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Afterhours – Folfiri o Folfox

Io non sono una fan degli Afterhours e so anche che sarebbe bene non scrivere recensioni di album usando la prima persona singolare, ma l'ultimo lavoro di Manuel Agnelli e compagni mi ha toccato a un livello così profondo che non me ne frega nulla di non sembrare obiettiva.

Io non sono una fan degli Afterhours e so anche che sarebbe bene non scrivere recensioni di album usando la prima persona singolare, ma l’ultimo lavoro di Manuel Agnelli e compagni mi ha toccato a un livello così profondo che non me ne frega nulla di non sembrare obiettiva.

Afterhours - Folfiri o Folfox

Dicevo, non sono una fan degli Afterhours, non perché non apprezzi l’incredibile serie di innovazioni che ha portato questa band nel panorama musicale del bel paese, non perché non riconosco siano i pionieri dell’indie rock italiano, non perché non sia attratta dalle loro ballate seducenti, non perché non apprezzi le loro sonorità arrabbiate, ma forse perché ho sempre sentito una certa distanza tra il mio stomaco e le loro canzoni. Ed io la musica ho bisogno di sentirla nella pancia, sono fatta così.
Bene, Folfiri o Folfox (così si chiama il nuovo album in uscita il 10 giugno per Germi e Universal) è qui che l’ho sentito: mi si è insinuato nelle viscere e c’è rimasto per un bel po’.
18 tracce che si rincorrono, ognuna diversa dall’altra, tutte che affiorano dallo stesso fondo fangoso.

Afterhours - Folfiri o Folfox

Sono passati quattro anni da Padania, quattro anni di perdite, di elaborazioni, di rabbia e sgomento. Due storici componenti del gruppo hanno abbandonato, due nuovi sono arrivati: Stefano Pila dei Massimo Volume e Fabio Rondanini, batterista dei Calibro 35. Nuova linfa vitale per un gruppo in cui non credeva più nemmeno lo stesso Agnelli, e che con questo album tende alla rinascita. Ma non si tratta della fenice che rinasce dalle sue stesse ceneri, bellissima e inconsapevole della morte e del miracolo che la vede protagonista.
Manuel Agnelli non crede nei miracoli, ma conosce la morte e il senso di smarrimento che si prova in seguito alla perdita di un padre, con cui in un sogno aveva stretto il patto di non morire mai, di non farlo insieme.
“Grande”, il brano in apertura, parla di questo patto non rispettato, tradito, di un addio, di una consapevolezza dolorosa. E in un certo senso parla di morte anche la seconda traccia “Il mio popolo si fa”, la morte delle illusioni di una generazione arrabbiata, che calpesta a ritmo di marcia i sogni infranti, gli ideali caduti davanti a “dio, fortuna e trans”.

Afterhours - Folfiri o Folfox

Quest’album parla di malattia, Folfiri e Folfox sono infatti i nomi di due trattamenti chemioterapici, di domande destinate a non avere una risposta, dell’assenza di dio, di crepe, della visione di una vita che gocciola via. Ma tutto questo dolore, tutto lo sconforto e lo smarrimento e l’assenza di senso, non si traducono in una resa incondizionata e disillusa, non spengono la vita e il calore e la voglia di fare musica. Sono la spinta per affrontare una nuova fase, per rinascere, per tornare a respirare dopo una brutta caduta che ha lasciato senza fiato e continuare a lottare.
Quello che ha caratterizzato gli Afterhours in tanti anni di attività è ben presente in ogni anfratto di questo album: i testi oscuri e affascinanti, le chitarre distorte e decisamente rock che sfumano solo per lasciare spazio alle classiche ballate firmate Manuel Agnelli, il crescendo quasi crudele delle parole e della musica, ma è come se a cambiare fosse il punto di vista.
Gli Afterhours ripartono così, dal fondo, dalla pancia, dalle sensazioni. Ripartono dalla vita, senza artefatti, privi di limiti, anche di quelli autoimposti, con la semplicità e il passo deciso di chi sa attraversare le tempeste.