Se ti sei posto almeno una volta queste domande – magari mentre cercavi di dare un po’ di pepe a una progressione troppo prevedibile o volevi imitare quel suono “spigoloso” di Michael Brecker o Wayne Shorter – allora il concetto di outside playing ti riguarda molto da vicino.
Ma attenzione: suonare “fuori” non vuol dire solo andare a caso finché qualcosa non torna “dentro” (altrettanto a caso…). È piuttosto un gioco di tensione e risoluzione, dove ti allontani solo quanto basta… per poter ritornare con stile.
Esplorare il suono fuori… ma con una mappa in tasca
In teoria, tutte le dodici note del sistema temperato sono a disposizione. Ma in pratica? Usarle con gusto richiede consapevolezza armonica e un’idea chiara del punto di partenza e di arrivo.
Improvvisare “out” non significa dimenticare l’accordo, ma sfidarlo, attraversarlo, trasformarlo, senza smarrirsi.
Nel jazz contemporaneo – ma anche nel rock sperimentale o nell’improvvisazione libera – le frasi “fuori” sono parte integrante del linguaggio. Da John Coltrane nei momenti più estremi, fino agli assoli di Joshua Redman o Chris Potter: l’out è diventato una grammatica musicale a sé stante.
Ma come si costruisce questo linguaggio? E come si evita di diventare semplicemente… casinisti?
Non suonare a caso: conosci la strada del ritorno
È qui che entra in gioco una delle metafore più potenti proposte dal sassofonista Rosario Giuliani nel suo corso Jazz Concepts su Musicezer.
Giuliani paragona l’uso del suono “out” a un bambino che si allontana da casa:
“Quando eravamo piccoli le nostre mamme ci dicevano di non allontanarci perché non conoscevamo la strada per ritornare a casa. Più si cresce, più ci si può allontanare, ma solo se si sa come tornare.”
(Rosario Giuliani)
È una lezione semplice ma fondamentale: non uscire se non sai dove stai andando. La libertà nell’improvvisazione non nasce dalla confusione, ma dalla conoscenza profonda dell’armonia. Solo così si può “viaggiare” senza smarrirsi.
Triadi, tensioni, scale: gli ingredienti per l’out playing
Per Giuliani, uno degli strumenti più potenti per uscire dalla zona di comfort è il lavoro sulle triadi sovrapposte.
Nel corso, analizza come coppie di triadi possano generare nuove sonorità: per esempio, su un accordo di Mi bemolle settima, usare le triadi di Do maggiore e Si bemolle maggiore produce un effetto ricco di tensione e movimento. Ma è solo l’inizio.
Il gioco si complica (e si arricchisce) man mano che si sostituiscono le triadi, passando da maggiore a minore, da consonante a dissonante.
Ad esempio: inserire una triade di Si bemolle minore al posto di Si bemolle maggiore cambia il colore dell’accordo, spingendolo verso un’area più scura e instabile.
E poi ancora: Do maggiore + Fa diesis maggiore per evocare un suono aggressivo, teso, in bilico tra due mondi.
“Tutto è suonabile con questo sistema: basta conoscere la strada per tornare all’accordo che stiamo trattando”
(Rosario Giuliani)
Ma quindi… come si “torna a casa”?
La chiave è la risoluzione.
Ogni deviazione ha senso solo se porta a un punto d’arrivo riconoscibile.
In termini pratici: se suoni un fraseggio basato su una triade a distanza di tono, assicurati che la nota finale “atterri” su una nota cordale (come la terza, la quinta o la settima dell’accordo).
Giuliani insiste molto sull’idea che le tensioni siano ammesse e benvenute, ma solo se risolvono. Non basta suonare “strano”: devi far capire che tu sai esattamente cosa stai facendo.
Esercizio pratico: costruisci la tua mappa armonica
Vuoi provare da subito? Ecco un esercizio che puoi applicare anche con Band-in-a-Box, iReal Pro o su un semplice looper.
- Scegli un accordo dominante, ad esempio G7.
- Suona una triade di tono distante da quella dell’accordo. Prova per esempio B maggiore o A♭ maggiore.
- Crea una frase di 3 o 4 note con quella triade.
- Chiudi la frase atterrando sulla terza (B), quinta (D) o settima (F) dell’accordo G7.
- Ripeti l’esercizio spostando l’accordo di partenza (F7, C7, ecc.), usando la stessa logica.
Non preoccuparti se inizialmente suona “troppo fuori”. Concentrati sull’effetto della risoluzione. All’inizio può sembrare artificiale, ma presto scoprirai che ti stai costruendo un vocabolario melodico personale.
Il tuo viaggio musicale non finisce qui
Imparare a improvvisare out non è solo questione di tecnica. È una sfida d’ascolto, di intuito, di coraggio e di gusto. Come in ogni viaggio, il bello sta nel movimento, ma anche nel sapere quando e come fermarsi.
Se vuoi approfondire in modo pratico, concreto e musicale questi concetti, dai un’occhiata al corso Jazz Concepts di Rosario Giuliani su Musicezer. È un percorso che non solo spiega come si fa, ma ti guida con esempi suonati, esercizi progressivi e una visione personale e stimolante del jazz contemporaneo.











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