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Rush – Clockwork Angels

È vero, purtroppo anche i gruppi più bravi quando cominciano ad avere qualche decennio sulle spalle tendono a diventare delle brutte copie di loro stessi, ma fortunatamente ci sono delle bellissime eccezioni, come i Rush. Sfido infatti a trovare un gruppo classe '74, o comunque giù di lì, che si mantenga così bene

È vero, purtroppo anche i gruppi più bravi quando cominciano ad avere qualche decennio sulle spalle tendono a diventare delle brutte copie di loro stessi, ma fortunatamente ci sono delle bellissime eccezioni, come i Rush. Sfido infatti a trovare un gruppo classe ’74, o comunque giù di lì, che si mantenga così bene, perché non si tratta infatti solamente di una questione di longevità: ci sono tante maniere per invecchiare e i Rush lo stanno facendo in uno dei migliori modi possibili. Ma non è questa la loro unica eccezionalità: vogliamo parlare di quanto il mondo del Progressive sarebbe differente senza di loro? Di quanto siano belli e ispiranti album come “Moving Pictures”, “Permanent Waves” o “2112”? Oppure di quanto sia straordinario il fatto che siano un Power Trio, tre musicisti che ne valgono per qualche dozzina? Non credo ci sia bisogno di approfondire, anche se parlare ed elogiare questi ragazzi è sempre un gran piacere, concentriamoci invece su quello che Geddy, Alex e Neil ci offrono con questo “Clockwork Angels”.  Sulla copertina scarlatta le lancette segnano le nove e dodici minuti (anche se di numeri non ce ne sono, solo rune dal vario significato) ossia le ventuno e dodici, “2112” come l’album del 1976 che con questa nuova uscita condivide l’avere un concept alla base: una storia di formazione, con un giovane e il caleidoscopio della sua vita, tra ordine e caos, soddisfazioni e ostacoli, rincorrendo i sogni.
Sono tanti i colori della vita e infatti ampia e varia è la tavolozza utilizzata dai canadesi; un tono fosco traspare dalle prime note di “Caravan”, con il riff imponente di Alex, ma non manca un’apertura musicalmente luminosa e soprattutto una fantastica jam che stupisce per creatività e coesione.  “Clockwork Angels” gioca proprio su questa alternanza di chiaro-scuri, con i momenti foschi che assumono delle tinte molto forti, tendenti quasi al Metal, ma non disdegnano di schiudersi come persiane in una stanza buia che lasciano filtrare i raggi di un tramonto pensoso e malinconico. Quest’ultime sensazioni, prendono il sopravvento nella preziosa “Halo Effect”, posta a metà dell’album, e nella bellezza cristallina del finale (“The Graden”), con le loro ricercate atmosfere acustiche, venate da una gentile sezione di archi scritta dallo stesso Lifeson. Il resto dell’album procede su ritmi più sostenuti, dettati da un Alex maestro nel conciliare un riffing di spessore, potente, con delle soluzioni melodiche memorabili; gli spunti solistici saranno anche meno prolissi rispetto ai primi album, ma sono assolutamente piacevoli e basti ascoltare “The Anarchist”, “Carnies” o il pathos di “The Wreckers” per capire la qualità del suo lavoro.
Geddy e Neil naturalmente non gli sono inferiori; oltre per l’impeccabile prestazione vocale, Lee entusiasma il nostro udito con un basso dal suono carnoso, carico di groove e valorizzato dalla produzione di un Nick Raskulinecz, che rasenta la perfezione. La prova di Peart è di altissima qualità e se non si parlasse di lui potrebbe anche stupire che nasca dall’improvvisazione, sedendosi dietro le pelli senza nulla di scritto, guidato solamente da un direttore e dalle sue sensazioni. Vetrine ideali per il loro inestimabile talento sono brani come l’avventurosa “Seven Cities of Gold”, la devastante “Headlong Flight” e soprattutto la complessa titletrack, “Clockwork Angels”: un brano splendido ed elaborato, di cui è quasi impossibile non innamorarsi.
I Rush infatti non si limitano al gioco di chiaro-scuri, ma riescono anche nella ben più difficile impresa di sposare tecnica ed emozione: l’ascoltatore è circondato da atmosfere senz’altro complicate, pienamente Progressive, ma anche straordinariamente eloquenti, vive, a cui è impossibile restare indifferenti. Cosa può avere ancora da dire un gruppo nato quasi mezzo secolo fa, oggi nel 2012? I Rush non hanno fatto alcun compromesso con la modernità, eppure “Clockwork Angels” è uno dei lavori più preziosi e ispiranti di quest’anno. Questo perché la bellezza è senza tempo e i Rush sono degli artigiani incredibilmente abili nel donarla alle loro opere.

Official Teaser:Genere: Progressive Rock
Line-up:

Geddy Lee – Basso, Voce, Tastiere
Alex Lifeson – chitarre, backing vocals
Neil Peart – batteria, testi

Rush – Clockwork Angels by Roadrunner USA
Tracklist:

1. “Caravan”
2. “BU2B”
3. “Clockwork Angels”
4. “The Anarchist”
5. “Carnies”
6. “Halo Effect”
7. “Seven Cities Of Gold”
8. “The Wreckers”
9. “Headlong Flight”
10. “BU2B2”
11. “Wish Them Well”
12. “The Garden”
                                                                           
Francesco “Forsaken_In_A_Dream” Cicero