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Il mostro di clipping Pt.1

Molti di voi conoscono di sicuro la materia, pertanto il clipping non rappresenta affatto un “mostro”; invece altri chitarristi, in erba e non, non hanno affatto chiaro che cosa si nasconda dietro questo argomento, per questa ragione definito così scherzosamente, per quanto se ne parli, spesso “straparli”

Molti di voi conoscono di sicuro la materia, pertanto il clipping non rappresenta affatto un “mostro”; invece altri chitarristi, in erba e non, non hanno affatto chiaro che cosa si nasconda dietro questo argomento, per questa ragione definito così scherzosamente, per quanto se ne parli, spesso “straparli”, nelle pagine di tutti i forum del mondo.
Non voglio fare un discorso come fossi il vecchio barbuto capo del gruppo T.N.T, più semplicemente, mi piacerebbe dare qualche semplice spiegazione al fine di donare, a chi non ne ha, la consapevolezza necessaria alla comprensione dell’argomento.Il “circuito di clipping” o più semplicemente “il clipping” ci sta a cuore perché serve a creare la distorsione, senza la quale, che cosa ne sarebbe della chitarra elettrica?
Vi avviso che non ci saranno formule e non mancheranno le approssimazioni: questa non vuole essere una lezione universitaria, ma più semplicemente una chiacchierata, spero interessante, con la finalità di dare qualche conoscenza in più a chi ne è privo.PremessaIniziamo col dire che in un amplificatore audio, potenza a parte, ci interessa più di ogni altra cosa la sua fedeltà. Un amplificatore, visto in modo semplice, non è niente altro che un “moltiplicatore” di segnale. Più ciò che immettiamo al suo ingresso viene riprodotto (moltiplicato per n volte) in modo fedele, migliore sarà la qualità dell’amplificatore.
La fedeltà di un amplificatore si può apprezzare in modo scrupoloso per mezzo di misure elettriche e di strumenti appositi.Per semplicità, diciamo che se voglio amplificare un segnale sinusoide, l’amplificatore fedele, lo deve riprodurre esattamente com’è al suo ingresso ma “ingrandito” di n volte. La moltiplicazione per n volte stabilisce la potenza del sistema.
Un amplificatore potente avrà un fattore n maggiore rispetto a uno meno potente.Un po’ di storiaLa chitarra elettrica nacque intorno alla necessità di far sentire la sua voce in mezzo agli altri strumenti di un’orchestra. Pensiamo ad esempio al pianoforte, oppure alla batteria; le chitarre acustiche dell’epoca (siamo alla fine degli anni ’20) non potevano certo competere col volume sonoro di questi concorrenti.
I primi esperimenti vennero fatti da Les Paul che iniziò utilizzando un pickup telefonico e il circuito audio di una vecchia radio per far sentire il suono della sua chitarra. I primi esemplari di chitarra e amplificatore “accoppiati” in commercio vennero venduti dalla Rickenbacher negli anni 30.Negli anni a seguire, fu Leo Fender insieme a George Fullerton ad immettere sul mercato la Telecaster, accoppiata ai primi amplificatori Fender di serie. Quasi contemporaneamente anche Gibson proponeva la sua prima chitarra elettrica di produzione seriale. I dettagli esatti di questa storia affascinante però li lasciamo agli esperti della materia. Quello che ci interessa è che all’inizio degli anni 50 le prime Telecaster, le prime Les Paul ed i primi amplificatori appositamente costruiti per l’uso chitarristico, fecero la comparsa nelle orchestre americane, riscuotendo un grosso consenso.
Il successo fu tale che la storia andò avanti con dei risvolti allora del tutto inattesi. I chitarristi, finalmente messi ad armi pari con gli strumenti dotati di maggior volume, potevano non solo farsi sentire, ma potevano anche esprimersi a livello solistico, cosa che fino ad allora non sarebbe stata possibile insieme ad un gruppo.I primi amplificatori costruiti da Fender prendevano spunto dall’amplificatore audio istallato a bordo delle radio. Leo Fender col leggendario “Radiotron Designer Handbook RCA” alla mano partì da lì per realizzare i primi prototipi. I primi modelli non avevano mille controlli e disponevano di potenze modeste, ma servivano comunque allo scopo.
Ma fu proprio la potenza ridotta del finale la causa della scoperta della “distorsione dinamica” sul suono della chitarra elettrica. La distorsione fino ad allora era considerata, come anche oggi in alta fedeltà, un difetto da contenere il più possibile. Nessuno si sarebbe mai immaginato che, distorcendo il segnale della chitarra, cioé riproducendolo in modo assolutamente non fedele, potesse scaturire un mondo di suoni e di possibilità che oggi tutti possiamo sfruttare in modo così variegato.I chitarristi dell’epoca, tirando il loro piccolo amplificatore al massimo volume, semplicemente per farsi sentire, scoprirono che un difetto come la distorsione poteva essere sfruttato offrendo soluzioni timbriche mai sentite, a tutto vantaggio dell’espressività e della creatività del chitarrista.Appena un po’ di tecnicaSi ma cosa succedeva dentro il piccolo amplificatore?
Semplicemente, lo stadio finale non riusciva a riprodurre fedelmente la forma d’onda al suo ingresso, questo per un limite fisico del sistema che “avrebbe voluto andare oltre” ma non ci riusciva.Ritornando alla sinusoide a cui accennavo prima, immaginate di poterla ingrandire fedelmente in ampiezza fino ad un certo limite; raggiunto tale limite ed aumentando ancora il fattore n, la sinusoide viene “tosata” in ampiezza perché il sistema non dispone di altra potenza per poterla riprodurre correttamente.
mostroclipping1 mostroclipping2Aumentando molto il fattore moltiplicativo, l’effetto tosatura si fa più marcato e la sinusoide va sempre più rassomigliando ad un’onda quadra.mostroclipping3Negli anni sessanta si suonava molto sfruttando la dinamica dell’amplificatore. Il volume veniva regolato al massimo, cioé col massimo fattore n e il chitarrista riusciva ad ottenere le varie sfumature timbriche facendo leva sulla propria dinamica e usando molto il potenziometro del volume sulla chitarra.Il segnale elettrico si dice in clipping proprio quando subisce questo livellamento dinamico dovuto al fatto che il finale non riesce più a lavorare in zona lineare e quindi distorce in ampiezza quello che immettiamo al suo ingresso. Negli amplificatori a valvole l’uscita dalla zona lineare del finale (dove l’amplificatore riproduce fedelmente il suono) verso quella non lineare (cioé dove il finale distorce) ha una caratteristica modo dolce e graduale. All’atto pratico, il suono distorto secondo questa peculiarità risulta gradevole e ricco di armoniche, pensate all’ultimo Clapton ad esempio.ControindicazioniTutto questo discorso contiene un inevitabile difetto, cioé il fatto di dover suonare al massimo volume, cosa che non è sempre così semplice. In effetti, si potrebbe usare un amplificatore poco potente per generare un suono distorto col finale al massimo, ma ad un volume ragionevole; poi però, abbassando il segnale della chitarra o andandoci leggeri col tocco, non otterrebbe un volume di suono pulito sufficiente.Viceversa, con un amplificatore potente, abbiamo certo una gran riserva di suono pulito, ma poi, suonando col tocco pesante, il volume è fortissimo e si rischia di andare incontro a situazioni ingestibili.Le soluzioni per fortuna non mancano mai… alla prossima puntata! ;)Costantino Amici – Costalab