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La nascita di una chitarra (2° Parte)

È giunta l’ora di stondare il dorso del manico. Senz'altro la parte della costruzione di una chitarra più emozionante, quasi mistica perché la rifinitura si fa… a occhi chiusi. Ho iniziato a smussare gli spigoli del dorso del manico quando era ancora un rettangolo rastremato verso il capotasto con la raspa e il

È giunta l’ora di stondare il dorso del manico. Senz’altro la parte della costruzione di una chitarra più emozionante, quasi mistica perché la rifinitura si fa… a occhi chiusi. Ho iniziato a smussare gli spigoli del dorso del manico quando era ancora un rettangolo rastremato verso il capotasto con la raspa e il pialletto; poi ho tolto ancora gli altri spigoli che si sono creati e infine via libera alla carta abrasiva.

Ok ora è tondo. Sì, ma tondo come? Profilo a C, a D, a soft V? E poi: sono riuscito a farlo simmetrico o da un lato è più appiattito e dall’altro più gonfio? È il dilemma delle basette davanti allo specchio: quella destra è alta come quella sinistra? Si accorcia quella destra e si confronta con la sinistra; poi il contrario. L’obiettivo è riuscire a pareggiarle prima di doversi fare la sfumatura come un US Marine. Ma sul legno è più drammatico. Puoi aspettare anche varie settimane, ma se hai raspato troppo a fondo il legno non ricresce.

Allora sono lì che guardo e riguardo. Metto il manico in controluce e controllo il filo dritto mentre lo ruoto. Alla fine succede che perdo l’orientamento. Non vedo più bene se c’è qualche punto che va ritoccato e mi gioco il jolly: chiamo aiuto. “Daniele… guarda se ti sembra a posto, ora”. Daniele – il mio amico e socio liutaio, lui sì prende il manico e non smette di guardarmi negli occhi. Pochi istanti e senza abbassare lo sguardo sul manico mi dice: “Qui c’è un po’ di grosso” e mi fa un segno con la matita. Io che voglio imparare meglio gli chiedo come ha fatto, e lui: “Non te lo posso dire a parole; è una questione cinestesica”. Vuol dire che è inutile lavorare cogli occhi; lo devi sentire a tatto. Fai scorrere il pollice sfiorando da su a giù, avanti e indietro con la pressione che useresti mentre suoni. Quindi ascolti… il Pollice.

Il dorso del manico è il suo regno dietro le quinte. Tutti i riflettori sono sulla tastiera e sulle altre quattro dita che vi zampettano allegramente fighette. Ma il lavoro duro lo fa lui. Come uno Chef resta in cucina e lascia la Maitre di sala la gloria dei piatti, ogni tanto si affaccia in sala per prendersi i giusti complimenti facendo capolino da dietro e, perché no, suonando qualche nota sulla sesta corda. Ma poi giù, si ritorna dietro, a lisciare la nitro tra un accordo e l’altro.

Quindi a chi se non a Sua Maestà il Pollice e al suo Tatto dovremmo chiedere giudizio sul dorso del manico? Rudolf Steiner ebbe a dire che se si riuscisse a approfondire cosa c’è dietro al senso del tatto si arriverebbe vicini all’idea di Dio. Una affermazione che mi affascina, infatti il tatto è l’unico senso che non si riesce a eludere in stato di veglia. Puoi non vedere, non sentire, non gustare né odorare, ma neanche sospeso, senza gravità, perdi la propriocezione del tuo corpo tutto pervaso dal senso del tatto.

Un liutaio di Genova, che mi piacerebbe citare per salutarlo, ma del quale non ricordo il nome, mi mandò anni fa un manuale scritto da lui sulla costruzione della chitarra elettrica. Mi rimase impressa una cosa che scrisse: la stondatura del manico si fa ascoltando i tuoi brani preferiti e immedesimandoti nel chitarrista e nelle sue sensazioni tattili mentre suona. Il manico si forma così, dalla Musica.

Un concetto bellissimo. La bellezza ci indica la verità e mi risuona quello che Goethe diceva: l’occhio è fatto dalla luce per la luce. Il manico è fatto dal pollice per il tatto (Goethe mi perdonerà la parafrasi). Quando infine sento di aver finito mi ritrovo che per un tempo indefinibilmente lungo ho maneggiato come un onanista quest’organo di piacere da superdotato. Lo guardo e me lo vedo in mano piantato in un corpo dalle curve femminili con la punta ingrossata. Una sensualità in corto circuito tra l’udito e il tatto. Infine, stanco ma felice, l’allontano da me e guardo, distesa e languida, la mia androgina chitarra che si concederà fedele e casta con un gemito rauco al mio tocco rude, con un canto tenue alle carezze delle mie dita.

Stefano Rofena – Cloe Guitars
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