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Note rubate: la musica che educa al furto

Il furto nella musica è avvenimento costante e ineluttabile...

Bisogna dire anche che la natura del furto svaria, che contrariamente all’accezione che per l’ordinario gli si riconosce, questa che ci riguarda non giunge a costituire un’infrazione, una frode, ma un’educazione. Ciò sta a dire che la musica educa al furto.

Ma cos’è questo furto?

Fin dai primi passi musicali, il musicista novellino non fa che assorbire, prendere e rubare di continuo, esegue brani che sono di proprietà altrui, minacciosamente protetti da questo furto di proprietà, ma egli in verità, sordo e cieco a queste angosciose e canine ingiunzioni, se ne appropria totalmente, ne porta internamente più che la componente protetta, quella che resta libera, quella che nessuno menziona come di diritto proprio, cioè il fondo di luce.
Ne modifica, secondo le proprie disposizioni, l’indole, fa in modo che mediante lo spogliarello spirituale di un estraneo compositore passi la sua sensibilità, la sua voce, la sua nudità.

Quel che si può dedurre è che la nota è uno degli strumenti dell’interiorità universale, che a noi più che appropriarci della nota incalza appropriarci di quest’anima del mondo.
La nota non è che un veicolo guidato dalle urgenze espressive di questa interiorità, veicolo che dalle burberi e manicomiali babeli dell’inganno cittadino ci conduce alle sorgenti più trasparenti del provare, del sentire.
Chamfort dice “se la società non fosse una costruzione artificiosa nessun sentimento semplice e autentico produrrebbe il grande effetto di stupore che produce“. Con l’atto musicale il mondo subisce una fulminante perdita di peso a favore della semplicità, sparisce la sua mole fisica, lasciando il luogo all’imponderabile emotivo.

Sébastien-Roch Nicolas de Chamfort

In qualche altro detto passato, avevo chiarito che esiste uno sbalzo netto tra l’esecuzione e la creazione, la prima facilmente identificabile a una declamazione, pure diamantina, fascinosa e magistrale che sia, soggetta anche a ispirare innumerevoli plausi; la seconda a una personale traduzione dell’esistere, da cui prenda vita la vita.

Personalmente ho sempre indotto i miei allievi alla loro Parola, che attraversasse il grande deposito di Parole altrui, ma che da questo guadare di fiume universale si giungesse a un modellamento della sensibilità personale, come a un imbuto dell’essere dalla cui coda affluisse un racconto di sé, entrato in una storia dalla quale si è rubato un significato.

Cartier Bresson dice dell’arte: “bisogna porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore“; così passa la medesima sentenza in un arcaico proverbio della mia terra “Cu travagghia chi manu è manuvali, cu travagghia chi manu e ca testa è mastru, cu travagghia chi manu, ca testa e cu cori è n’artista” (chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la mente è un artigiano, chi lavora con le mani la mente e con il cuore è un artista).

Martine Franck et Henri Cartier-Bresson aux Rencontres Internationales de la Photographie d'Arles 1974
Photo by Rolph31000CC BY-SA 4.0

Questa è la Parola dell’arte, il tutto coinvolto in tutto. Il furto di cui parlavamo è mettersi sulle tracce di quella scheggia di tutto che ci è dato di interpretare, le particole di messaggio di cui ci facciamo postini, apprendere significa capire cosa è stato rubato e da dove, da quale mistero, significa entrare in una scuola di ladri e apprendere l’arte del rubare, rubare musicalmente è sentire, sentire musica significa rendersi complici di questo magnifico atto che è l’ascolto del cuore delle cose e coglierlo.

Soltanto a questa maniera, quando arriva il punto in cui la nota si trasforma in barca per il viaggio, con la quale approdare verso isole calde di passione che ci si può rendere conto del senso di strumento che cerca, come di un radar di essenza, soltanto a questa maniera si può avere la musica come scandaglio ai fondali oscuri della vita.

Così parlava un inno alla musica di Schubert, “An Die Musik”:

Arte meravigliosa, in quante ore grigie,
Quando il vortice selvaggio della vita mi opprime,

hai infiammato il mio cuore di caldo amore,
mi hai trasportato verso un mondo migliore,
trasportato verso un mondo migliore.
Spesso un sospiro uscente dalla tua arpa,
un tuo dolce, divino accordo,
Mi ha schiuso il cielo dei tempi migliori.
Arte meravigliosa te ne sono grato,
Arte meravigliosa, ti ringrazio.

Si viene presi in un viaggio nel dentro delle cose . Il reale, il falso immobile si disfa e affiora l’attività dell’esistere. La musica diviene un mezzo di questa rivelazione, la nota diviene l’organo vocale che presta la sua voce all’indefinibile e l’arte diviene alitante Parola della vita, non quale punto di fine, ma piuttosto di irrefrenabile inizio.

Ci si potrebbe chiedere come avvenga questo fenomeno del mescolamento, come avvenga che l’uomo conosca profondità più fonde e illumini ineffabilmente l’ineffabile. Una componente è all’uomo indispensabile per essere qual egli è: l’imitazione. Non c’è parte della vita che egli non imiti o non abbia inteso imitare, come il volo o il canto, imitazioni di un uccello, o il nuoto, imitazione di un pesce, o, come un creatore cosmico, un universo intero traverso i romanzi, per esemplificare.  

Si dà anche imitazione tra uomo e uomo, che i fanciulli assai bene testimoniano negli stadi dell’apprendimento, o come gli adulti per esempio in quel che si nomina moda, che non è altro che un’imitazione sociale decidua. In sostanza l’uomo è la creatura che imita sopra tutte le altre, sotto qualsivoglia punto di osservazione.

L’artista è l’imitatore massimo, un imitatore del vivere. Con ciò non si vuol dire che l’imitazione si restringa al solo regime naturalistico, che quindi l’imitazione sia una perfetta corrispondenza con il reale, che lo riproduca nel suo distinto sembiante, come certi artisti che riproducono e riferiscono il reale così come lo si ritrova all’epidermide, che pur vedendo non vedono e pur udendo non odono, giacché se ne trarrebbe un effetto tutt’altro che di apertura e respiro, ma per contro di chiusura e di galera, non ci sarebbe arte ma solo opera.

Giuseppe Ungaretti

Era Ungaretti che diceva che “in fondo una poesia per essere davvero poesia deve contenere un mistero” e il mistero è una componente che ci fa esistere e che è propria dell’esistere. Così tutta l’arte che non potrà mai cadere, quella non sottoposta a frettolose date di scadenza delle epoche rapide a venire è l’arte che ha ascoltato l’Altro, l’anima del mondo e l’ha tradotta nelle sue maniere secondo un proprio linguaggio, ha conservato il mistero ,cioè quel volto intraveduto dell’interminato spazio e del sovrumano silenzio subito scialbati dietro lo spesso paravento della angusta facoltà comprensiva umana.
In questo modo Bach continua a riferirsi a noi da secoli, senza aver esaurito la sua riserva di respiri, ci mostra sempre l’intravedere quel profondo, l’inarrivabile eterno.

Mediante la musica si potrà spiare questa dimensione solo nel caso che chi spia sa che quel che recepisce e che avverte come il Bello è l’Altro, non recepisce la nota ma il nocchiero della nota, non una voce vuota ma una delazione appena accennata.
Quando si ruba una nota bisogna tenere conto di questo, che il bottino non si limita solamente alla composizione già pronta, ma si distende anche al nucleo tanto più fertile, all’imitazione della sostanza che muove.

Un retaggio tomistico ci dice che ciò che si muove è invariabilmente mosso da altro, così quando una musica ci muove una commozione essa è mossa dalla commozione di chi l’ha composta, la quale ha a sua volta subìto l’incidenza di una commozione che l’ha mossa, fino quasi a poter risalire al punto di inizio da cui la musica ha intrapreso il cammino, cioè fino a quel punto in cui la musica ha inteso essere il mezzo di traduzione di qualche cosa, di cui noi riceviamo l’imprecisa eco.

E se volessimo arrampicarci fino a tali linee di partenza diremmo che l’esordio della musica è di tipo matematico, ossia si svolge da un procedimento matematico, ma non abbandona mai l’esperienza umana, come per contro è intrinseco a certa altra matematica. La matematica musicale pitagorica risponde al sentimento di un’armonia, il sapere intellettuale fu nel passato morso da questo sviluppo unitario tra l’apprendere e il sentire.
La stessa indagine astronomica fu condotta per sancire l’unità del cosmo come sistema comprendente un’armonia, riportata nello studio dei moti costanti degli astri.

Albert Einstein

L’armonia musicale appartiene all’ulteriore indagine e conferma dell’armonia universa. La matematica musicale non è di per sé terminale, ma strumento di assicurazione e conoscenza che la generazione delle cose nasce da questa radice armonica. Bisogna quindi che si ricordi questa genealogia musicale in ogni caso e dire che la frammentarietà che si vuole affidare alla musica è assurda.
Col repentaglio di divenire un ulteriore appartamento dell’uomo che non coincide con quell’amplesso totale, dove si danno leggi costanti e perenni.

Rubando, la commozione non può venire esclusa, poiché è la sostanza generativa fondamentale di ciò che potremmo noi produrre, diviene l’imitazione di una sostanza feconda, l’alma parte creativa, se tale espulsione dovesse rendersi vera, sarebbe falcidiare il seme procreativo.