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Addio a Geoff Emerick, il fonico dei Beatles

Geoff (Geoffrey) Emerick, storico fonico delle registrazioni dei Beatles, è morto stroncato da un infarto a 72 anni: perdiamo un pezzo di storia fondamentale della fonia e della musica.

Geoff (Geoffrey) Emerick, storico fonico delle registrazioni dei Beatles, è morto stroncato da un infarto a 72 anni: perdiamo un pezzo di storia fondamentale della fonia e della musica.

Tra i luoghi in cui si è letteralmente plasmato il suono della musica che dagli anni ’50 in poi ha rivoluzionato il mondo, soprattutto con i primi album di genere cosiddetto “popular” (pop), ce n’è uno assai famoso a Londra che si chiama Abbey Road, dentro il quale alcuni giovani tecnici di registrazione avevano idee rivoluzionare tanto quanto lo erano quelle musicali degli artisti che ci mettevano piede.
È grazie a queste persone, che hanno letteralmente inventato in loco apparecchi e tecniche di registrazione, se oggi possiamo ascoltare un disco con così tanto piacere per le orecchie, ricreando virtualmente il “reale” all’interno delle mura delle nostre case.

Uno di questi, senza dubbio ai primi posti, è stato Geoff Emerick, che insieme al produttore artistico George Martin ha curato i suoni di album che sono considerati tra i migliori dei Beatles, a partire dal rivoluzionario – per loro stessi ma anche per la musica – Revolver (con quella geniale “Tomorrow Never Knows”, un capolavoro di fonia all’epoca del duo Geoff Emerick/Ken Scott), passando per i pilastri come Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band fino all’ultimo Abbey Road.

Di solito non si sceglie da bambino di diventare un fonico. Non si sceglie oggi, che la pratica è oramai cristallizzata e conosciuta anche dai non addetti ai lavori, figuriamoci in un periodo, i primi anni ’50, in cui questo mestiere si avvaleva ancora di cosiddetti “pionieri”, le cui figure professionali non erano ancora così ben delineate.
Ebbene, Geoff, come scritto nella sua autobiografia Here, there and everywhere: my life recording music, sin dalla tenera età aveva deciso di entrare nel mondo della musica e, in particolare, non come musicista ma proprio tra coloro che aiutano gli artisti a incidere i loro dischi, a trasferire la propria arte sugli allora – come oggi – affascinanti solchi dei dischi in vinile.

Aveva 15 anni quando alzò il telefono per chiamare la EMI e fu abbastanza convincente da farsi assumere, proprio nel momento in cui il quartetto di Liverpool varcava gli studi per le loro prime incisioni (anzi, per i provini!), seguiti da un altro grande nome dell’ingegneria sonora: Norman Smith.
Tre anni dopo, Smith abbandonò il suo posto e George Martin in persona insistette per avere il giovane Emerick, allora diciottenne, al suo fianco. Segno che in pochi anni Geoff si era guadagnato la fiducia e la stima dei massimi esponenti della musica inglese del tempo, non poco per un adolescente i cui compagni erano probabilmente ancora impegnati a schiacciarsi i brufoli e a studiare per l’interrogazione di scuola.

Geoff era un rivoluzionario. Benché all’epoca venissero imposte certe regole ferree sulle tecniche di registrazione (determinati microfoni a determinate distanze ecc.) lui aveva già capito che nel mondo della fonia c’è sempre vasto spazio per la sperimentazione e che niente è sbagliato finché non lo ascolti.
Era un’epoca in cui i fonici indossavano divise e camici bianchi che li facevano assomigliare più a topi da laboratorio. Non certo l’immagine dei fonici che abbiamo nel nostro immaginario più “rock”, avremmo potuto scambiarli per medici o dentisti.

Se oggi siamo abituati a certe pratiche anche nel nostro piccolo senza entrare nei grandi studi, è merito di Geoff. Ci rivolgiamo ai batteristi ad esempio: se oggi riempite le vostre grancasse di stracci o copertine, lo dovete a lui.

Nel mentre miglioravano anche le apparecchiature, sia perché molte aziende sapevano guardare al futuro e i concetti di multitraccia e di stereo andavano sempre più ampliandosi e perfezionandosi, sia perché, come detto all’inizio, si faceva di necessità virtù, tanto che da piccoli a grandi oggetti per registrare venivano inventati, per non dire anche costruiti, negli stessi studi di registrazione.

Si passò presto dai vecchi mezzi di incisione a pochissime piste, alla possibilità di avere molte più tracce a disposizione. Sembra banale, ma basti pensare che prima la fase di missaggio non era altro che una pratica piuttosto “operaia”: il suono e il bilanciamento veniva fatto pressoché al 99% in produzione/recording, difatti i Beatles si dice non assistessero mai alle fasi di mix dei primi album, perché avevano già deciso il suono dei brani.

Quando le cose cambiarono, uno come Geoff Emerick non solo ne approfittò, ma insieme al genio di George Martin e del quartetto espanse a dismisura le possibilità dello studio di registrazione: inutile ricordare quanto sia originale e ingegnosa la registrazione di Sgt. Pepper, che da sola meriterebbe pagine e pagine di pubblicazioni (anzi, in realtà lo ha già meritato, procuratevi ad esempio L’estate di Sgt. Pepper scritto da Martin in persona). Ancora oggi nessun fonico la può ignorare.

Come sappiamo, il 1969 è l’anno della fine dei Beatles. Geoff però continua la sua carriera, sedendosi dietro al mixer per artisti del calibro di Supertramp, Mahavishnu Orchestra, America, Elvis Costello, Jeff Beck, ecc.
Ma bisogna ricordare che anche durante il periodo con i 4 di Liverpool la sua firma era andata su capolavori come ad esempio Odessey and Oracle dei The Zombies, di cui vi abbiamo parlato in questo articolo.
La lista completa degli album cui ha messo mano la trovate a questo link, preparatevi a una lunga lettura…

Vi lasciamo adesso alla dichiarazione di alcuni fonici amici di Musicoff, che con le loro parole rendono omaggio all’illustre collega scomparso.
Noi di Redazione rivolgendo lo sguardo alle nostre collezioni di dischi abbiamo solo da dire: grazie Geoff!

Andrea Pellegrini: Ho avuto il piacere di incontrarlo una volta e scambiarci due chiacchiere. Pensare che in realtà non è mai stato accreditato abbastanza, sorte toccata anche ad altri ingegneri del suono coinvolti nei dischi dei Beatles. Ma lui ha veramente scardinato il modo tradizionale con il quale si registravano i dischi fino ad allora. Bisogna ricordare che ai tempi alla EMI c’era un preciso protocollo, rigidissimo, da rispettare. Pena il licenziamento! Emerick ha avuto il coraggio di spingersi oltre. Anche per questo fu scelto da George Martin: nuova linfa vitale. Ma non dobbiamo relegarlo solo ai Beatles. Ci sono i dischi di Elvis Costello, c’è Breakfast in America dei Supertramp! Sono davvero dispiaciuto ma al contempo mi scalda il cuore vedere che i più grandi del settore, da Al Schmitt a Tommy Vicari a Tony Visconti ecc. hanno tutti scritto un pensiero accorato per Geoff. Ottimo fonico, ottima persona. 

Eugenio Vatta: Geoff Emerick è stato una pietra miliare della fonica. Uno dei primi tecnici ad uscire dagli schemi di registrazione. Microfoni più vicini agli strumenti e session separate. Il suono moderno della discografia ha avuto inizio anche dalle sue intuizioni… poche tracce ma definite per un suono discografico. Dai suoi dischi abbiamo ancora molto da imparare. L’uso del leslie nella voce di John Lennon e il suono di batteria di Ringo che ricordava già il suono dei turnisti di oggi. Sentendo Abbey Road siamo totalmente immersi in un sound moderno che ancora oggi viene preso come fonte di ispirazione. Con lui i Beatles hanno sperimentato molto e come sempre un buon team collaborativo può solo che creare una bella mistura. 

Tommy Dell’Olio: È stato il Jimi Hendrix della fonia. Lui c’era all’inizio di tutto. La cosa che mi colpì di lui è che lavorando con i Beatles, quando arrivava il momento di fare il mastering e quindi chiudere il lavoro, aveva in testa i dischi della Motown americana e il loro grande suono e non riusciva a capacitarsi di come suonassero “enormi”. Da lì ha iniziato a rompere tutte le rigide regole “inglesi”, sperimentando tutto il possibile. È lui che ha creato la figura del producer, ha trasformato il fonico da semplice artigiano/operaio a vero e proprio creativo. Non accettava il “non si può fare”, lui voleva provare tutto, sfidando anche i mezzi tecnici. I suoi colleghi inorridivano quando avvicinava il microfono alla cassa della batteria e lui rispondeva “non parlate, sentite il suono”. Mandare in distorsione i pre? Si può fare perché “suona”. Portare i registratori in regia? Si fa! Miscelare più multitraccia? Idem. Invenzione dell’automatic double tracking? Merito suo! E così via… Senza Geoff Emerick non sarebbero esistiti i vari Mutt Lange o Rick Rubin, veri artisti che guidano i musicisti al risultato finale di un disco. Anzi, creano il suono della band.