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Dai Bon Jovi ai Dire Straits, le nomination Hall of Fame 2018

Sono finalmente arrivate le nomination 2018 per l'ascesa nell'olimpo della Rock and Roll Hall of Fame e, come sempre, ci sono nomi davvero importanti che come da regola hanno sorpassato (e in alcuni casi davvero da un bel po') i 25 anni di carriera.

Sono finalmente arrivate le nomination 2018 per l’ascesa nell’olimpo della Rock and Roll Hall of Fame e, come sempre, ci sono nomi davvero importanti che come da regola hanno sorpassato (e in alcuni casi davvero da un bel po’) i 25 anni di carriera.

Parlando appunto di carriera, il 2018 vede l’iscrizione nel registro dei miti musicali di artisti e band molte delle quali con una storia alle spalle che inizia ben indietro nel tempo.
Tra i più “giovani” (si fa per dire…) ci sono i Bon Jovi, che debuttarono nel 1984 con il loro album omonimo e diventarono ben presto uno dei nomi più importanti dell’hard rock americano, capitanati dal cantante di origini italiane John Francis Bongiovi Jr., in arte Jon Bon Jovi, e dal prodigioso chitarrista Richie Sambora, negli ultimi anni sostituito da Phil X.

Passati in tempi moderni a un tipo di rock decisamente più radiofonico e ammiccante (forse a tratti un po’ ripetitivo), ai Bon Jovi viene comunque riconosciuta una carriera con vendite a 6 zeri e continui sold out nelle arene.

L’altra grande selezione di quest’anno in fatto di band riguarda i mitici Dire Straits di Mark Knopfler, a sua volta figura mitologica della 6 corde.

Sin dal loro primo album, anche in questo caso omonimo, questi inglesi dimostrarono di avere il coraggio di guardare in direzioni completamente opposte a quella che era la corrente del tempo, divisa tra il punk e la disco.
Il loro stile, così delicato e influenzato tanto dal blues quanto dal country, ma tutto con un’ottima matrice finale rock/pop (nel senso migliore del termine), li distingueva più o meno da qualsiasi altra cosa fosse in giro all’epoca e nonostante questo riuscirono a imporsi sulla scena musicale. Anche grazie ad alcuni singoli immortali, prima di tutto quella “Sultans of Swing” che fece anche guadagnare al chitarrista milioni di fan in tutto il mondo, che iniziarono ad abbandonare il plettro cercando di avvicinarsi a quel playing scoppiettante ed elegante a dita nude.

Restando in ambito blues, ci sono due nomi davvero importanti quest’anno: Sister Rosetta Tharpe e Nina Simone.

Alla prima viene conferito l’Early Influence Award. Molto famosa sul web anche per chi non conosce bene il genere, grazie a un noto video che anche noi vi abbiamo spesso riproposto, fu pioniera sin dalla metà degli anni ’20 della musica “nera”. Rosetta Tharpe fu una delle prime star del gospel e r’n’b, anche per questo poi chiamata “the original soul sister“. Non solo una grande voce, ma anche un modo impetuoso di suonare la chitarra che precorreva i tempi, ben prima del rock’n’roll.
In tour in Inghilterra con Muddy Waters nel ’63, fu di esempio ai tanti giovani chitarristi rock che avrebbero scritto la storia futura della musica, da Eric Clapton a Jeff Beck, a Keith Richards.

Nina Simone è un nome sacro per chi ha a cuore la buona musica. Di formazione classica, la pianista e cantante afroamericana ci ha regalato alcune delle perle più preziose degli anni ’50 e ’60 (e oltre), passando da un jazz eseguito con incredibile eleganza, a un blues di incredibile intensità.
Estremamente attiva all’epoca nella lotta per i diritti civili, tanto da non risultare certo “gradita” agli organi istituzionali, abbandonò il music business prima a metà degli anni ’70 e poi nuovamente negli anni ’80. Le nuove generazioni hanno riscoperto la sua voce e la sua storia negli ultimi anni anche grazie al film-documentario What happened, Miss Simone? di cui vi consigliamo la visione.
Ma, soprattutto, non fatevi scappare nessun album di questa prodigiosa artista, una delle prime donne di colore ad avere l’onore di esibirsi alla Carnegie Hall di New York.

Altre due band sono state nominate quest’anno, The Cars, esponenti del rock/new Wave made in USA sin dalla metà degli anni ’70, e poi una delle pietre miliari della musica inglese, considerati tra i precursori di quello che verrà definito successivamente progressive rock: i Moody Blues.

Nati dal R’n’B come tante band giovani del periodo, lo stile dei Moody Blues andò presto evolvendosi verso forme più complesse, a cavallo tra la psichedelia e arrangiamenti sinfonici. Con Days of Future Passed, album che non ha mai smesso di dividere l’opinione dei critici, sperimentarono una libertà artistica pressoché totale, sfornando così un concept album pop-sinfonico che oggi viene considerato una delle prime opere, se non la prima, a varcare i confini della “canzonetta”, come la definiremmo nel nostro Paese.
All’interno dell’album la splendida “Night in White Satin“, riproposta anche in Italia dai Nomadi con il titolo “Ho difeso il mio amore”.

Con gli album successivi, a partire da In Search of Lost Chord del 1968, abbandonarono l’orchestra contornandosi invece di nuovi strumenti come il sitar e la tabla. Proposero lavori di ottimo livello fino alla fine degli anni ’60, poi iniziarono a sentire il peso del tempo e forse una certa mancanza di idee al confronto di altre band che oramai avevano varcato la soglia da loro aperta e creato un mondo del tutto nuovo, quello del progressive vero e proprio.
Ma restano ad ogni modo uno dei capisaldi del rock inglese, con album da avere in collezione almeno fino a On The Threshold Of A Dream del 1969.

La cerimonia della Hall of Fame 2018 si terrà a Cleveland (dal 2009 ogni 3 anni si tiene nella città sede del museo, altrimenti solitamente viene organizzata a New York) il prossimo 14 aprile.

Cover photo:
– Mark Knopfler by Christopher Bowley CC BY 2.0
– Nina Simone by Gerrit de Bruin CC BY 4.0
– Jon Bon Jovi by slgckgc CC BY 2.0