C’è un momento nella vita di ogni batterista, ma potremmo dire di qualsiasi musicista e strumento, in cui si scopre che saper suonare bene non basta. È il momento in cui si capisce che la musica non è una vetrina, ma una conversazione. E che, nella maggior parte dei casi, la conversazione funziona meglio quando si parla… meno!
Il vero problema dell’ego non è l’ambizione o la personalità: è la perdita dell’ascolto. Quando l’attenzione si sposta dal brano all’io, dal suono collettivo al proprio fill, tutto il senso della musica evapora.
È lì che il batterista rischia di diventare un rumorista di lusso, incapace di costruire relazione e di far respirare la musica.
Quando il silenzio vale più di un solo
Il batterista jazz Enzo Zirilli paragona spesso l’accompagnamento all’ascolto di una persona che parla: “Accompagnare è come ascoltare un amico che ha qualcosa di interessante da dire” (Enzo Zirilli).
È un’immagine perfetta per capire che l’atto di non intervenire è, in realtà, una forma avanzata di partecipazione. L’ascolto profondo, il rispetto del respiro del solista, il piacere di sostenere senza invadere: sono tutte componenti di un’arte sottile, che ha più a che fare con l’empatia che con la tecnica.
Nelle ballad, ad esempio, il rischio è duplice. Da un lato l’inerzia, la noia che porta a riempire inutilmente; dall’altro la paura del vuoto, che spinge a suonare troppo.
Zirilli osserva che una delle prove più difficili per un batterista è mantenere la tensione costante su un tempo lento, senza cedere alla tentazione di riempire ogni spazio. È una lezione che vale in ogni contesto: il vuoto non è mancanza, è spazio musicale.
Ringo Starr e la lezione del “suonare quel che serve”
Per spiegare cosa significa suonare con intelligenza, Zirilli cita un esempio tanto ovvio quanto dimenticato: Ringo Starr.
Non il virtuoso, non l’acrobata, ma il musicista che “ha sempre suonato quello che serviva alla musica dei Beatles, non quello che avrebbe voluto suonare” (Enzo Zirilli).
Ringo è l’emblema di un batterista al servizio della canzone. Nessun eccesso, nessun bisogno di dimostrare. È il paradigma di chi mette il proprio talento al servizio dell’insieme, non del proprio ego.
In fondo, il jazz non è molto diverso: ogni nota, anche la più semplice, ha senso solo se necessaria. Eppure, molti musicisti – non solo batteristi – dimenticano questa regola elementare, trasformando ogni brano in un pretesto per mostrare velocità, controllo o indipendenza. Ma il pubblico non applaude il numero di colpi al secondo: applaude l’emozione.
L’ascolto come antidoto
Come si disinnesca, allora, l’ego? Non con l’autocensura, ma con l’ascolto. Zirilli insiste spesso su questo punto: prima di suonare bisogna respirare con la musica. Il gesto non deve essere segmentato in battute, ma scorrere come un’onda, seguendo il respiro del brano. L’ascolto, in questo senso, non è solo uditivo: è fisico.
Provate a “respirare insieme” al pezzo. Muovetevi con esso, senza rigidità, lasciando che il corpo trovi da sé il punto giusto del tempo. Questa attenzione al movimento e al respiro è il primo passo per riportare la musica al suo centro naturale: il flusso.
Quando si suona con questa consapevolezza, l’ego non scompare del tutto, ma perde potere. Si ridimensiona, diventa parte dell’insieme, non il suo scopo.
Tre pratiche per suonare “senza ego”
- Cantare ciò che si suona.
Zirilli torna spesso sull’idea del “canto del ritmo”: se puoi cantarlo, puoi suonarlo. Il batterista deve imparare a “cantare” la parte del solista, del basso, della voce, non per imitarli ma per capirne il respiro. Cantare mentre si suona costringe ad ascoltare, a dosare le energie, a riconoscere le dinamiche. È un modo concreto per trasformare la batteria in uno strumento melodico, non percussivo. - Studiare il silenzio.
Il silenzio è una nota come le altre, solo più coraggiosa. Allenatevi a lasciare spazi, a non riempire ogni misura. Prendete un brano e suonatelo eliminando ogni fill per cinque minuti, poi aggiungete un solo intervento mirato. Noterete che l’intero fraseggio respira di più e che la tensione cresce invece di calare. - Registrarsi e riascoltarsi.
Nulla smaschera l’ego come un buon riascolto. Ascoltare una registrazione del proprio accompagnamento è un esercizio di brutalità salutare: mostra quanto spazio si lascia (o si ruba) agli altri, se si sta davvero sostenendo o semplicemente sovrapponendo.
Il punto non è “suonare meno”, ma suonare meglio, con maggiore coscienza del proprio ruolo. Il batterista, nel jazz, è un architetto invisibile: costruisce la struttura e poi si sposta, lasciando che la casa venga abitata dagli altri.
La libertà che nasce dal controllo
Paradossalmente, il modo più efficace per uscire dal proprio ego è imparare a controllarlo. L’indipendenza tecnica serve a questo: non a esibire coordinazione, ma a permettere alla mente di liberarsi dal gesto, di pensare alla musica mentre le mani e i piedi lavorano da sole. È il punto in cui il controllo diventa libertà, e il batterista smette di “suonare la batteria” per iniziare a suonare la musica.
Alla fine, tutto si riduce a una scelta: voler essere il protagonista del gruppo o voler far suonare meglio il gruppo. E chi ha provato entrambe le cose sa quale dà più soddisfazione.
Fai il passo decisivo
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Ogni lezione unisce tecnica, cultura e sensibilità, mostrando come il batterista possa diventare un musicista a tutto tondo, capace di ascoltare, dialogare e far cantare il proprio strumento.
È un corso pensato non solo per chi vuole migliorare la propria tecnica, ma soprattutto per chi desidera ritrovare nella batteria una voce autentica, consapevole e libera dall’ego.












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