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K.W. Shepherd

K.W. Shepherd, Shemekia Copeland e un blues senza bandiere

Un nuovo potente singolo vede assieme la cantante americana e il chitarrista, ma quel che c’è dietro è qualcosa che vale la pena di evidenziare.

Il singolo “Hit’em Back” è la prosecuzione ideale dell’album della Copeland battezzato suggestivamente Uncivil War con riferimento all’anno 2020 e ai drammatici fatti che lo hanno segnato a livello sociale. 

Nelle sue parole: “non c’è tempo per l’odio, per quanto tempo continueremo a combattere questa guerra incivile?

Il testo della grintosa canzone, un blues-rocker che vede protagonisti indiscussi la voce della cantante e la chitarra di Shepherd, è un messaggio di unità, amore e gioia espressi attraverso la musica, contro ogni divisione. 

Don’t matter where you’re born, where you’ve been, the shade of your eyes or the color of your skin…

Shemekia Copeland, figlia di Johnny, cantante e chitarrista blues texano, è un personaggio di grande rilievo nell’ambiente, erede consacrata delle grandi cantanti nere del passato come Koko Taylor.
Kenny Wayne Shepherd è l’ex-ragazzo prodigio che ha venduto milioni di album, piazzandosi più volte nella Top Ten e aggiudicandosi prestigiosi premi con il suo mix di rock e blues.

Shemekia Copeland - Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021
Shemekia Copeland – Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021

La band comprende anche due tra i più prestigiosi musicisti afroamericani in attività, seppur appartenenti a diverse generazioni. Si tratta di Robert Randolph, moderno virtuoso della pedal steel guitar, e di Tony Coleman che ha suonato la batteria per giganti come B.B. King, Otis Clay, Bobby Blue Bland, Albert King, Albert Collins, Etta James, James Cotton, Buddy Guy. 

Shemekia e Kenny sono praticamente coetanei e negli anni hanno avuto modo di condividere più di una esperienza, due “splendidi quarantenni” al top del loro mestiere. Niente di più naturale del vederli assieme, dunque, ma c’è di più di quanto sembri. Un problema grosso quanto un’intera nazione…

Coleman e Randolph - Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021
Tony Coleman e Robert Randolph – Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021

Socially correct

Anche l’ex-presidente Barack Obama poco tempo fa si è sentito in dovere di esprimere la sua preoccupazione a proposito della cosiddetta “Woke Culture”, fenomeno che sta portando soprattutto le generazioni più giovani a giudicare e condannare troppo facilmente fatti e persone che andrebbero visti in un contesto molto più complesso.

È un fatto che misurare attentamente le parole stia diventando un problema serio negli USA, dove un professore universitario può essere denunciato e doverosamente punito dai suoi dirigenti solo per aver letto in aula un’opera degli anni settanta contenente una parola oggi bollata come “impronunciabile”.

All’estremo di questa tendenza c’è la discussa “Cancel Culture”, deriva pericolosa nel momento in cui si rischia di cancellare fisicamente segni e nomi del passato solo perché incompatibili con la moderna etica sociale, a prescindere dalle grandi differenze del contesto originario.

Barack Obama
Barack Obama

E il Blues che c’entra?

Shemekia Copeland si è aggiudicata per il 2021 ben tre dei premi annuali della Blues Music Association, la stessa associazione che lo scorso marzo di punto in bianco decideva di cancellare il nome di Kenny Wayne Shepherd dalla rosa dei candidati ai premi, chiedendo inoltre a suo padre di dimettersi dal direttivo.
Tutto a causa di un semplice post Facebook. Semplice ma autorevole.

L’autrice era, infatti, Mercy Morganfield, figlia di Muddy Waters, uno dei padri riconosciuti del Blues moderno, che di punto in bianco aveva deciso di tuonare con voce indignata contro l’incoerenza di chi si permetteva anche solo di prendere in considerazione un “figlio di ….. razzista”, non nominato esplicitamente ma riconoscibile.

Mercy Morganfield
Mercy Morganfield

La sua ira era mirata alla presunta ostentazione della bandiera sudista, simbolo di schiavismo e razzismo, dipinta sul tetto di un’automobile. La stessa bandiera che uno stato americano del profondo sud come il Mississippi oggi ha cancellato dal proprio stemma con un’azione senza precedenti in risposta alle istanze aperte dal movimento Black Lives Matter.

La replica di Shepherd – proprietario dell’auto incriminata – è stata breve e concisa, spiegando che si trattava della copia conforme del mezzo usato negli anni ‘70 dai protagonisti dei telefilm Dukes of Hazard, da lui acquistata 17 anni prima perché fan della serie e collezionista di muscle-car, chiusa in una rimessa da anni con la bandiera coperta perché contraria ai propri valori e offensiva per la comunità afro-americana.

Kenny Wayne Shepard Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021
Kenny Wayne Shepard Credit: Taylor Ballantyne LLC 4/06/2021

Scusandosi se inconsapevolmente aveva offeso qualcuno e sottolineando con fermezza di condannare e opporsi completamente da sempre a ogni forma di razzismo e oppressione, KWS ha evitato in seguito saggiamente di rispondere alle polemiche, lasciando ad altri il compito di difenderlo.

Primo fra tutti è arrivato Billy Cox, storico bassista di Jimi Hendrix e veterano delle scene blues-rock, che ha pubblicato una foto in cui appare assieme a Shepherd, testimoniando di aver condiviso per anni il palco con lui senza annusare il minimo odore di razzismo.
Ma la reazione non si è fermata, dividendo la comunità internazionale in fazioni opposte.

KW Shepherd & Billy Cox
KW Shepherd & Billy Cox

L’uscita di “Hit’em Back”, pubblicato lo scorso 27 maggio da Mascot/Provogue, condiviso con un personaggio influente come Shemekia Copeland e altri importanti musicisti afroamericani è un’evidente, anche se indiretta, risposta alle accuse di razzismo.
La più giusta, forse, per far capire come sia fondamentale guardare bene a fondo nelle cose prima di giudicare.

A chi appartiene il Blues?

Si dà il caso che il chitarrista blues più noto e venduto nel mondo sia oggi bianchissimo, ma questa non è esattamente una novità. A parte Jimi Hendrix quale chitarrista nero è arrivato a volare alto in classifica?
Niente di strano, dunque, in una situazione che è però molto meno accettabile in questo momento storico (anche se per una volta il nome di Bonamassa non era nella rosa dei premiati…)

È piuttosto evidente l’intento di Mercy Morganfield di puntare il dito verso l’egemonia bianca nel controllo e gestione del blues, rivendicando il carattere politico di questa musica e usando anche immagini colorite ma efficaci come quella di un pubblico dei Blues Awards monopolizzato da “bianchi di mezza età mezzi pelati e con il codino”.

KW Shepherd con il Generale Lee
KW Shepherd con l’auto “incriminata”

In questo contesto, in qualsiasi modo sia venuta a galla l’immagine dell’automobile di Shepherd (del quale la Morganfield ha dichiarato di non conoscere neanche la faccia…), è evidente che un bianco della Louisiana, biondo, belloccio e sposato con la figlia di un noto attore, sia il perfetto capro espiatorio per tutti quelli del suo “stampo”.
Che quella bandiera non l’abbia esattamente sventolata, è secondario…

Il diritto di parlare

Se i bluesman storici negli anni settanta hanno accolto con gratitudine l’assist offerto dai rocker bianchi che ha permesso loro il passaggio di categoria a livello commerciale, i loro discendenti sono oggi molto meno disposti ad accettare quello che ne è stato il costo, e cioè la gestione della musica blues da parte di executive, producer e critici bianchi.

In epoca di attiva e sacrosanta rivendicazione a 360 gradi, dunque, suona naturale l’incitamento alla riappropriazione e gestione del patrimonio culturale dei propri padri.
Ma uno sguardo attento all’evoluzione che il blues ha avuto negli ultimi decenni è più che doveroso, come anche l’attenzione ai cambiamenti subiti dalla comunicazione.

Shepherd Coleman Randolph
Shepherd, Coleman & Randolph

Che la figlia di Muddy Waters s’incazzi, dunque, ci sta senz’altro: ha tutto il diritto di parlare e dire la sua. Quel che invece non si dovrebbe permettere è di dare del “figlio di ……. razzista” a qualcuno senza preoccuparsi neanche di approfondire, mettendo in moto una gogna mediatica che oggi, specialmente in USA, può significare facilmente la morte professionale.

È vitale in questo momento storico usare le parole a proposito, dare del razzista a chi se lo merita è chiamare le cose con il loro nome. Usare questa parola a sproposito, invece, serve solo a confondere le acque e a renderla meno efficace.

Qualcuno ha detto che un americano oggi non può ignorare il significato della bandiera sudista. Giusto. Con lo stesso metro direi, però, che un americano oggi non può ignorare il peso di certe accuse, specie se lanciate senza un motivo più che giustificato.

Mississippi: vecchia e nuova bandiera
Mississippi: vecchia e nuova bandiera

D’altro canto, la cosa che colpisce ancora di più è quanto possa essere facile prendere posizione (vedi la Blues Music Association) e colpire con la massima velocità pur di non fare brutte figure e allinearsi con la parte di opinione pubblica che più conta nel proprio ambiente.

Se non si fa attenzione al quadro generale, il rischio è quello di fare morti e feriti che neanche meritano questa fine, sull’onda di una radicalizzazione che diventa facilmente giustizialismo

L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è essere divisi…”, dicono Shepherd e la Copeland. Speriamo che qualcuno li ascolti sul serio…