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vincenzo incenzo

Corsi e ricorsi storici: “La canzone in cui viviamo” di Vincenzo Incenzo

Una canzone non è solo una percezione acustica isolata, è un mondo che si dischiude per la prima volta a noi e che ritorna, con la stessa forza, ogni volta che la riascoltiamo.

Un regalo inaspettato

L’occasione era una di quelle belle che non mi capitavano da un po’ di tempo nella vita: entrare in un negozio di strumenti musicali per provare ed acquistare una chitarra.
Tra le chiacchiere varie ed inaspettate con i proprietari del negozio (non sappiamo mai dove possa portare una conversazione), finiamo col parlare di libri, di lavoro, il mio di insegnante, il loro di commercianti appassionati di strumenti musicali.
Acquisto la chitarra e, mentre mi accingo a pagare, estraggono un libro, questo libro. Me lo regalano. 

Guardo la copertina incuriosito ed inizio a sfogliarlo. Inizio a leggere qualche riga e ne sono subito rapito. Comprendo immediatamente che non sono le mie canzoni, non sono le canzoni che appartengono alla mia adolescenza, a quel momento della vita in cui scegli la musica che vuoi ascoltare, che vuoi amare. Sono le canzoni dei miei genitori, alcune dei miei nonni. Poche, molto poche sono le mie.
Solo verso la fine del libro trovo dei titoli che conosco profondamente. Tutte le altre sono ricordi lontani, immagini sfocate come quelle di un sogno appena terminato. Sono il risveglio, il torpore del mattino, il cuscino ancora appiccicato alla faccia, la luce che penetra dalla fessura nella finestra. 

Mindescape

Eppure sono un tuffo al cuore, un ritornare in luoghi lontani, sepolti nel mio inconscio, che lentamente riemergono e tronano in superficie. Sono un paesaggio che rivivo nel momento in cui scorro i titoli dei brani che Vincenzo Incenzo ha deciso di descrivere.

In inglese landscape è il paesaggio, e paesaggio è una porzione di territorio che osserviamo da un punto di vista. I brani citati nel libro, di cui spesso ricordo solo vaghe note nella mia mente, in verità aprono un paesaggio, ma non un luogo prettamente fisico, un paesaggio che è presente nella mia mente, una via di mezzo tra la psiche ed il paesaggio reale, una terra di mezzo che Vittorio Lingiardi con un neologismo chiama mindescape.

Il dischiudersi di questi orizzonti, nella mia mente, è un risveglio dolce e terribile allo stesso tempo. Riporta il tema del perturbante, dell’apertura verso l’infinito o l’abisso. In ogni caso ogni apertura ha in sé un’immagine, un luogo, un paesaggio in cui la psiche possa riconoscersi e riconoscere come un luogo conosciuto, al quale apparteniamo.

Vincenzo in questo libro racconta le canzoni della musica italiana, 100 canzoni che, in qualche modo segreto ci appartengono.
Racconta il tempo in cui furono scritte, il mondo che le accoglieva, che le accompagnava, che cambiava insieme a loro. Oppure il mondo fermo ad aspettare chissà quale magia, mentre gli uomini se ne sono andati, si sono alternati sul palco della vita.
Vincenzo racconta la vita, una strana vita, non la sua, non la mia. Eppure troviamo qualcosa che ci appartiene, che ci accomuna. Non una risposta. Sempre una domanda nascosta. 

Sfoglio convulsamente il libro. Ormai so che lo terrò sempre vicino al letto, sul comodino, per aprire a caso una pagina, leggere un titolo, canticchiare qualche strofa della canzone citata e leggere la storia nascosta e disvelata dalle parole dell’autore.
Una diversa ogni sera, oppure la stessa per più sere, perché la narrazione è meravigliosa, non annoia, ma arricchisce di conoscenze, di contenuti e di emozioni, l’intensità perduta della canzone narrata. 

Sentieri Interrotti

Il capitolo 10 dal titolo “La canzone 101”, invece è una sorta di testamento nel quale Vincenzo cerca di raccontare la sua esperienza, la sua vita al servizio della canzone, perché, se per molti di noi, le canzoni sono al nostro “servizio” nella nostra vita, ricordandoci momenti diversi della nostra esistenza, non possiamo restare indifferenti al fatto che, un autore, appassionato e sincero, spesso è al servizio della canzone, ne fa parte, in un processo di creazione e composizione molte volte sconosciuto ai più. 

In questa ultima parte del libro cerca di raccontare la sua esperienza di autore, l’incontro con grandi interpreti contemporanei della canzone italiana, con i quali ha contribuito a creare brani bellissimi, collaborazioni durature nel tempo, sfide creative importanti. Una testimonianza determinante per chi, nella vita, si approccia alla musica, alla composizione, alla canzone, fatta di musica e parole. 

Ma, come spesso accade, in questa rubrica che, giusto un anno fa iniziava, nei libri che vi ho presentato, amo soffermarmi su un aspetto che più di altri cattura la mia attenzione, muove il mio pensiero.
L’appendice del libro prova a dare delle risposte a delle domande che, l’autore stesso definisce impossibili. Le domande impossibili suonano nella mia mente come quelli che Haidegger chiamava “Holzwege” (sentieri interrotti), quei sentieri che naturalmente si formano nel bosco, ma che altrettanto naturalmente si perdono nella boscaglia e, ad un certo punto, terminano senza uno sbocco, senza una via d’uscita.
Per Heidegger holzwege erano quei concetti entro i quali il pensiero si inoltra, concetti che tenta dispiegare e seguire, ma proprio come i sentieri nel bosco, sono destinati a non avere una via d’uscita. Eppure il filosofo li ha battuti ugualmente, ha provato a camminarvi. 

Così Vincenzo Incenzo prova a dare una risposta a delle domande impossibili, anche lui si addentra nel bosco, seguendo quei sentieri che non hanno via d’uscita, ed io, che amo profondamente ciò che è aporetico, ciò che non conduce da nessuna parte, ma che si trattiene nel pensiero, nel dialogo, nella discussione, senza uscire, colgo immediatamente la provocazione e provo ad entrarci, anche se per poche righe, in quei sentieri che ho tanto amato.

Cercare la bellezza?

Il testo si conclude con queste brevi righe «[…] proprio grazie alla sua caducità il bello si sottrae a una disponibilità assoluta… ».
Citando Freud l’autore prova a condurre oltre la moda ed il tempo, oltre alla fugacità di un passaggio radiofonico, il valore autentico di una canzone. Prova a dirci che il bello in quanto tale, si sottrae alla storicità del tempo e, togliendosi, si libera dall’idea che debba essere sempre disponibile.
Il bello, non è sempre presente, disponibile in senso assoluto, non è fruibile ovunque. Eppure c’è. In un modo ancora a noi segreto esso permane. Ritorna, si manifesta e cade, sottraendosi. Come corsi e ricorsi storici, la bellezza ha le sue epoche, le sue manifestazioni, i suoi anni di massimo splendore ed i suoi anni di declino. 

James Hillman, in un testo intitolato “Politica della bellezza”, dice che il vero rimosso della nostra psiche, nella nostra contemporaneità, è proprio la bellezza. Non la violenza, la sofferenza, il dolore, ma la bellezza.
Se la bellezza è il vero rimosso della nostra psiche, quanto siamo lontani dal periodo classico in cui la verità, era aletheia cioè il non-nascosto, ciò che è evidente. E se verità e bellezza corrispondevano, allora oggi, forse, poiché la bellezza si sottrae al mondo, anche la verità non ha terreno fertile nel permanere alla vista. 

La bellezza, il bello si sottrae per sua natura, oppure siamo noi che lo rimuoviamo, attraverso un’attività della psiche, poiché non siamo in grado di sostenerlo.
Dobbiamo cercarlo, in una continua fuga dal mondo sensibile dal quale esso si sottrae, oppure siamo noi stessi a cancellarlo, togliendolo dalla vista, dalla nostra coscienza che, si è fatta carica di violenza e dolore? 

Come in un sentiero interrotto, ho smarrito la strada. Sapevo che sarebbe andata a finire così. Quando parli di bellezza sei destinato a perderti per uno di quei sentieri che non portano da nessuna parte, come una canzone.
Non ti portano da nessuna parte, ma è proprio lì che volevi stare, a cercare ancora una volta una risposta alle domande impossibili. 

Buona lettura.