artistico per situazioni più grandi, come il Groove Day ideato da Sergio Fanton a Milano, con il Groove Night Party dell’anno scorso realizzato insieme a lui e a Maxx Furian, o come 100% Batteristi a Sora: anche per il 2019 l’ideatore, Alessandro Spaziani, bontà sua, mi ha voluto in questo ruolo. Immagino che chi mi ha coinvolto abbia capito che a me sta a cuore far crescere queste manifestazioni dal punto di vista artistico e non solo numerico.
Anche quest’anno la manifestazione di Sora prevede il concorso batteristico targato Charleston Musica?
Sì, ho pensato di legare alla manifestazione preesistente 100% Batteristi il concorso, in modo da avere un vaso comunicante tra i migliori batteristi italiani, in qualità di giurati e clinician, e la tanta gente interessata all’evento e a esibirsi in piazza col suo strumento. Probabilmente quest’anno ci sarà anche il corso intensivo che tengo con Maxx Furian e Daniele Chiantese, oltre alla web star del momento, Corrado Bertonazzi. Quindi rimane l’aspetto dell’esibizione di massa, ma condivisa con artisti di calibro indiscutibile.
A proposito dell’intensivo con Furian e Chiantese, qual è la formula del corso?
Due giorni pieni, tosti, duri, con circa 15 ore effettive con noi tre, con le strutture che ci ospitano a loro volta capitanate da validi docenti che hanno il ruolo di hosting coach, un vero e proprio ‘quarto uomo’ che lavora insieme a noi, avendo delle ore di condivisione. Mi sembra importante dire che a volte abbiamo rifiutato alcuni ingaggi perché da parte nostra c’è una sorta di selezione di chi ci chiede di comprare il pacchetto, una specie di garanzia di qualità, perché ci piace dare e ricevere in un campus all’altezza dei migliori corsi internazionali.
Che riscontri state ricevendo al corso intensivo?
Clamorosi, c’è gente che ci scrive dicendo di aver ricevuto molto più da noi che da alcuni incontri con grandi batteristi stranieri.
Sappiamo già che a settembre ricominceremo la nuova stagione da una tappa a Torino e stiamo pensando a sviluppare una sorta di ‘capitolo 2’ per poter tornare dove siamo già stati. Una parentesi personale: dopo una nostra tappa in Sardegna ho iniziato a tenere dei miei corsi Long Distance presso il Sound Room Studio di Alghero, un appuntamento mensile con ottimi professionisti e insegnanti della regione.
Tornando al corso intensivo, ognuno di noi tre in qualche modo rappresenta una diversa realtà didattica (io con la mia Charleston, Maxx col NAMM Bovisa e Daniele, colonna del St. Louis College di Roma) e il confronto di visioni differenti non può che portare grandi risultati.
Dal mio punto di vista, la cosa straordinaria è stare a contatto con due pesi massimi del batterismo italiano nel mondo, assistere alle loro lezioni e a volte intervenire per fare qualcosa insieme a loro. Sono delle persone con le quali sto coltivando anche un rapporto umano raro
Dalle persone in carne e ossa alla comunità batteristica virtuale: come ritieni che debbano essere usati i social network da un professionista della musica?
Dipende da quello che cerchi e dal ruolo che dai al social nell’ambito della tua attività. Ho una pagina personale, in cui per mia scelta non supero la soglia delle 5.000 amicizie, ma ho un seguito e delle ‘reazioni’ molto superiori rispetto a chi ha delle pagine artista con più contatti. Per un motivio la mia pagina personale non è una scuola on line.
Non faccio video didattici. Posso buttare lì delle piccole pillole video a fine giornata, ma senza scopi educativi, solo una condividione di ciò che mi capita nella vita reale: una foto in sala di registrazione, o in un festival batteristico, il video di un’esibizione, eccetera. Non per aumentare il seguito di allievi, ma per spirito di condivisione (e può essere anche un bel piatto di amatriciana…).
Questa maniera informale di gestire la mia pagina ha portato alla nascita di bei rapporti con alcuni colleghi, per esempio con Max D’Urbano, con il quale mettemmo su il tour clinic Attenti a quei due, nato proprio da una serie di confronti on line. Il social non è per me un sostitutivo della vita reale, o il modo per avere lì un ruolo che non ho nella vita reale: è un riflesso molto piccolo – condiviso – di quello che vivo tutti i giorni.
Ora vorrei aprire una finestra sulla collaborazione che stai per avviare con MusicOff: quale dei tanti aspetti della tua attività troverà sbocco sulle nostre pagine virtuali?
Intanto curerò un appuntamento mensile, in cui ci potranno essere degli approfondimenti didattici, tecnici, veri e propri, ma anche la documentazione di ciò che mi succede professionalmente: per esempio a maggio entrerò in studio con uno dei più grandi fonici italiani, Simone Satta, e documenterò cosa succede in una session di batteria in uno studio importante. Insomma, oltre alla didattica anche qualche bonus sfizioso che annulli la distanza tra quello che succede nell’ambito lavorativo e chi in quell’ambito vorrebbe entrarci.
Per concludere parliamo dei tuoi strumenti?
Ho l’onore di essere endorser internazionale per le batterie Sonor e i piatti Meinl e per entrambe le case sono spesso chiamato in causa come clinician; peraltro il battesimo del fuoco con Sonor l’ho avuto dovendo aprire la tappa romana del clinic tour di Chris Coleman… Poi uso pelli Remo e bacchette Facus e Ama Cajòn Drum per le percussioni (spesso uso il cajon quando non posso servirmi della batteria).
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