Ogni chitarrista, indipendentemente dal genere che suona, conosce quella sensazione familiare: il manico sembra una mappa rassicurante, le forme scorrono tra le dita con sicurezza, le soluzioni arrivano quasi da sole. È uno dei grandi vantaggi del nostro strumento, ma anche uno dei suoi limiti più nascosti.
Le geometrie ripetitive rischiano di diventare abitudini, e le abitudini, a lungo andare, possono ostacolare la creatività.
Una strada per riaprirla consiste nel fare qualcosa che apparentemente non c’entra con la chitarra: guardare agli altri strumenti.
Non per imitarli, ma per scoprire come gli altri musicisti si muovono, come costruiscono voce, ritmo e armonia.
Pensare come un pianista e osservare come lavora una sezione orchestrale può cambiare radicalmente il modo in cui interpretiamo le nostre 6 corde.
Il piano come specchio: essenzialità, profondità, prospettiva
Il pianoforte è una lente ideale per ripensare la chitarra. Lì dove il nostro strumento tende a suggerire forme e grip ripetibili, il piano impone un ragionamento più verticale: voci che si incastrano, registri distanti, bassi che restano fermi mentre la parte superiore dell’accordo si muove.
Analizzare questo modo di “sentire” l’armonia aiuta a liberarsi dall’idea che l’accordo debba sempre essere completo o equilibrato.
Le sonorità “dure e spigolose” (da non intendere in senso negativo) di Thelonious Monk, con le sue seconde bemolli messe lì come piccole spine, mostrano quanto possa essere espressivo un accordo costruito con pochissime note, purché scelte con cura.
In questo senso, una delle intuizioni più importanti è che “non è così indispensabile avere dieci dita per fare un bel accordo” (Eleonora Strino). Trasporre questa filosofia sulla chitarra costringe a uscire dalle forme canoniche per creare disposizioni nuove, a volte scomode, ma sorprendentemente efficaci.
All’estremo opposto, Bill Evans insegna la bellezza dello spazio. Le sue quarte sospese, i bassi immobili, le armonie che respirano lentamente mostrano come la tensione possa nascere da silenzi, non da accumuli.
Applicare questa poetica alla chitarra significa imparare a sottrarre, a scegliere intervalli più larghi, a pensare in termini di densità e rarefazione.
L’insegnamento dei fiati: movimento e intenzione
Se il piano offre profondità armonica, i fiati regalano chiarezza di fraseggio e direzione melodica. Un sassofonista non ha forme da seguire: deve costruire ogni linea nota dopo nota, modellando il respiro e la spinta ritmica.
Trascrivere poche battute di Parker o Gillespie rivela subito un principio semplice: l’efficacia nasce dal modo in cui le note si appoggiano sul tempo, non dalla loro quantità.
Quando due strumenti a fiato si muovono insieme, poi, si impara qualcosa sull’essenzialità dell’armonia. Terze, quarte, linee parallele che disegnano una trama armonica leggera ma incisiva.
Ricreare quell’effetto sulla chitarra significa smettere di pensare all’accordo come un blocco compatto e iniziare a vederlo come un dialogo tra due voci. È un approccio che aiuta tutti i chitarristi, di qualsiasi genere, a uscire dal puro accompagnamento e a sviluppare un senso più orchestrale dello strumento.
Eric Johnson: “ogni chitarrista dovrebbe suonare il piano”
Questa idea non appartiene solo al mondo del jazz. Anche un chitarrista come Eric Johnson, simbolo della chitarra elettrica moderna, ha sottolineato più volte quanto il pianoforte sia uno strumento fondamentale per chiunque voglia ampliare la propria visione musicale.
Le sue parole sono nette: “Penso che suonare il pianoforte sia davvero utile. È uno strumento bellissimo per comporre e studiare musica: consiglierei a qualsiasi musicista, indipendentemente dallo strumento che suona, di prendere lezioni di pianoforte.”
Per Johnson, la forza del pianoforte sta nella sua chiarezza: tutti gli ottantotto tasti sono lì, davanti agli occhi, come una mappa completa dell’armonia. È come osservare un progetto architettonico disteso su un tavolo: puoi vedere la struttura di un brano, i suoi movimenti, le sue tensioni.
Da questa prospettiva nasce la possibilità di trasferire quel modo di pensare su qualsiasi altro strumento. Non serve diventare pianisti, sottolinea Johnson, basta imparare abbastanza da comprendere la logica delle voci, la relazione tra le altezze, il percorso delle melodie.
È uno sguardo che molti chitarristi ignorano, ma che può trasformare profondamente la loro musicalità.
Un esercizio al pianoforte per iniziare a “capire”
Molti chitarristi vivono il pianoforte come un territorio estraneo, quasi intimidatorio, ma bastano pochi gesti per scoprire quanto possa diventare uno strumento sorprendentemente intuitivo.
Una delle idee più immediate consiste nel lavorare in tonalità di Mi, scelta non a caso: per chi suona la chitarra è una delle zone più familiari, dove le corde a vuoto offrono una risonanza naturale che il pianoforte può imitare.
L’esercizio parte individuando il Mi al centro della tastiera del piano; da lì si costruisce un piccolo “accordo sospeso” con Mi, Fa♯ e Si, una disposizione che riproduce l’apertura delle corde a vuoto della chitarra.
La mano destra mantiene sempre la stessa posizione, mentre la sinistra si sposta lungo la scala (Mi, Fa♯, Sol♯, La, Si, Do♯, Re♯, Mi), come se si stessero suonando i gradi della tonalità. Il risultato è una specie di arpeggio continuo che ricorda l’effetto delle corde libere quando si arpeggia in Mi sulla chitarra.
È un ottimo modo per percepire la verticalità del pianoforte senza dover cambiare forma ogni due secondi.
Chi ha un pedale di sustain può aggiungere un’altra dimensione all’esercizio: premere il pedale ogni volta che si suona il nuovo accordo. Questo permette di ascoltare come si sovrappongono le risonanze e di capire quanto lo sviluppo orizzontale del pianoforte sia utile per immaginare nuove soluzioni di voicing sul proprio strumento.
Il passaggio più interessante arriva quando si prova a muoversi tra Mi, La e Si mantenendo immobile la mano destra. La sinistra cambia nota fondamentale, proprio come accade sulla chitarra quando ci si sposta tra i gradi della tonalità senza modificare la forma dell’accordo.
È un esercizio che aiuta a interiorizzare la logica armonica in modo diretto, senza scorciatoie visive, obbligando l’orecchio a riconoscere la funzione più che la forma. Una volta tornati alla chitarra, questo piccolo allenamento porta con sé due vantaggi: più consapevolezza dell’armonia e un approccio meno dipendente dalle geometrie abituali.
Il pianoforte come alleato, i motivi principali
1. Comprendere le triadi senza ostacoli
Sul pianoforte il concetto di triade diventa immediato: una sola forma, ripetibile in ogni tonalità senza cambiare diteggiatura. Ciò che sulla chitarra richiede memoria, elasticità e adattamenti continui, sulla tastiera appare in modo limpido e geometrico. È un modo rapido e intuitivo per interiorizzare le fondamenta dell’armonia.
2. Capire davvero cosa succede nel basso
Il pianoforte rivela la forza della nota fondamentale in un modo che la chitarra raramente permette. Spostare il basso trasforma radicalmente l’identità di un accordo, e sul piano questo rapporto è evidente, quasi fisico. Per chi accompagna, compone o improvvisa, è una consapevolezza che cambia tutto.
3. Vedere con chiarezza diesis e bemolli
Sulla chitarra la logica delle alterazioni si distribuisce su corde e tasti in modo irregolare; sul pianoforte è tutto sotto gli occhi: tasti bianchi, tasti neri, struttura lineare. Questo aiuta a costruire una visione più solida della tonalità e riduce la confusione legata alla memorizzazione delle posizioni.
4. Far nascere nuove idee musicali
Molti progressioni o frammenti melodici rivelano il loro potenziale solo quando vengono suonati al piano. Il timbro, la disposizione verticale delle note e la simmetria dello strumento permettono di percepire la musica con maggiore ampiezza. Per la scrittura, questa semplicità è un vantaggio immenso: alcune idee “nascono” meglio sulla tastiera.
5. Comporre con meno fatica e più libertà
Il pianoforte non richiede la stessa tensione muscolare della chitarra. Ciò permette di respirare meglio, improvvisare con naturalezza e cantare senza essere frenati dalla postura o dalla fisicità del manico. Molti chitarristi scoprono di pensare più liberamente alla musica proprio quando si siedono davanti a una tastiera.
6. Migliorare l’intonazione vocale e l’orecchio
Un pianoforte accordato o una buona tastiera digitale offrono riferimenti di pitch stabili e affidabili. Cantare o suonare sopra queste intonazioni fisse affina l’orecchio, allena a riconoscere deviazioni minime e aiuta anche chi suona la chitarra a percepire meglio gli intervalli.
7. Avere uno strumento “che è “tre in uno“
Il piano è contemporaneamente percussivo, armonico e melodico. Questa natura ibrida permette di capire gli arrangiamenti come un processo unico: ritmo, accordi e melodia convivono nello stesso gesto. Per un chitarrista significa acquisire una visione orchestrale della musica, impossibile da ottenere restando confinati alle forme del manico.
Calati in altri panni
Insomma, è davvero importante calarsi nei panni di altri strumenti. Pensare come un pianista insegna a distribuire lo spazio; pensare come un fiato aiuta a rendere le frasi più dirette; pensare come un arrangiatore porta a immaginare la chitarra come una piccola sezione. In fondo si tratta di questo: non copiare altri strumenti, ma lasciarsi cambiare dal loro modo di raccontare la musica.
Qui su Musicoff oramai da anni abbiamo una rubrica dedicata a questo tema, intitolata “La chitarra che ruba gli assoli“, dagli un’occhiata.
Chi ama la chitarra Jazz, invece, può trovare un percorso dedicato sulla piattaforms Musicezer, con il corso di Eleonora Strino “Il linguaggio della chitarra jazz”.










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