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Cos’è il successo per un musicista?

Qualche giorno fa, ci è capitato di rispondere sotto un post facebook a un commento che, prendendo spunto dal post dedicato a un'artista, descriveva ironicamente come fosse stato facile avere successo con una sola hit.

Qualche giorno fa, ci è capitato di rispondere sotto un post facebook a un commento che, prendendo spunto dal post dedicato a una cantautrice, descriveva ironicamente come fosse stato facile avere successo con una sola hit.

Premettiamo, non ce ne voglia l’autore del commento, cui abbiamo risposto molto serenamente e che anzi ringraziamo per averci dato uno spunto di discussione importante, alla base di questo articolo: cos’è il successo per un musicista?

In qualsiasi altro ambito lavorativo, tralasciando per un attimo il discorso dedicato all’essere o meno “artisti”, avere successo vuol dire far bene il proprio lavoro, essere apprezzato per questo e scrivere giorno dopo giorno un capitolo nuovo della propria vita lavorativa.
Ovvio, ci sono mestieri che lo consentono, altri meno. È illogico pensare che chi in questo momento sta spalmando catrame su un’autostrada sotto 40 gradi, abbia in mente una così florida visione del domani e del “successo lavorativo”. Ma attenzione, qui si parla esclusivamente (com’è ovvio per non dover fare un articolo lunghissimo denso di specificazioni) della capacità teorica di trovare sempre il modo di migliorare e trarre beneficio da un mestiere e/o una passione.

Fare il musicista è una passione, ma anche un mestiere. Anzi, un mestiere che nasce da una passione e non il contrario. Quante volte lo diciamo, magari con un certo livore nei confronti di chi ci considera solo degli hobbysti?
Ma spesso, siamo anche i primi a disattendere con la pratica quanto vorremmo sostenere negli ideali, forse a volte, siamo i primi a non sentirci – e comportarci – come tali.
O a non essere messi in grado di farlo, ci mancherebbe.

Cos'è il successo per un musicista?

Comunque sia, assodato il fatto che fare il musicista è (anche) un lavoro, inteso nel senso più nobile del termine, cos’è il successo in questa occupazione/passione?
Scendiamo in profondità e arriviamo anche all’artista, a colui che scrive canzoni o che comunque con la sua interpretazione ha un ruolo di primo piano, collaborativo con autori che non hanno il suo talento per portare su un palco le composizioni.
Cos’è il successo per chi inizia a scrivere note su un foglio bianco?

Innanzitutto, forse, dovremmo scrivere musica solo per il piacere di farlo. In fondo, alcuni di noi da bambini tenevano un diario, non certo con lo scopo di pubblicarlo.
Allora perché non scrivere?
Ma io non sono in grado di farlo, faccio cover perché brani miei non se li filerebbe nessuno“.

Premettendo che non è un discorso cover vs originali (discorsi triti e ritriti, basta…), questa è una frase che ci ha sempre un po’ sorpreso e che non faceva parte della cultura dei musicisti fino a un po’ di decenni fa.
Oggi se scrivi musica “cerchi solo di diventare famoso”.
Ma chi l’ha detto? Forse, magari, si può scrivere musica per il solo piacere di farlo. Per il solo piacere di inserirla nei propri spettacoli e vedere come va. O per il piacere di suonarla tra le mura di casa, per un compagno/a, figlio/a ecc.

Perché identifichiamo il successo con, in ordine: la notorietà, i soldi, la vita da star (anzi, spesso l’ordine non è neanche questo…).
Se io non diventassi mai una “star”, ma riuscissi comunque a ricavarmi la mia nicchia, che questa fgsse di 10, 100 o 1000 persone, non avrei forse raggiunto un successo personale? Se tra 30 anni ancora riuscissi a suonare i miei brani davanti a un pubblico, qualsiasi, non potrei direi di aver raggiunto un traguardo?

E ti pareva mancasse un video di Dave Grohl? Sì, ce ne rendiamo conto, ma ciò che dice è vero o no?

Bei discorsi, direte. Vero, tutta una bella utopia. Chi scrive musica manda un messaggio e vuole essere ascoltato, di solito.
Vero. Non si nega il fatto di voler arrivare a un maggior numero di persone possibile, anzi ben venga come “missione”, ma non si può farlo già, molto più di ieri?
Perché se sono una band emergente o un artista singolo, devo vivere con la continua ansia da prestazione di “trovare l’etichetta”, “trovare il manager”, “fare il boom”.
Perché avere un ufficio stampa o passare in radio con un brano deve essere il mio obiettivo, altrimenti tutto è inutile?
Questa è la strada, peraltro, che porta quasi sempre inesorabilmente a scrivere “i brani che la gente vuole ascoltare“.

Ok qual è il punto?
Il punto è: perché scrivere canzoni solo ed esclusivamente se l’obiettivo è “fare il botto”? “Solo ed esclusivamente”? Perché sottovalutarsi o sopravvalutare la situazione?
In fondo, quanti musicisti storici al loro inizio hanno composto capolavori (occhio a dire “il primo disco era già favoloso” perché prima di quello possono aver fatto mille errori non editi)? In fondo, tanti rubavano quattro accordi blues o rock’n’roll e ci mettevano i loro testi. Poi, pensavano a suonare il tutto come fosse l’ultimo giorno sulla terra.
Ma se non avessero iniziato anche (anche!) con delle “banalità”, dove sarebbero ora?

E questa cosa dei “capolavori“, anche, ha davvero stancato.
Non c’è scritto da nessuna parte che bisogna scrivere il “capolavoro”. Un pittore si mette di fronte alla tela, si lascia trasportare, crea, a prescindere dal fatto che il quadro finirà in galleria o a casa sua.
Persino Leonardo Da Vinci avrà buttato qualcosa nel cestino.

Anche se il tutto finisse nel creare filastrocche, quanto è bello dire “l’ho fatto io”.
E questo, non è comunque un successo?

Speriamo abbiate contato i punti interrogativi, perché in effetti l’articolo vuole aprire un dibattito, non darvi le risposte (e fosse per noi ci sarebbe un palco importante per ogni singola band che decide di fare musica nuova).
Si accettano con interesse anche i pareri contrari.
A voi la parola.