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Premi i tasti giusti: suonare il pianoforte senza essere pianisti

Chi non ha mai sognato di sedersi davanti a un pianoforte e far uscire qualcosa di bello, anche solo per pochi secondi? Spesso, però, il sogno si ferma prima ancora di iniziare, soffocato da un pensiero ricorrente: “non sono un musicista, non ne sarei capace”.
Eppure, come spiega Marco Vassallo, la musica non è un codice riservato a pochi, ma un linguaggio che tutti possono parlare. L’unico prerequisito è la curiosità di premere i tasti giusti – o anche sbagliati, se serve a capire meglio.

Il linguaggio delle emozioni

Fin dalla prima lezione, Vassallo mette in chiaro un principio semplice: il pianoforte non è solo uno strumento tecnico, ma un mezzo per comunicare emozioni.
La musica è una lingua universale che permette di comunicare direttamente sul piano emozionale . In altre parole, prima ancora di imparare scale e accordi, si tratta di imparare a esprimersi. Anche un singolo accordo maggiore o minore può evocare due mondi emotivi opposti: la serenità e la malinconia, la luce e l’ombra, la quiete e la tensione.

Da qui nasce la prima lezione implicita: per suonare non serve “sapere”, serve ascoltare. Il pianoforte diventa così un territorio da esplorare, in cui l’orecchio guida più della mente e ogni nota, anche quella sbagliata, può rivelare una sfumatura nuova. È un cambio di prospettiva: il tasto non è un enigma da decifrare, ma una porta che si apre su un’emozione.

Marco Vassallo

Capire la tastiera come si capisce una mappa

L’ostacolo più grande per chi non è pianista è spesso la paura dello strumento: troppi tasti, troppe regole. In realtà, la tastiera è un sistema logico e visivo. Basta riconoscere la geometria dei tasti neri – gruppi di due e tre – per orientarsi come su una mappa. Da lì, trovare il DO non è più un mistero ma un punto di partenza.

Vassallo insiste sul fatto che capire il pianoforte non significa studiarlo come una formula matematica, ma scoprire come le note si ripetono in modo coerente lungo lo strumento. Ogni ottava è una piccola replica del mondo sonoro che già conosciamo: un orizzonte che si allarga, non un labirinto.
Questa consapevolezza, semplice ma rivoluzionaria per chi parte da zero, permette di abbandonare l’idea del pianoforte come “strumento difficile” e cominciare a usarlo come una tavolozza di colori.

Fare pace con l’errore

Nessun percorso musicale ha senso se non si accetta la possibilità di sbagliare. Vassallo lo ripete con convinzione: Gli errori ci devono essere, perché fanno parte del percorso.
È una frase che suona quasi controcorrente in un’epoca in cui ogni performance sembra dover essere perfetta, filtrata e priva di inciampi. Eppure, nella musica reale – quella che si suona e si vive – l’errore è la scintilla che accende l’apprendimento.

Mettere le mani sul pianoforte “male”, come dice lui, è una tappa necessaria. Solo dopo aver sbagliato decine di volte un passaggio si inizia a capire dove sta l’equilibrio. È una lezione che vale anche fuori dallo strumento: la bellezza non nasce dall’assenza di errori, ma dalla loro accettazione.

Il primo passo: dal suono al senso

Chi si avvicina al pianoforte senza formazione accademica scopre presto che il progresso non passa solo dalle nozioni, ma dal contatto diretto con lo strumento. Tenere premuto un tasto, ascoltarne la vibrazione, riconoscere come cambia il colore emotivo passando da un accordo maggiore a uno minore: questi sono i primi esercizi che hanno davvero valore.

Un esercizio semplice – e potentissimo – è quello di suonare un singolo DO con la mano sinistra e, con la destra, esplorare le altre note bianche una alla volta, ascoltando cosa succede al suono e alle emozioni. Si capisce così che ogni intervallo è una relazione, non un numero, e che la musica è fatta prima di tutto di ascolto reciproco: tra le note, tra le mani, tra chi suona e ciò che sente.

Marco Vassallo

Dal tasto al pensiero musicale

A questo punto, il pianoforte smette di essere una tastiera e diventa un luogo di pensiero. Non serve conoscere tutte le regole armoniche per costruire qualcosa di sensato: basta imparare che ogni movimento ha una logica interna.
Le note si ripetono, le emozioni si trasformano, le mani imparano da sole a riconoscere le distanze e i ritorni. È un linguaggio naturale, che si affina con la pratica e con la curiosità.

In questo senso, “premere i tasti giusti” non significa scegliere sempre quelli corretti, ma imparare a capire perché alcuni suonano bene insieme. È un percorso di ascolto attivo, non di giudizio: si impara a pensare come un musicista anche prima di esserlo tecnicamente.

Suonare per conoscersi

Alla fine, il vero risultato non è “saper suonare”, ma sentire di poterlo fare. Il pianoforte diventa un mezzo per conoscersi, per dare forma al proprio tempo e alle proprie emozioni. Non c’è bisogno di spartiti, di teoria o di virtuosismo: basta un po’ di spazio, un metronomo se serve, e la libertà di esplorare.

Il consiglio finale è tanto semplice quanto efficace: siediti al pianoforte, premi un tasto qualsiasi e ascolta cosa succede dopo. Da lì comincia il tuo percorso, senza paura di sbagliare. Se ti va, racconta cosa hai scoperto: un suono, un’emozione, una piccola vittoria. Perché ogni nota, anche la più incerta, è già un modo di dire qualcosa al mondo.

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