HomeMusica e CulturaIntervistePaola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

Paola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

Il primo giugno con la sua batteria ha partecipato sul palco di San Siro a uno dei concerti-evento dell'anno, quello di Fedez e J-Ax. Paola Caridi ci racconta come, lavorando sodo, si possono raggiungere determinati traguardi.

Il primo giugno con la sua batteria ha partecipato sul palco di San Siro a uno dei concerti-evento dell’anno, quello di Fedez e J-Ax. Paola Caridi ci racconta come, lavorando sodo, si possono raggiungere determinati traguardi.

Ciao Paola, che impressioni ti porti dietro dal concerto di Milano?

Ciao Alfredo! Intanto, come sempre, grazie mille per l’attenzione. Ormai ci conosciamo da qualche annetto, hai sempre seguito il mio percorso di musicista e questo tuo seguire i miei ‘traguardi’ musicali mi ha sempre riempito di orgoglio! Detto ciò, ti posso solo dire che l’esperienza che ho appena vissuto è stata straordinaria! Avevo già suonato negli stadi, nel 2005, quando accompagnavo Laura Bono, che aveva appena vinto il concorso Sanremo Giovani di quell’anno: aprimmo tre concerti di Vasco Rossi nel tour Buoni o Cattivi.

Quali differenze con quella prima esperienza negli stadi?

Che dire, già all’epoca avevo provato un’emozione assurda, ma adesso è stato tutto super amplificato: soprattutto da parte mia c’era una consapevolezza e una maturità maggiori, oltre a un ruolo ben diverso. Il primo giugno ho suonato a San Siro non per aprire il concerto di qualche altro artista.

E come ci si arriva a tagliare un simile traguardo?

Non saprei dirti ‘come ci si arriva’, ma di certo se si vuole qualcosa e si lavora sodo per ottenerla, i risultati presto o tardi arrivano; questa è una convinzione che ho sempre ‘voluto’ avere. Una convinzione che mi ha spinto e mi spinge sempre a cercare di migliorarmi e a ottenere di più da me stessa. E per mia enorme fortuna avevo già vissuto qualche esperienza di palco ‘importante’…

Paola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

A proposito, quali in estrema sintesi le tappe più importanti finora della tua brillante carriera?

Al di là dei tour e delle collaborazioni con diversi artisti, ci sono stati degli eventi che mi hanno segnata particolarmente: le aperture del tour di Vasco Rossi, una trasmissione televisiva su RAI 1 con Massimo Ranieri, il Festival di Sanremo nel 2010 con Fabrizio Moro… Sono state tutte situazioni e occasioni fondamentali per la mia crescita, quelle situazioni che ti danno la possibilità di superare o quanto meno ti permettono di misurarti con i tuoi limiti (musicali e non).

Se dovessi scegliere una sensazione, una considerazione o un ricordo del live a San Siro, cosa diresti?

Potrei dirti miliardi di cose, ma cercherò di dirti quelle per me più importanti: la mezz’ora (circa) prima di salire sul palco non passava più e avevo accumulato molta tensione, forse troppa. Ma la cosa su cui ero super concentrata era quella che dovevo fare: suonare! Per suonare bene secondo me non puoi non divertirti, ma se ti diverti troppo magari rischi di deconcentrarti, quindi devi saper gestire il mix di queste tre cose, un po’ come ottenere un buon balance per il groove.
Suonare bene non può prescindere dal divertimento che provi nel farlo, ma questo divertimento non può incidere negativamente sulla concentrazione.

Quando e come sei entrata in contatto con Fedez? Hai dovuto sostenere delle audizioni?

Ho lavorato con Federico (Fedez) per la prima volta nel 2015. Sono stata la sua batterista nel PopHoolistaTour. In realtà è stato uno dei pochissimi casi in cui non ho fatto una vera e propria audizione. Il sound engineer dei suoi dischi e il direttore tecnico musicale dei suoi live è Andrea De Bernardi, persona con la quale ho lavorato per circa 10 anni (nel progetto di Laura Bono), e lui mi ha proposta come batterista. Ho ovviamente fatto una prova musicale e sia Federico che Fausto Cogliati, direttore musicale e anche chitarrista in quel tour di Fede, mi hanno voluta in questa bellissima avventura.

Dal punto di vista emotivo, che significa preparare l’allestimento di un evento simile?

Alfredo, credo che proprio come nel suonare anche nel gestire le proprie emozioni la cosa fondamentale sia l’equilibrio; lasciarsi emozionare è la cosa più bella! Da quando sono stata chiamata per questo lavoro a oggi, che il lavoro è finito, sono sempre tanto emozionata all’idea di averne fatto parte.

Che tipo di strumentazione hai utilizzato? Ti va di descriverci dettagliatamente il tuo set up?

Non potevo desiderare domanda migliore! Considera che da poco più di un anno sono endorser della batteria che ho sempre sognato, la DW. Per il mio tipo di drumming non credo avrei potuto desiderare di meglio, perché le DW rispecchiano perfettamente il tipo di sound che ho in mente. In questa occasione ho suonato una DW Collector’s con fusti in acero finitura Champagne Glass.
Una batteria veramente formidabile, composta da cassa da 22″, tom da 10″, floor tom da 14″ e tre rullanti: da 14″ x 6″, 14″ x 5″ e 13″ x 5″. Alessandro Gramegna, product e marketing manager GEWA (distributore DW), si è superato nel cercare di accontentare ogni mia richiesta: ne approfitto per ringraziare lui e la sua azienda per la grande professionalità e la disponibilità con cui si interfacciano con noi endorser. 

I piatti sono rigorosamente UFIP: sono andata a Pistoia da Luigi e Damiano Tronci (anche loro sono stati come sempre super disponibili) qualche settimana prima di iniziare le prove e ho scelto con loro un set strepitoso, composto da un ride Bionic da 21″, un crash Brilliant da 17″, un Crash Blast da 19″ e due hi hat Blast da 15″ e 14″.

Paola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

Elettronica, pelli, bacchette?

Yamaha DTX Multipad; in questo caso non posso non ringraziare  Norberto Rizzi e Piero Panetta che in corsa, durante l’allestimento, hanno fatto il possibile per darmi lo strumento più adatto. Infine, ma non per ultimo, vorrei ringraziare Gianluca Aramini con la cui azienda ho iniziato a collaborare proprio in concomitanza di questo lavoro: ho utilizzato – e utilizzerò da qui a spero per sempre – bacchette Vic Firth American Classic e pelli REMO.

Hai ricevuto richieste specifiche in fatto di misure o finiture dalla produzione?

Avendo già lavorato con Federico e conoscendo quindi i suoi brani, ho potuto proporre delle sonorità adatte. Ho deciso infatti per questo lavoro di montare tre rullanti. In questo genere il groove ha un’importanza notevole, anzi per esser più chiara ti dico solo che ci sono stati brani in cui non c’era neanche l’ombra di un fill o comunque di una ‘variante’, nessuna distrazione dal groove. 

La cosa che capitava spesso era di suonare lo stesso groove usando un rullante sulla strofa e un rullante diverso sul ritornello; o addirittura due rullanti per le varie strofe e un terzo rullante per l’inciso. Fausto Cogliati, il direttore musicale, mi ha sicuramente suggerito e stimolato su scelte diverse da quelle comuni, quindi ci siamo soffermati maggiormente sulla scelta del tipo di suono piuttosto che sulla quantità delle note da suonare!

Quanto è difficile per una donna che non sia una cantante l’ambiente pop nazionale?

Alfredo, questa domanda è difficile tanto quanto la risposta. Qualsiasi cosa io dica potrei esser criticata. Molte volte mi capita di sentir dire che le donne in questo ambiente sono facilitate, ma non è affatto così, anzi, il contrario. Ma dicendo questo non voglio fare assolutamente la vittima. Per cui alla fine della fiera ti dico anche che essere donna non è uno stato che si sceglie, ma l’esser musicisti sì. Per cui, al di là delle difficoltà che si possono incontrare se si sceglie di esser musicisti, bisogna andare avanti, sempre e comunque. Una donna tendenzialmente viene riconosciuta in ruoli come quelli di cantante, corista, violinista… 

Ma come batterista è molto più difficile. Il batterista ha un ruolo determinante per una band (qualunque sia il tipo di formazione), quindi si fa fatica a riconoscere tale responsabilità a una donna e in una donna. Quest’ultima è sicuramente più svantaggiata rispetto a un uomo, ci sono troppe cose da cambiare, ma non si parla solo di musica, è principalmente una questione culturale. La donna può lavorare nel mondo dello spettacolo o della musica senza problemi, ma solo se quello che fa si basa sulla sua immagine. Se invece si vuole fare quel passetto in più, allora c’è da fare tanta fatica.

Paola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

Quali sono state le cose più difficili da ‘digerire’ nel corso della tua carriera?

Qualcosina da digerire c’è stata sicuramente… Diciamo che ho imparato tardi a contare prima di parlare. Nel tempo però ho imparato che sicuramente non serve sempre parlare o cercare di convincere qualcuno di qualcosa… Molto spesso sono i fatti a parlare: tante volte mi sono sentita dire che lavoro in quanto donna e molte volte il mio modo di suonare o il mio modo di essere non è piaciuto… Che dire? Non credo di essere particolarmente bella, per cui la mia immagine non mi ha aiutata molto. Non credo di avere un carattere particolarmente facile o malleabile, ma sono così. Quello che suono, sono. Probabilmente fossi stata più ‘democristiana’ avrei scelto di suonare un altro strumento, chissà.

La cosa più difficile da suonare che ti sia mai capitata?

Tecnicamente credo sia sempre tutto più o meno abbastanza risolvibile, non c’è miglior medicina dello studio… Il linguaggio invece è sicuramente qualcosa che necessita di ascolto, pratica ed appartenenza. Per tre anni circa ho avuto la fortuna di suonare con un’orchestra di musica afro/cubana: ho fatto una fatica immane; entrare nella loro ottica di musica è stato un lavoro complesso che è andato ben oltre partiture e tecnica. È stata un’esperienza tanto difficile quanto formativa.Con loro ho acquisito quell’elasticità mentale – almeno credo – che consente di andare oltre ciò che si conosce.

Insegni? Quali sono i caposaldi della tua attività didattica?

Sì, sì, insegno, anzi da circa un paio d’anni ho un mio studio, il Walk in Drum, in cui svolgo la mia attività didattica. Mi sono avvicinata abbastanza tardi alla didattica. Per me cercare di trasferire quelle che sento come mie convinzioni didattiche nasce dal mio personale percorso di studi e dalla mia esperienza di lavoro. Ritengo sia fondamentale avere un’impostazione e delle nozioni rudimentali corrette per poter affrontare qualsiasi tipo di studio di coordinazione.

Quel che serve per suonare e lavorare bene è tanta disciplina, e non si può che acquisirla studiando. Poi saranno l’indole musicale e i gusti personali di ciascuno a determinare in che genere cimentarsi.

Paola Caridi, i suoi tamburi e i sold out negli stadi

La cosa a tuo giudizio più importante per poter sopravvivere nel mondo della musica pop italiana?

Sai Alfredo, non credo ci siano regole. Credo si debba avere la convinzione di portare avanti un proprio percorso/progetto. La determinazione e il crederci aiutano tantissimo. Ovviamente anche il lavorare bene non può che essere un buon biglietto da visita. In questo ambiente, come credo in tutti gli altri, molte volte le parole precedono i fatti; ma per giudicare bisogna prima ascoltare e conoscere personalmente. Le cose accadono e bisogna esser pronti nel momento in cui arrivano, questa dovrebbe esser l’unica preoccupazione.

Che consiglio daresti a una giovane batterista che volesse provare a fare della musica il suo mestiere?

Se mi chiedi di dare un consiglio a un giovane musicista non posso che fare raccomandazioni, forse scontate: studiare, suonare il più possibile con chiunque e qualsiasi cosa, credere in se stessi, ma mai così tanto da diventare presuntuosi. Se mi chiedi di dare dei consigli a giovani batteriste non posso che ripetere le stesse identiche cose, aggiungendo di non curarsi del loro esser donne: il loro sesso non dovrà determinare la loro carriera. In un paese realmente evoluto dovrebbe esser così.

Alfredo ti ringrazio di cuore per avermi dato modo di raccontarmi.