Ci sono volte in cui crediamo di vivere momenti apparentemente normali che, invece, con il senno di poi, porteranno a un turbinio inaspettato di emozioni, esperienze e vita; tanto da condizionare la nostra intera esistenza.
Se dovessi immaginare l’insediarsi della musica nella mia vita, lo immaginerei proprio così.
Ero ancora adolescente ed ero nel pieno della fase delle contaminazioni che la vita circostante ti può portare: amicizie, amori, scoperte, delusioni, fino alla condivisione di semplici esperienze giornaliere, come la scelta di una canzone da ascoltare insieme a un’altra persona.
Mi trovai ad avere intorno mio cugino che giocava a Guitar Hero, “Mag” che suonava il basso e ascoltava punk, e Giovanni, quest’ultimo coinquilino di mia sorella, che era, all’epoca, all’inizio del suo percorso come cantautore.
Fui naturalmente spinto ad esplorare quello che sarebbe stato il mio mondo musicale da ascoltatore; con un unico dettaglio: mettevo in ripetizione gli assoli di chitarra per decine e decine di volte.
Iniziai il mio periodo con le cuffie sempre alle orecchie, non c’era posto in cui non le portassi. Alcuni dei ricordi che ho di quel periodo sono come film muti accompagnati dalla colonna sonora che passava il mio cellulare in quel momento.
Come quel nitido ricordo di quando viaggiavo in auto con i miei, dopo aver accompagnato mia sorella nella città in cui studiava, sdraiato sul sedile posteriore con l’assolo di Comfortably Numb in loop, dopo averlo “rubato” alla conoscenza di Giovanni.
Non stavo solo ascoltando, mi stavo innamorando; innamorando di qualcosa di cui non ero minimamente consapevole. O almeno, io non lo ero, ma qualcun altro, forse, aveva visto più lontano di quanto riuscissi a fare io.
Quel qualcuno era mio padre.
Era ottobre, mi preparavo a passare il mio normalissimo compleanno in famiglia ma… eccolo, proprio quel momento apparentemente normale: trovai una chitarra classica in corridoio, nuova di zecca, di una marca sconosciuta anche al negoziante, credo. Ma non importava. Era il mio regalo.
Non la desiderai mai; fino a quel momento non avrei mai immaginato, neanche per un misero secondo, di poter diventare io, in prima persona, l’artefice o l’esecutore di ciò che passava dentro le mie cuffie.
Fu quello l’inconsapevole istante in cui mi consegnarono il biglietto per intraprendere il viaggio verso ciò che sono adesso, anche se l’approccio iniziale non fu per niente facile.
Non la suonai per mesi, la lasciai in un angolino della mia stanza, fino al punto di far dire a mio padre: “guarda che, se non ti va di suonarla, io la vendo”.
A quel punto entrò in gioco “Mag”, il quale mi consigliò un insegnante che, tra l’altro, era poco distante da casa mia.
Decisi di buttarmi, di provare, togliendo dalla polvere, finalmente, quella che sarebbe diventata, da lì a pochi mesi — complici la passione, la cura del mio insegnante Daniele e dei miei amici — la rivelazione delle mie giornate, la mia migliore amica.
Avevo un nuovo canale di comunicazione, uno strumento per prendere contatto con le mie emozioni.
Proprio così: scegliete un insegnante che vi permetta di sognare, di farvi luccicare gli occhi; che vi incuriosisca, al di là della “semplice” tecnica o teoria; che vi dia gli spunti e gli strumenti per permettere di esprimere voi stessi attraverso le note che suonate o che suonerete.
Chi ha il compito di avviare uno studente al suo percorso musicale ha una responsabilità grandissima, soprattutto di fronte a un ragazzo nel bel mezzo della primavera dei propri sogni; una responsabilità anche psicologica che ne determinerà il modo in cui l’allievo vedrà e suonerà il proprio strumento; di come percepirà la musica, che peso le darà e quanto sarà disposto a farla entrare nella propria vita. Quanto sarà disposto a giocarci.
Sì, a giocarci; perché molto spesso accade di irrigidirsi e di lasciarsi chiudere dentro le monocromatiche pareti degli stilemi musicali, dimenticandosi di avere a disposizione un’immensa, illimitata tavolozza di colori con cui dipingerle, con cui creare inediti paesaggi d’autore nei quali viaggeranno i fruitori.
Questa “Genesi dell’Arte Interna” influenzerà il modo in cui si toccherà o si sceglierà “quella” nota; la cura con cui si ricercherà “quella” frequenza che il nostro immaginario ricerca nell’armonia di un istante; “quel” millesimo di secondo in più, o in meno, sulla configurazione del delay che sarà, per noi, necessario.
Influenzarà la cura per il dettaglio, per le piccole cose; che poi si può parafrasare nell’amore per se stessi, nella credibilità e nella veridicità di ciò che trasmetterà il nostro essere.
È naturale intendere, adesso, come le strade tecniche e teoriche della musica siano solo due piccole, fondamentali, parti di un’immensa mappa che ha come confini noi stessi.
Fu grazie anche a questa nuova e propedeutica visione del mondo che mi aprì, mi apro e mi aprirò ancora: a nuove opportunità, alla continua conoscenza e sensibilizzazione di me stesso, alla condivisione e alle relazioni sociali; alcune delle quali, tra scambi di accordi, chitarre in prestito e pomeriggi passati a giocare alle “rockstar”, nate per risultare indelebili.
La redazione di Musicoff è felice di dare il benvenuto a Giuseppe Lisa che con questo articolo inaugura la sua prima rubrica sulle nostre pagine.











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