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Magicamente fuori del tempo: i Love nel 1967

In un ipotetico museo degli anni 60 occuperebbe una sala secondaria: non una Gioconda o una Vittoria di Samotracia, insomma. La 50th Anniversary Edition di Forever Changes meriterebbe di più, ma il fascino che esercita e l'estro da cui ha tratto spunto sono troppo elusivi per concederglielo. All'epoca, del resto, comm

In un ipotetico museo degli anni 60 occuperebbe una sala secondaria: non una Gioconda o una Vittoria di Samotracia, insomma. La 50th Anniversary Edition di Forever Changes meriterebbe di più, ma il fascino che esercita e l’estro da cui ha tratto spunto sono troppo elusivi per concederglielo. All’epoca, del resto, commercialmente fu un fiasco.

Come il disco warholiano dei Velvet Underground: 154esimo nell’hit parade statunitense (un po’ meglio in Gran Bretagna: 24esimo posto). E allo stesso modo ha visto crescere le sue quotazioni con il passare dei decenni, divenendo classico di culto.
Ascoltato oggi, suona magicamente fuori dal tempo, essendo frutto di una ricetta complessa, tanti sono gli ingredienti in tavola, con proporzionata difficoltà di amalgama.

Love, 1966

Love, 1966

Musica meticcia, com’era il suo artefice principale, Arthur Lee, allora 22enne: mulatto figlio di padre bianco (trombettista jazz) e madre nera (insegnante), nato a Memphis ma emigrato con lei a Los Angeles da bambino dopo il divorzio.

Là, ancora giovanissimo, freakettone nero prima di Hendrix e Sly Stone, si fece largo nella scena che bazzicava i locali del Sunset Strip e la comune chiamata The Castle (installata in un edificio dove aveva abitato Bela Lugosi).

Prese forma in quei luoghi la band consacrata all’Amore (benché all’inizio avesse nei ranghi Bobby Beausoleil: in seguito membro della Family di Manson), primo gruppo rock ingaggiato dall’Elektra.
Realizzati due album notevoli, specialmente il secondo, Da Capo, giunse all’appuntamento con il terzo intenzionato a salire di livello.

Registrato durante la Summer of Love, Forever Changes ne riverbera l’eco, guardando però altrove. Ciò che si vede non rassicura: “Dal momento in cui mi metterò a cantare, le campane delle scuole di guerra cominceranno a suonare.

Magicamente fuori del tempo: i Love nel 1967

Più confusione, trasfusioni di sangue, le notizie di oggi diventeranno i film di domani. E l’acqua si è tramutata in sangue: se non ci credi, prova ad aprire il rubinetto”, recita il testo di “A House Is Not A Motel”, immaginando dei Byrds dall’afflato soul.

In termini musicali osava sincretismi acrobatici: swing latino (con tromba mariachi!) e arpeggi psichedelici in “Alone Again Or”, easy listening modello Bacharach e portamento barocco in “Andmoreagain”, umore folk e spleen cameristico in “Old Man” (ispirato a Prokofiev), fino all’apoteosi pop – tra flamenco e Broadway – di “Maybe The People Would Be The Times Or Between Clark And Hilldale”.

Uscì nel novembre 1967 e come andò si è detto, anche perché il capobanda era restio a esibirsi dal vivo (rifiutò l’invito a Monterey, ad esempio) e cominciava a vacillare sotto gli effetti di eroina e LSD. Così i Love si dissolsero: Lee ne avrebbe guidato altre incarnazioni per poi giocarsela da solista, sempre con scarso successo, finché nel 1996 finì in carcere e nel 2006 morì di leucemia.

Love - Forever Changes

Seguendo i rituali degli anniversari, di Forever Changes viene pubblicato ora il monumentale cofanetto che ne celebra – in ritardo di alcuni mesi, in verità – il cinquantenario. Un “sarcofago”, direbbe Simon Reynolds: quattro CD, un DVD e un disco in vinile, con dotazione d’inediti già sfruttata nelle precedenti ristampe datate 2000 e 2008 (fanno eccezione le versioni da 45 giri di “Alone…” e “…Motel”, insieme a un paio di basi strumentali).

L’essenza rimane condensata nelle 11 canzoni della stesura originale, qui proposta addirittura in tre mixaggi differenti. Un oggetto museale, appunto.

Alberto Campo

La recensione è pubblicata sul numero 765 de Il Mucchio Selvaggio Magazine in edicola nel mese di aprile.