È il punto di partenza di un esperimento musicale tanto curioso quanto affascinante, realizzato nei Mizora Studios, dove Steve Smith (batterista storico dei Journey), il pianista Manuel Valera e il bassista Yannick Guzman – ovvero il trio Vital Information – si mettono alla prova con una sfida fuori dagli schemi: trasformare Black Hole Sun dei Soundgarden in un brano jazz.
La scelta non è casuale. Il pezzo simbolo del grunge anni ’90 è noto per la sua ambiguità tonale, linee melodiche contorte e struttura ritmica irregolare, caratteristiche che lo rendono particolarmente interessante agli occhi – e alle orecchie – di musicisti abituati a lavorare su linguaggi complessi come quelli del jazz-rock fusion.
Riascoltiamo anche l’iconico brano originale, un vero pezzo di storia degli anni ’90:
L’ascolto e le prime reazioni
Il video si apre con l’ascolto del brano originale, che provoca reazioni contrastanti: chi lo riconosce subito, chi non l’ha mai sentito, chi lo ha come suoneria del telefono. Manuel Valera è l’unico ad averlo “predetto” con una settimana d’anticipo, ironicamente. Steve Smith commenta in modo schietto: “È uno dei dischi più scordati che io abbia mai sentito”, ma riconosce il potenziale creativo del brano.
La prima intuizione è chiara: stravolgere completamente tempo, atmosfera e armonia, per costruire un nuovo brano che abbia una propria coerenza stilistica, pur partendo da materiale preesistente. Si parla di dare un tocco “alla Les McCann”, con groove sincopati e approccio più “aperto” dal punto di vista ritmico.
La costruzione del nuovo arrangiamento
Il lavoro prende forma rapidamente ma con metodo. Si individuano le sezioni chiave – intro, strofa, ritornello – e si decide di aprire con un groove in 9/8, tratto da un riff centrale del pezzo originale, usato però come nuovo biglietto da visita jazzistico.
L’arrangiamento cresce strato dopo strato, con l’inserimento di accordi “più speziati”, una forma rielaborata che include solo e variazioni, e una particolare attenzione alla dinamica e alla “respirazione” del brano. L’intenzione è chiara: evitare un approccio statico, cercare varietà e respiro, senza inseguire l’originale.
Tra un’idea e l’altra, emerge anche il carattere del trio: battute, divergenze su dove inserire i soli e… un rifiuto categorico da parte di Smith verso i finali in fade: “Odio i fade. Troppo tempo passato negli anni ’80”.
Verso la versione finale
Dopo vari tentativi e qualche ripartenza forzata, si arriva alla take completa. Nonostante le corse contro il tempo, il trio riesce a registrare una versione coesa, dove il materiale originario si fonde con una nuova identità sonora, profondamente personale e ben distante dal mood cupo e dilatato del pezzo dei Soundgarden.
L’esperimento non cerca di copiare, ma di riutilizzare in modo libero, con rispetto e ironia, elementi melodici e armonici di un brano iconico per raccontare un’altra storia, con un altro linguaggio.
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