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Quando Paolo Villaggio ispirò Fabrizio De Andrè

Oggi tutti piangono, a prescindere dalla generazione d'appartenenza, uno dei geni della comicità italiana. Paolo Villaggio. Uomo di straordinaria cultura, armato di una parola di incredibile potere dissacrante, padre di molti personaggi ma soprattutto di uno, probabilmente il Re di tutti quelli d'invenzione cinem

Oggi tutti piangono, a prescindere dalla generazione d’appartenenza, uno dei geni della comicità italiana. Paolo Villaggio
Uomo di straordinaria cultura, armato di una parola di incredibile potere dissacrante, padre di molti personaggi ma soprattutto di uno, probabilmente il Re di tutti quelli d’invenzione cinematografia comica di quegli anni (per quanto ancor prima letteraria): il ragionier Ugo Fantozzi.

La domanda è lecita: e cosa c’entra dirlo su MusicOff?
C’entra e neanche poco, a prescindere dal fatto che tutti noi dobbiamo un po’ della nostra infanzia a quei lungometraggi. Ma pure visto che Paolo Villaggio è stato anche autore musicale, e non solo di alcuni testi delle ben note musiche dei film (queste ultime ad opera dei vari Franco Bixio, Fabio Frizzi, leo Benvenuti, Piero De Bernardi e Vince Tempera), ma anche al fianco di un altro colosso della cultura italiana: Fabrizio De André.

Quando Paolo Villaggio ispirò Fabrizio De Andrè

Amici da sempre, uno dei pochi che Villaggio abbia mai annoverato come tali insieme a Gigi “Filini” Reder, Villaggio fu paroliere (compito arduo se si pensa a chi si stava “togliendo” le parole) per De André nei brani “Il Fannullone” e “Carlo Martello Ritorna dalla Battaglia di Poitiers“.
Entrambi i brani esprimono una forma di derisione del potere, nel primo caso quello della più generica assuefazione all’ordinario, al precostituito, alla “vita normale”, nel secondo il potere istituzionale, in questo caso impersonato dal medievale Carlo Martello.

Chissà se poi sarà vero l’anedotto raccontato su carta da Villaggio secondo cui per scommessa il cantautore fu costretto ad assaggiare un topo, con conseguenti rigurgiti, da cui si riprese solo suonando la chitarra e intonando per la prima volta le note di quest’ultimo brano.
Beh, come Filini insegna, in fondo “esiste il pescecane, il pescegatto e il pesceratto“.

E allora riascoltiamoceli, ricordandoci che in fondo, siamo tutti un po’ Fantozzi. A volte un po’ Filini, qualche volta, purtroppo, un po’ Calboni. Ma ognuno di noi porta sempre dentro di sé una briciola del ragioniere.