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Pulsa Jazz il cuore di Steve Smith

Con i Journey è tornato dopo tanti anni a suonare rock e a esibirsi in stadi e grandi arene, ma quando deve 'metterci la faccia' e pubblicare un album a suo nome allora Steve Smith ricorda a se stesso e a tutti noi di essere anche uno straordinario batterista jazz/fusion, in particolare quando è alla testa della New

Con i Journey è tornato dopo tanti anni a suonare rock e a esibirsi in stadi e grandi arene, ma quando deve ‘metterci la faccia’ e pubblicare un album a suo nome allora Steve Smith ricorda a se stesso e a tutti noi di essere anche uno straordinario batterista jazz/fusion, in particolare quando è alla testa della New York Edition del suo gruppo Vital Information.

Heart Of The City, l’ultimo album della band, presenta una riuscita combinazione di brani originali e classici del jazz moderno, affrontati gli uni e gli altri con piglio molto contemporaneo, con arrangiamenti che privilegiano le ritmiche even eights per le parti d’insieme, con tanto di backbeat ben marcato, ma che non disdegnano l’amato vecchio 4/4 swing per le improvvisazioni.
Accanto al leader, i fedeli Baron Brown a basso elettrico e contrabbasso, Mark Soskin al piano acustico e al Fender Rhodes e il chitarrista Vinny Valentino, cui si aggiungono su un paio di brani i sassofoni di Andy Fusco e George Brooks.

Steve Smith - Heart of the City

Tutta da ascoltare la performance di Steve Smith, di assoluto rilievo sia in fase di accompagnamento sia quando è chiamato al proscenio con pezzi di sola batteria (“City Outskirts East” e “City Outskirts West”) o quando deve duettare in scambi infuocati con i suoi compagni di improvvisazione (“I Love You”, “Mr. PC”).
Tra i brani originali, “Eight + Five”, “Open Dialogue” e “Charukeshi Express” ci offrono esempi di quanto Smith padroneggi ormai il konnakol, il metodo di solfeggio cantato utilizzato dai musicisti dell’India meridionale, che il batterista non si limita a vocalizzare, ma che orchestra anche su piatti e tamburi, con effetti poliritmici davvero notevoli e spettacolari. 

Potrà forse far arricciare il naso a qualche purista, soprattutto per le ritmiche binarie utilizzate nell’esporre il tema di alcuni standard, ma batteristicamente parlando la chiarezza del fraseggio di Steve Smith, anche in passaggi tecnicamente molto difficili, rappresenta un autentico piacere per l’orecchio di chiunque percuota pelli e tamburi.