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Matteo Mancuso

Intervista a Matteo Mancuso, il nuovo volto della chitarra moderna

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In occasione della sua masterclass presso la sede MMI della Campania, ho scambiato due chiacchiere con il prodigio italiano della sei corde.

Matteo Mancuso è uno dei più grandi talenti della chitarra, non solo nel nostro Paese, ma ormai a livello globale. In pochissimi anni è stato capace di attirare una larghissima fetta di pubblico nonché la stima dei più grandi guitar heroes viventi come Steve Vai, Al Di Meola e Joe Bonamassa.

Attualmente, oltre alla carriera con gli SNIPS (con Riccardo Olive al Basso e Salvatore Lima alla batteria), ha accumulato una serie di concerti solisti d’eccezione al NAMM, al Bangkok Young Guitarist Festival, al Musika Expo di Roma e al Musikmesse di Francoforte.
Dulcis in fundo, un album uscito pochi giorni fa con i Drift Lab (insieme a Manuele Montesanti, Federico Malaman e Daniele Chiantese), ovvero MoonLight.

Non dimentichiamo poi le Masterclass, una delle ultime quella avvenuta presso l’Associazione Ultrasuoni di San Giorgio a Cremano, non nuova all’organizzazione di eventi simili, attualmente sede MMI per la Campania gestita da Giorgio Sannino e con Claudio Acampora per la direzione didattica.

L’evento è stato un susseguirsi (abbondante) di domande coronato da un momento di jam session su standard jazz.

Dopo essermi fatto spettinare ho voluto anch’io fare qualche domanda a Matteo…

Matteo Mancuso

Com’è stata per te l’esperienza della Masterclass presso lUltrasuoni?

L’esperienza a Napoli è stata fantastica! Sono stati tutti molto accoglienti e c’è stata molta interazione, tante domande, questo mi ha fatto molto piacere.

Quali sono i dischi che ritieni necessari per costruire un background jazz/fusion?

Il primo che mi viene in mente è “Heavy Weather” dei Weather Report, è un disco che personalmente mi ha cambiato la vita perché mi ha aperto un mondo di musica nuova; poi sicuramente il primo albume della Chick Corea Elektric band, un must per gli amanti del genere. “Captain fingers” di Lee Ritenour è un altro classico, aggiungerei anche “Still Life Talking” del Pat Metheny Group e “Face First” dei Tribal Tech per completare la lista, questi sono gli album che ho ascoltato di più quando mi sono avvicinato al genere.

A Monteroduni lo scorso anno, all’Eddie Lang Jazz Festival, hai condiviso il palco con Al Di Meola, come ti sei preparato psicologicamente a un evento di tale portata?

Ero sicuramente molto emozionato anche solo all’idea di incontrare un chitarrista leggendario come Al! Ma mai mi sarei sognato di poter suonare con lui i suoi brani più celebri, questo perché in realtà all’inizio era previsto soltanto il concerto di apertura col mio trio e non il duetto con lui. Il giorno prima del concerto mi è arrivata una mail dal suo management con scritto che Al aveva intenzione di suonare con me,ovviamente ho accettato subito ma confesso che ero molto nervoso all’idea! 

Il giorno del concerto abbiamo deciso i brani e subito dopo ero sul palco con lui, non riuscivo a crederci! È stato un momento surreale, sicuramente una delle esperienze musicali più assurde che abbia mai fatto, poi Al è un pezzo di pane, mi ha messo subito a mio agio ed è stato gentilissimo nei miei confronti, mi ha raccontato un sacco di aneddoti su Jaco (Pastorius è uno dei miei musicisti preferiti in assoluto e non ho potuto fare a meno di chiedere!) ed è stato super disponibile! Poter parlare tranquillamente con una leggenda come Al non è una cosa che ti capita molte volte nella vita.

Matteo Mancuso

Quale è stato il tuo approccio creativo nella creazione del tuo disco che uscirà ad Aprile?

L’approccio creativo è cambiato col tempo, dato che per finire il disco ci ho messo più o meno tre anni. I primi brani composti erano più basati su riff o su delle cellule melodiche che suonavo spesso, quindi mi facevo un po’ “guidare” dalla memoria muscolare.

Per gli ultimi pezzi ho deciso di avere un approccio un po’ più distaccato dallo strumento, cercando di pensare prima a un’idea e poi vedere se con la chitarra era fattibile, questo mi ha aiutato a scrivere dei pezzi senza essere influenzato troppo dallo strumento. 

Mi aiuta molto anche sperimentare con le accordature aperte in modo tale da non avere la memoria muscolare che ti guida al posto dell’orecchio, questo ti porta a scrivere roba più “fresca” per le tue orecchie!

Matteo Mancuso

Quali chitarristi consiglieresti di ascoltare nel 2023?

Uno dei primi che mi viene in mente è sicuramente Christian Mascetta, è un chitarrista con una forte matrice blues ma con un vocabolario molto influenzato dal jazz.
Come stile mi ricorda Scott Henderson o un Wayne Krantz dopo varie redbull! Quello che mi piace tantissimo di lui è il suo groove eccezionale e il suo vocabolario. 

Un’altro che mi piace molto è Andre Nieri, è un chitarrista Brasiliano che ha adottato una tecnica ibrida con plettro e dita, in alcuni passaggi tiene il plettro sul mignolo ed arpeggia con le restanti quattro dita ottenendo delle frasi incredibili, in più spazia dalla samba al prog metal, è una bestia di satana. 

Un altro che mi piace molto è Joshua Meader, dal punto di vista puramente tecnico è probabilmente il migliore che abbia mai visto, ha un vocabolario molto influenzato dal sax e dai pianisti jazz. Si possono trovare un sacco di suoi video online dove suona perfettamente nota per nota soli come quello di Cory Henry su Lingus (Snarky Puppy).

Poi ci sono anche i soli di Michael Brecker. Mischia sapientemente legato e note plettrate per ottenere l’effetto “cascata” che fa… cascare anche la mascella.

Matteo Mancuso

Come immagini possa evolversi la chitarra nei prossimi anni? 

Non ne ho idea!
Sicuramente è già in atto una “decodificazione” della tecnica chitarristica, il livello tecnico si è alzato molto negli ultimi anni anche grazie alla valanga di informazioni che abbiamo adesso con internet.
Il rock ed il jazz sono ormai degli stili “scolarizzati” e la conseguenza è che ormai siamo pieni di bravissimi chitarristi che conoscono tanti stili e con un ottima tecnica, ma sono pochi quelli con un loro linguaggio personale. 

Un esempio può essere Tim Henson, anche se la sua musica non mi piace molto, ma è riuscito a ritagliarsi uno spazio perché ha un’approccio originale. 

La chitarra è uno strumento popolare proprio perché l’approccio è super personalizzabile, e può trovare un posto in qualsiasi genere musicale. Sicuramente il futuro della chitarra riguarderà il suo utilizzo in maniere non ortodosse o in generi che magari non associamo mai a questo strumento.