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Le voci dei cantastorie raccontano il colonialismo d’America

L’America, o il Nuovo Continente così sopranominato, terra da sempre rinomata per le mille occasioni ed il Paese della “libertà” per eccellenza.

Con sé porta storie e racconti che attraversano miglia e secoli e giungono fino a noi attraverso storiografie, film e musica. Questo elemento è forse il più rappresentativo di quel popolo.
Capiamo come l’America ha trovato le sue radici e si è sviluppata nei primi anni della sua nascita, attraverso alcuni artisti che hanno saputo tramandare nella veste di cantastorie le tradizioni e origini di questo Paese. 

Un brano di riferimento che ho scelto per la tematica è “Sailing to Philadelphia”, proveniente dalla discografia di Mark Knopfler, cantato insieme a James Taylor. Il testo racconta la storia della nascita delle fondamenta dell’America come la conosciamo.
Una linea di demarcazione tra Pennsylvania, Delaware, Maryland e Virginia occidentale, sopranominata Linea Mason-Dixon, tracciata da due astronomi per risolvere una disputa tra colonie britanniche intorno al 1760. 
I due, contemporaneamente, stavano seguendo il passaggio di Venere davanti il Sole, calcoli che avrebbero reso più chiara la dimensione del nostro sistema solare, un importante passo per l’astronomia del tempo. 

La linea Mason-Dixon viene anche citata nei brani di Johhny Cash e Lynyrd Skynyrd, rispettivamente “Hey Porter” ed “End of Game”. 

Sorvolando sempre quei luoghi e quei tempi, continuiamo a parlare del colonialismo e in particolare della cacciata dei Nativi Americani dal proprio suolo da parte dei coloni inglesi.
Ci aiutiamo nella comprensione tramite l’ascolto del brano della Dave Matthews Band, Don’t Drink The Water”.
Il brano fa riferimento alla battaglia per il raggiungimento della supremazia degli invasori sugli oppressi. 

Un brano che ricorda quello suddetto, è proprio del nostro “menestrello” (e poeta, NdR) Fabrizio De Andrè, cioé “Fiume Sand Creek”.
Il brano racconta che in quel momento nell’accampamento si trovavano innocenti, uomini, donne e bambini, che vennero uccisi e mutilati senza pietà.
Una delle vicende più macabre della storia americana, tanto che l’esercito statunitense stesso criticó l’operazione, sebbene non condannò mai i responsabili.
Il brano è narrato ispirandosi proprio ad uno dei più piccoli bambini sopravvissuti al massacro e testimone dell’orrore. La splendida canzone si conclude forse con la frase più da “pelle d’oca” di tutte, l’unica cantata in terza persona: “Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek”.

Un’artista country tra tutti che si batté musicalmente per il genocidio degli indiani d’America fu Johnny Cash, per cui ritroviamo “Apache Tears” e “Big Foot”che fanno parte di un intero album dedicato alla causa, ossia Bitter Tears: Ballads of the American Indian.

La prima racconta le pesanti e macabre uccisioni degli Apache per mano degli invasori. 
Il secondo brano si ricollega ad un brandello di storia, quella di un tragedia avvenuta in Dakota del Sud con protagonista Spotted Elk (Heȟáka Glešká), o Big Foot, barbaramente ucciso dagli uomini al settimo reggimento del colonnello James Forsyth. 
L’album è un vero trattato di storia, recupera eventi o episodi passati spesso o troppe volte dimenticati. 

La band Audioslave capitanata da Chris Cornell e dall’immancabile Tom Morello ha dedicato una delle loro perle, “Cochise”, capo degli Apache Chiricahua dell’attuale regione di Sonora, New Mexico e Arizona. Egli morí dopo estenuanti battaglie tra il popolo indigeno e i coloni bianchi per cause che si suppongono naturali. 

Abbandoniamo per un attimo i confini USA per una perla dal cantautore canadese Neil Young è “Cortez The Killer”, con un sound trasportante e leggero tipico del suo stile. Il significato si interpreta decisamente contro gli oppressori occidentali, in particolare il conquistador Hernan Cortes, tra i colpevoli della strage del popolo azteco. La canzone fu censurata in Spagna dove il condottiero è considerato un eroe… 

Distaccandoci un attimo dal rock e dal country, ci avviciniamo alla musica per il cinema, in particolare per il film d’animazione “Pocahontas”, che riprende una storia vera di cui si racconta proprio nel brano “Colors of the Wind”, quella di una donna indigena che sposa un uomo inglese.
Lei stessa si impone contrariata quando si sente definire “selvaggia” dagli altri.

Tornando agli States, una tappa decisiva del percorso storico dell’America verso il Paese definitivo della “libertà” è la Dichiarazione di Indipendenza, il 4 luglio 1776, con la conseguente elezione a Presidente di George Washington nel 1778. 
Con tale passaggio epocale, data dalla vittoria del generale sull’impero brittanico, si dava una volta per tutte piena legittimità di potere agli invasori sui territori americani. 

Moltissimi brani ne fanno riferimento, più o meno chiaramente. Il più citato è sicuramente Bruce Springsteen, paladino della musica americana e rappresentante dell’alterità di un Paese tanto contestato quanto amato. 

Nel brano “4th of July , Asbury Park” è chiaro già nel titolo di cosa si parli. La storia è l’incontro tra lo stesso Bruce e una ragazza sulle coste americane durante la stagione estiva. Una metafora che interpone la lenta dissolvenza della città alla fine di un amore fugace. 

Un altro brano viene dallo stesso Boss ossia “Indipendence Day” ma del tema patriotico c’è ben poco perché si parla invece della sua indipendenza personale dai genitori e in particolare dal padre e il distacco decisivo. 

E infine ancora una volta, una tripletta per lui, cita ancora nella sua  “Darlington County” le parole 4th of July  tra i versi del brano. 

Un’altra grande scoperta è il musicista John Mellencamp, forse poco conosciuto dalla platea italiana ma rinomato da quella americana (tra le sue più famose “Jack & Diane”).

Scrisse la sua “Justice and Independence ‘85“ che racconta l‘Indipendenza personificandola in un bambino nato in quella stessa data che sposa Giustizia come lui stesso dice: “so his parents called him Independence Day, he married a girl named Justice who gave birth”.

Questa è stata solo una minima presentazione di una Paese ancor più complesso e ricco di diversitá. 

In fin dei conti, l’America è una Nazione “nuova” e moderna, non è stata solo scoperta e popolata, ma soprattutto inventata