Il dibattito sulle scalature delle corde è uno di quelli che tornano ciclicamente tra i chitarristi: c’è chi sostiene che le mute sottili impoveriscano il suono, chi difende a spada tratta le corde “cicciotte” e chi, semplicemente, continua a usare ciò che ha sempre usato senza porsi troppe domande (e forse vive molto più felice).
Vale comunque la pena chiedersi se molte delle certezze condivise siano davvero così solide.
Le corde sottili sono davvero sinonimo di suono “debole”?
Per anni si è ripetuto che una muta leggera non possa offrire corpo e presenza nelle basse. In realtà, la riduzione della massa metallica porta spesso a un attacco più controllato e a un low end meno invadente, qualità che in un mix fitto possono rivelarsi preziose.
Non è un caso che negli anni ’70 (ma anche oggigiorno) molti chitarristi – da Billy Gibbons a Jimmy Page – suonassero con scalature con gauge del tipo 008–038, ottenendo timbriche tutt’altro che fragili, grazie anche a possenti amplificazioni. Scalature che in ambiti di vita quotidiana danno ancora oggi origine a sfottò, da parte di persone che antepongono l’umorismo alla riflessione.
La percezione di “magrezza sonora” nasce più dall’abitudine che da un limite tecnico. Su strumenti con pickup corposi, come una Les Paul o in generale chitarre che montano pickup humbucker, una muta leggera può addirittura restituire una messa a fuoco dei medi molto più naturale rispetto alle corde più grosse, che hanno sicuramente un ottimo feel su qualche riffone, ma possono dare problemi di “impastamento sonoro” su accordi un po’ più complessi e distorsioni.
Da dove nasce l’idea che “più grosse” siano meglio?
La tendenza a usare corde a scalature generose si è rafforzata dopo l’epoca di alcuni chitarristi iconici – primo tra tutti l’immenso Stevie Ray Vaughan – capaci di far sembrare normalissima una battaglia quotidiana contro la tensione di quella sorta di tiranti da ponte.
L’associazione corde pesanti = suono autorevole è diventata parte del folklore elettrico, ma non sempre è coerente con la pratica. Spesso, invece, è coerente con problemi di tendiniti e tunnel carpali.
Una muta più spessa può offrire maggiore resistenza al tocco e sostenere meglio i drop tuning, ma il prezzo da pagare può essere la perdita di flessibilità e talvolta anche la precisione dell’intonazione. Non è raro che musicisti abituati a corde durissime finiscano per ammettere, a un certo punto, che un set più leggero renda la chitarra più viva sotto le dita. Perché, in effetti, le microdinamiche al tocco diventano molto più evidenti.
Quanto cambia realmente il suono?
Molto meno e molto più, dipende da cosa si ascolta. Una corda sottile riduce la componente di basse frequenze, creando un timbro più asciutto e definito. Questo può risultare utile nelle ritmiche ad alto gain, dove il rischio di impastare è sempre dietro l’angolo. Una muta pesante, invece, può regalare un sustain più marcato e una risposta più stabile se si ha una plettrata energica.
La percezione del cambiamento, però, è spesso legata al tocco. Chi prova per la prima volta un set leggero tende a “spaventarsi”, come se avesse troppa potenza rispetto alla risposta della corda. È una sensazione temporanea: quando la mano si rilassa, emergono una chiarezza inattesa e una maggiore facilità di controllo. Senza contare la possibilità di suonare fraseggi complessi o fare bending di un tono e mezzo o due toni con metà della fatica (e maggiore espressività).
E se la scelta dipendesse più dalle mani che dal metallo?
Quindi il senso di questo articolo è farvi abbandonare le corde grosse? Sia mai!
Ci sono tantissimi motivi in cui ognuno può preferire scalature di corde di dimensioni maggiori del normale, oppure, forse ancora meglio, creare la propria muta di corde mischiando vari gauge.
Sono tanti i chitarristi famosi che, ad esempio, prediligono corde grosse per quanto riguarda le avvolte e corde fini per le prime tre corde, così da avere potenza sonora sui riff e bending sui soli comunque senza fatica. Zakk Wylde ad esempio usa spesso mute di corde miste 010-060.
Il senso dell’articolo, invece, rivolgendoci in particolare ai più inesperti, è quello di non farsi condizionare dalle mode, dall’esempio di qualche proprio idolo e, meno che mai, dai giudizi di qualche amico o compagno di band che pensa che la propria virilità sia direttamente proporzionale alla misura delle corde che monta (p.s. stesso identico discorso per quanto riguarda lo spessore del plettro).
Alla fine, il fattore più sottovalutato resta sempre e comunque il chitarrista. È una questione di equilibrio: ciò che funziona per uno può essere inutile per un altro.
Forse, più che chiedersi quale scalatura “suoni meglio”, potremmo iniziare a domandarci quale ci permette di suonare meglio. Le corde non misurano il valore del chitarrista; sono solo un mezzo per facilitare l’incontro tra mani e suono.










Recents Comments