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Le parole più difficili, addio Ennio

Ennio Morricone è morto nella notte per le conseguenze di una brutta caduta che aveva portato alla rottura del femore. A quasi 92 anni se ne va il più grande di tutti.

Questa sopra è l’unica frase “giornalistica” (diciamo anche da agenzia stampa) che leggerete in questo articolo. Perché una notizia del genere, innanzitutto, va data e basta, è un cerotto che va strappato via velocemente con forza, sperando che faccia il meno male possibile.
Purtroppo però brucerà, molto, sarà una ferita aperta per lungo, lungo tempo. 

Se una cosa ti colpisce così, quando meno te l’aspetti, ovviamente non sei preparato. Non lo sei perché da un lato magari hai scelto di proseguire sui passi della tua professione non accumulando necrologi e “coccodrilli” in archivio, aspettando il momento di usarli, per arrivare prima degli altri, per raggiungere quel tanto agognato click.

Sei impreparato, soprattutto, perché non ti trovi di fronte alla perdita di una persona che hai visto diventare grande, per quelli della mia generazione Morricone era già grande quando siamo nati.
Lui c’era, lui era già “Ennio Morricone“. 

Nel momento in cui scrivo non solo provo una strana sensazione, una tristezza che va oltre quel semplice cordoglio verso un pezzo di storia della musica che viene meno, o meglio, che si fossilizza nei libri e nella memoria, cui non si aggiungerà altro, sul quale ora si mette un punto, o per dirla cinematograficamente, il The End.

A questa mestizia si unisce un lungo brivido dietro la schiena, una sensazione di timore reverenziale su ogni lettera digitata. Sentirsi come se si stesse portando un vassoio di lieve spessore colmo di bicchieri di cristallo, pieni fino all’orlo, camminando su un terreno sconnesso. 

Cosa si può dire di Ennio Morricone? Tutto. “Niente”. Enumerare le sue grandiose opere d’ingegno musicale o semplicemente dire che era il più grande di tutti. Fare un excursus della vita, magari con l’occhio che anche se non vuoi ogni tanto ti casca su wikipedia per star sicuri, oppure lasciare il compito al silenzio, sperando di sentire solo un fischio, il suo famoso fischio, il suo amato fischio.
Quello che, si sa, lui spesso amava usare per identificare la melodia su cui avrebbe scritto l’ennesimo capolavoro, lasciandolo poi non raramente nell’opera stessa, affidato a labbra consapevoli come quelle di Alessandro Alessandroni.

La memoria va a quei western di Sergio Leone che dirottarono la nostra fantasia di bambini (ma anche di adulti), agli sguardi di ghiaccio dei pistoleri sottolineati da ogni nota in tensione o a enormi panorami resi più vividi da meravigliosi movimenti orchestrali.
Passa dalle periferie americane della prima metà del ‘900, con quell’immagine del ponte di Manhattan incastonato tra i palazzi che oggi è impressa in miliardi di pellicole fotografiche (e oramai nei bit degli scatti digitali).
Si fa strada tra i proiettili di uomini intoccabili o serpeggia sinuosa adagiandosi sull’ipnotica melodia di un oboe sopra le cascate sudamericane dell’Iguazú. 

Così i ricordi prendono sempre più vita, ci rendono innocenti come un bambino che guarda i fotogrammi di una pezzetto di pellicola, ci fanno pensare che la Musica potrebbe bastarci anche se vivessimo una vita in mezzo all’oceano senza mai toccare la terraferma…

Avrete oramai capito l’elementare artifizio usato per toccare alcune delle sue grandiose opere e, onestamente, non sento il bisogno di ricordare gli svariati premi ricevuti, neanche il più famoso, che oltreoceano ne celebrò la carriera e che lui, umile e commosso, dedicò alla moglie.
La sua metà del cielo, Maria, che lo ha accompagnato nella sua più bella avventura, quella di un amore durato più di 60 anni. E mi conforta pensare alle parole rilasciate dalla famiglia in queste ore: “Ha conservato sino all’ultimo piena lucidità e grande dignità“.

Con Morricone non se ne va solamente una musicista immenso, un grande uomo. Se ne va anche una delle più solide colonne cui potevamo aggrapparci quando l’uragano della mediocrità era in tempesta.
Restano, come – con ovvia ragione – si dice sempre, le sue composizioni, immortali. Ma diciamoci la verità, oggi ci è franato il terreno sotto i piedi, sarà un lunedì che non dimenticheremo mai.

Addio, Maestro.
Sei stato il più grande di tutti.Cover Photo by Gonzalo Tello – CC BY 2.0