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musicisti o pistoleri

Musicisti o pistoleri? Mano ferma e “sparate” per primi…

Una riflessione che è un puzzle di pensieri, sogni, pezzi di pellicola e forse un sorso di whisky in più...

Stanotte, anzi, forse stamattina intorno all’alba, mi sono svegliato e ho iniziato a meditare, chissà per quale motivo, su uno dei miei film preferiti, visto la sera prima: Unforgiven, in italiano Gli Spietati.

Cosa c’entra un incipit del genere per un articolo su Musicoff? Già, forse me lo sto ancora chiedendo anch’io mentre lo scrivo, ma credo che ogni tanto vada buttata una pietruzza nel mare e chissà che il riverbero sull’acqua non arrivi più lontano e magari abbastanza in profondità.

Come quasi ogni film di Clint Eastwood, e forse è questo uno dei motivi per cui lo adoro in maniera decisamente smodata, viene raccontata una storia, che però non è altro che il veicolo per parlare di qualcos’altro di ben più profondo, umano.

Sebbene all’apparenza sia un (gran) bel western, con tutti i crismi del caso a partire dai pistoleri che vanno in soccorso del gentil sesso in pericolo, tutto ciò non è altro che la parte superficiale di un quadro che nella sua tela nasconde qualcosa di molto più importante.

La vera trama del film è la storia di un uomo che ha rinunciato ad essere se stesso, una vera e propria catarsi, ma che deve – e forse in fondo al suo animo vuole almeno per un’ultima volta – tornare ad assaporare le emozioni di un tempo.

Si tratta di una parabola che ha una lunga e quasi impecettibile salita, che diventa improvvisamente una veloce strada verso la vetta per poi riscendere giù a strapiombo, lasciandoci solo immaginare la caduta e le conseguenze, anche se apparentemente la pellicola finisce esattamente con l’immagine di quiete con cui era iniziata.

Il personaggio interpretato da Clint è una persona che ha spento il suo fuoco, pericoloso per se stesso e soprattutto per gli altri. Questo fuoco, in realtà, non si è mai spento del tutto ma è stato solo chiuso in sicurezza in fondo alle viscere, con le chiavi della sua prigione consegnate a una fonte d’amore abbastanza grande da contrastarne l’impeto con forza uguale e contraria.
Ma tale fonte, rappresentata da una moglie e madre, non è più in vita e resta solo l’uomo a trattenere sotto pelle il vecchio se stesso.

Un uomo che oramai affonda, letteralmente, nelle melma di un vita che ben poco gli si cuce addosso e che lo fa per il futuro dei figli, in una terra dura e arida come ogni ruga che oramai gli solca il volto.

A un certo punto, però, gli si presenta l’occasione di dare un futuro diverso a se stesso e alla prole, più radioso. Per farlo, tuttavia, deve liberare ancora una volta quelle vecchie fiamme, anche se cercherà di farlo in maniera controllata.
Accetta, quindi, ma lo fa solo per il bene familiare o perché sarà l’ultima occasione di dar sfogo alla sua indole e al suo “talento”, per quanto questo sia così distruttivo?

Da lì inizia la lenta parabola, di un vecchio fuorilegge che non sa più mirare con la pistola e neanche salire a cavallo al primo colpo. A tratti ridicolo.
Pian piano, però, durante il film quest’uomo cambia, moralmente e fisicamente.
Certe decisioni diventano man mano più facili e il suo stesso sguardo passa da quello di un contadino e padre di famiglia dagli occhi stanchi a quello di un leggendario e temibile diavolo del west, finchè non cede del tutto.

In quel momento i suoi occhi sono oramai praticamente un’ombra nera (fisicamente, un colpo di genio su luci e inquadratura). È il momento in cui riceve la notizia più triste, quella che gli farà fare l’ultimo balzo verso ciò che fino a poco prima considerava la sua dannazione.

Non voglio spoilerare ovviamente il film a chi ancora non l’ha visto, quindi mi atterrò a descrivere gli eventi in maniera molto generica.
Ma c’è un momento che devo per forza citare in maniera molto precisa, un colpo di genio di sceneggiatura e regia. Per cui vi avviso, se state leggendo.

Nello stesso momento in cui vi ho descritto quell’ombra scura che nasconde oramai gli occhi, c’è un semplicissimo gesto che quasi passa in secondo piano sotto i dialoghi dei personaggi, molto intensi in quel frangente.
Il personaggio di Clint prende una bottiglia di whisky dalle mani del compagno d’avventura e ne beve un sorso, facendolo con una calma e una naturalezza come se lo avesse fatto di continuo fino a pochi secondi prima.
Sono però 11 anni che non tocca una bottiglia, perché era al tempo ciò che lo teneva in piedi e contribuiva a renderlo l’uomo e il fuorilegge che era.

È il momento in cui il velo si squarcia definitivamente e finalmente capiamo che il cielo si tramuta in tempesta e che il vecchio pistolero prima impacciato, impaurito dalla morte e pieno di dubbi, ora non esiste più.
Nessuna scena eclatante, nessun modo di descrivere l’ingresso nella scena del “nuovo personaggio” nei moderni e terribilmente rumorosi modi del nuovo cinema hollywoodiano, fatto di continui supereroi che diventano a ogni passo “più super”.
Un semplice sorso da una bottiglia, che però significa tutto, un colpo da maestro del buon Clint.

Da lì si va verso il finale, verso quella ripida salita e l’altrettanto ripido ritorno all’inizio e alla chiusura del cerchio.
La storia di un animo umano, che vive la sua ambientazione cinematografica solo come espediente narrativo.

Ebbene, cosa c’entra tutto questo con noi musicisti?

Forse tutto, forse niente.
Forse è stato solo un pensiero del dormiveglia, e come tale, nebuloso, impreciso, confuso. Ma non posso smettere di pensare a quante persone che suonano uno strumento si siano prima o poi ritrovate a non riuscire più a “sparare dritti con la propria pistola”.
A quanti si siano rassegnati e abbiano sepolto dentro se stessi il desiderio di comunicare in musica le proprie emozioni, convinti che quello sia un mondo in cui sopravvivono solo i “pistoleri più veloci”. Che sia passata “l’età per suonare” o ancora di più quella di “scrivere musica”.

Ma come dice il nemico numero 1 di questo film, interpretato dal grande Gene Hackman, quello che conta non è mai la rapidità, se non per quel che passa nelle leggende metropolitane.
Il vero segreto sono i nervi saldi, la capacità di rimanere fermi e calmi al proprio posto, mirare e fare fuoco.
Il pistolero veloce è quello che ti manca.
Il pistolero calmo e convinto delle proprie azioni, è quello che ti ammazza.

Tornando alla musica, quante volte siamo stati convinti che la nostra tecnica, le nostre conoscenze, non fossero “abbastanza”?
Abbastanza per cosa? Per dimostrare di essere il miglior pistolero del west?
O di scrivere una canzone? Cosa è più importante? E cosa serve per scrivere una canzone, la maggior parte del know how possibile e immaginabile in testa e nelle mani, o tanta, tanta convizione in se stessi e nelle proprie idee?

Chiaramente, ci vuole un po’ di conoscenza. Altrimenti non “spari” neanche a un fienile…
Ma dopo, quando un minimo di base tecnica e teorica ci rende in grado di avere i mezzi per comporre, cosa ci frena ancora? Cosa ci fa tremare il dito sul grilletto?

La paura dell’approvazione degli altri? Il giudizio dei “maestri”?

Ebbene, come ci insegna anche questo film, nessuna grande leggenda ha mai sparato senza trovarsi in mezzo ad altre pallottole che fischiano.
Bisogna metterlo in conto. 

Non bisognerebbe mai smettere di credere di poter scrivere la propria musica.
Bisognerebbe forse smetterla di autolimitarci per paura o per il pensiero che il mondo non approvi quello che siamo e che facciamo.
E non è detto che dobbiamo scrivere per il mondo, possiamo anche farlo per noi stessi.

Ma il mio è solo un pensiero, forse stupido, nel dormiveglia.
E come tale, si è spento per far spazio a un altro sogno.